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APOCALISSE 2:18-3:6

MORTE E CONTINUITÀ

 

Tiatira, una città molto antica, era una città di guarnigione o di sentinella per Pergamo e un importante centro commerciale. La sua locazione era scadente da una prospettiva militare ma importante dal punto di vista commerciale. La sua religione rifletteva il suo carattere cosmopolita, nel fatto che era completamente sincretista. Il significato tipologico di Tiatira è facilmente visibile nella sua vita economica: “si conoscono più associazioni di commercio in Tiatira che in qualsiasi altra città Asiatica” [1]. Questo, il fattore più importante nella vita di Tiatira, era più che un fattore economico: aveva un significato religioso. Certamente, la vita delle associazioni implicava adorazione e banchetti comuni alle riunioni nei templi quanto frequenti ubriachezze e immoralità sessuali. Sarebbe un errore, comunque, vedere il conflitto nei termini del moralismo L’influsso Greco era sufficientemente forte in Tiatira da colorare le associazioni, e le associazioni greche spesso avevano regole molto rigorose contro i comportamenti disordinati, si dedicavano all’assistenza caritatevole di membri bisognosi, provvedevano per funerali, governavano se stesse, versavano contributi fissati per il fondo comune, e si riunivano e festeggiavano a intervalli regolari. La corruzione esisteva nelle associazioni commerciali allora come esiste nelle associazioni sindacali oggi, ma non era una caratteristica particolare che non fosse presente anche nel resto della società. Le associazioni non erano perciò particolarmente malvagie nei termini della società in generale, anzi si potrebbe dire molto della loro utilità e dei vantaggi che portavano. Può essere ulteriormente aggiunto che le associazioni commerciali di Tiatira potrebbero benissimo essere state moralmente superiori a quelle di altri luoghi, poiché apparvero alla chiesa sufficientemente accettabili  da condurre al compromesso. Il peccato dei nicolaiti di Tiatira era quindi definitivamente non di immoralità sessuale o di declino morale. Gli appunti fatti da Ramsay sono qui particolarmente illuminanti:

Sembra perciò essere al di la di ogni dubbio che, i nicolaiti di Tiatira, con la loro profetessa per loro capo, erano ancora membri attivi e infaticabili della chiesa, “pieni di buone opere”, e rispettati dall’intera congregazione per il loro carattere generale e per il loro stile di vita. Il sentimento che il resto della congregazione riserbava loro è attestato nella lettera: “Tu permetti a quella donna Iezabel, che si dice profetessa, di insegnare”. È evidente che la signora che viene qui così rudemente citata era regolarmente accettata a Tiatira come insegnante regolare, e come profetessa e conduttrice della chiesa. Non c’era alcuna seria, generale, attiva opposizione contro di lei; e proprio qui risiedeva l’errore dell’intera congregazione; essa si era fermamente confermata nell’approvazione della congregazione e, come abbiamo visto, era così rispettata a motivo della propria vita liberale, zelante ed energetica con cui si era guadagnata la stima generale. Essa era evidentemente una signora attiva e manageriale sullo stile di Lidia, la mercante di Tiatira, capo di una casa a Filippi; ed è una coincidenza interessante che le due uniche donne di Tiatira menzionate nel Nuovo testamento si somiglino così tanto nel carattere [2].

Il peccato della chiesa era dunque strettamente collegato con le sue virtù. Le “opere” o virtù della chiesa sono chiaramente descritte “Il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio e la tua costanza, e so che le tue ultime opere sono più numerose delle prime” (2:19). Qual era dunque il loro peccato? Il nome “Iezabel” è una chiara indicazione della sua natura. Sicuramente alla regina Jezebel non si può associare alcuna immoralità sessuale; piuttosto ella si dedicò al progresso di un marito indeciso e alla gloria del suo regno. Perfino la morte di Naboth (1Re 21:7-13) fu intrapresa al posto di suo marito. Il suo odio per Elia e i suoi aderenti era basato sulla premessa che essi erano un ostacolo al benessere nazionale e una influenza divisiva. Il culto di Baal fu un deliberato espediente politico e religioso, inteso a dare un fondamento comune con gli stati confinanti quale premessa di una comune alleanza contro potenze straniere. In questa confederazione la leadership sarebbe stata assunta da Israele in quanto popolo superiore. Un’alleanza senza compromessi con Jehovah sarebbe stata distruttiva di ogni ordinamento sociale, mentre un culto di Jehovah compromissorio aveva la sua collocazione nel regno, come testimoniano i 400 falsi profeti raccolti da Achab in risposta alla richiesta di Giosafat di avere un profeta di Jehovah (1Re 22:1-8). Jezebel proveniva da fuori la chiesa, e per questo era meno accettabile; la Iezabel di Tiatira proveniva dall’interno della chiesa, con tutti i crismi della santità, posizione ed onore. L’obbiettivo, comunque, rimaneva lo stesso: Il fondamento comune come principio basilare. La premessa era semplicemente questa: sia i cristiani che i non credenti stanno operando insieme verso lo stesso obbiettivo: il bene supremo e in esso il compimento dell’uomo. Anche se i cristiani hanno qualche superiorità, fondamentalmente è la stessa cosa in tutto il mondo. Non c’è un obbiettivo specificamente ed esclusivamente cristiano, non c’è una filosofia  specificamente cristiana della storia, né un concetto specificamente cristiano di scienza o della società. La differenza tra il cristiano e il non credente è una differenza di grado, non di tipo, e lo stesso vale per le loro filosofie. Benché non dichiarata così sfrontatamente questa era la premessa in Tiatira, era sicuramente la premessa di molti pensatori cristiani nella chiesa primitiva e lungo i secoli. Qualcuno dei primi pensatori era così convinto del fondamento comune, che furono usate categorie greche, e Cristo fu presentato come il loro adempimento. Platone e Aristotele divennero la pietra angolare della filosofia cristiana sulla premessa profondamente radicata del fondamento comune, il credere che le differenze non possono essere di tipo ma solo di grado. A Tiatira la premessa si manifestava primariamente nelle azioni pratiche piuttosto che nel pensiero teoretico, ma non era meno reale. Queste associazioni artigiane, società professionali e consociate commerciali erano interessate al bene della società, al benessere e l’adempimento dell’uomo. Nonostante le loro debolezze e i loro peccati (e chi ne è senza?), nei loro scopi erano nobili e morali. Poteva il cristiano isolarsi da loro senza rendersi colpevole di provincialismo e senza disprezzare anche la rivelazione generale di Dio? La cooperazione doveva perciò divenire il principio dell’azione, una cooperazione moralmente circospetta, ma nondimeno cooperazione. La posizione rispettabile della “Jezebel” di Tiatira indica la dignità e la moralità della sua partecipazione.

La lettera a Tiatira echeggia la decisione del Concilio di Gerusalemme (Atti 15). Lo scopo di quel concilio fu di non porre sui credenti il giogo del legalismo e del separatismo giudaico (Atti 15:5-11), ma di insistere sulla separazione necessaria (Atti 15:28-29). Molto più tardi, in Romani 15 e 1 Corinzi 10:15ss, è evidente che Paolo non considerava la dichiarazione che riguarda le carni offerte agli idoli riferite a carni mangiate a casa, poiché non viene fatta proibizione. Il concilio di Gerusalemme pose termine al vecchio separatismo giudaico in favore di un separatismo comune cristiano dei credenti giudei e gentili, col quale come un sol corpo erano separati dal mondo.

Tiatira era colpevole di violare questa separazione e di cercare un fondamento comune; questa era “fornicazione” e “adulterio” da parte della chiesa, la sposa, contro Cristo, lo sposo (2:21-22), e, a meno che “Jezebel” e i suoi seguaci non si fossero pentiti, la loro speranza di un fondamento comune sarebbe divenuto il “letto” delle loro afflizioni (2:22) e della loro morte (2:23). Non tutti sostenevano questa dottrina (2:24). Quelli che la sostenevano, parlavano di conoscere “le profondità di Satana” (2:25). Questo veniva espresso molto chiaramente come oggetto d’orgoglio e non di vergogna, da “Jezebel” e da altri che avevano tutti una buona reputazione morale. Non si riferisce dunque a rilassatezze morali o a pratiche sessuali. È un principio spirituale e filosofico, un’affermazione religiosa. Se si ratifica un fondamento comune, si fonda sulla premessa del principio della continuità della realtà, cosicché Dio, l’uomo e Satana sono aspetti comuni e continui della realtà. In questi termini, una professione religiosa che affermasse una conoscenza delle “profondità di satana” affermerà anche la possibilità di conoscere le cose profonde di Dio sulla base della continuità. Pertanto, la professione religiosa del primo implica la professione del secondo quale obbiettivo di ogni essere. Questo concetto di fondamento comune, comunque, conduce a un comune letto di disastro e morte per i suoi aderenti. (È possibile che l’espressione, “conoscere le profondità di Satana” sia riferita ad un antinomismo gnostico, peccare che la grazia abbondi, ma il testo non sembra indicare due eresie a Tiatira, ma piuttosto una, e cioè il compromesso del fondamento comune.)

Conoscere “le profondità di Satana” o le cose profonde di satana significava anche una concentrazione sul potere del male, studiare congiure, forze sataniche, come se esse rappresentassero il vero potere dell’universo al posto di Dio. Per questa prospettiva, satana è il potere e dio presente, e il Dio di Gesù Cristo è remoto.

Apollo Tyrimnaios, il dio sole, era adorato a Tiatira. La demarcazione tra la divinità e l’umanità di Apollo era vaga. Era un dio, ma la sua tomba era a Delfi. La sua immagine nella grotta sacra a Ilo vicino a Magnesia dava agli uomini una forza sovrumana e li rendeva sacri possessori di potere divino. Helios Tyrimnaios Pythios Apollos era l’unione di diversi concetti della divinità e un unione dei diversi elementi della popolazione nella città. Questa forma del nome della divinità di Tiatira è una potente affermazione del principio di continuità. Apollo, il dio sole, che muove guerra contro Python, assorbe in se stesso, o si rivela essere, ad uno e lo stesso tempo quello stesso Python. Egli è in questo modo dio e demone, bene e male, notte e giorno, tutte queste cose a loro volta in (continua) connessione logica con la realtà. Nel mito Apollo-Python: “Il vincitore è la replica del suo avversario” [3]. Così, in questo modo di vedere, Satana e Dio sono repliche l’uno dell’altro, e tutte le possibilità e una continua potenzialità esiste in ogni forma di esistenza. Il risultato è un interminabile procedimento senza significato, nel fatto che tutte le possibilità sono egualmente il principio ultimo, bene e male, vita e morte ugualmente validi e ugualmente nulli.

Contro questo concetto della divinità infinitamente mescolato e perpetuamente grigio, Cristo ha rivelato se stesso sia come assoluto sia come luce. Egli è quella luce che è un fuoco consumante per i nemici di Dio ma anche la colonna di fuoco che protegge e vendica il suo popolo (2:18). Egli è “il Figlio di Dio”, la cui sovranità sulle nazioni è così assoluta che nessuno governa senza di lui (2:18,26). Questo Cristo richiede la rottura radicale del suo popolo col compromesso del fondamento comune e della continuità: “non vi impongo alcun altro peso” (2:24). A chi resisterà nei termini di questa fede e “vince” ritenendo “fino alla fine le opere mie”, Egli promette due cose:

  1. A chi vince e ritiene fino alla fine le opere mie, darò potestà sulle nazioni; ed egli le governerà con uno scettro di ferro ed esse saranno frantumate come vasi d’argilla, come anch’io ho ricevuto autorità dal Padre mio (2:26-27). La promessa di Salmo 2:8-9 viene così adempiuta non solo in Cristo e per mezzo di lui ma anche mediante il suo popolo. Questa era una sfida frontale contro Roma, che manteneva il potere mondiale. L’Apollo Pythio era anche chiamato Propator quale divino antenato della città, e collegava l’imperatore Romano alla città come fondamento della vita e della prosperità di Tiatira. La guerra tra i due imperi sembrava disperatamente impari. Roma governava il mondo, il regno di Cristo non possedeva neanche un singolo edificio fino al terzo secolo, eppure Cristo vinse. Lasciate che gli uomini leggano la storia come vogliono, Dio non solo la governa, ma ha anche sempre e in tutti i luoghi manifestato il suo dominio secondo la Sua parola, a questo testifica ogni realtà dei fatti.
  2. “E darò a lui la stella del mattino” (2:28). “La stella del mattino era il simbolo del dominio del mondo” [4], e Cristo identificò se stesso con “la lucente stella del mattino” (Riv. 22:16). Potere sulle nazioni significa dominio mondiale, e questo dominio mondiale è inseparabile dal Grande Re Gesù Cristo.

Questa realtà, comunque, può essere riconosciuta solo dai viventi, dai rigenerati in Cristo. Perciò. “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese” (2:29).

La lettera a Sardi è seconda in asprezza solo a quella di Laodicea.

La storia di Sardi è antica. Un tempo capitale della Lidia, il suo nome richiama echi di re Creso e di ricchezze inenarrabili. Era uno dei grandi centri di scambi commerciali del mondo ed anche una grande fortezza naturale. Il sinistro avvertimento “sii vigilante” (3:2) echeggia un fatto ironico nella storia di Sardi. La sua fortezza apparentemente imprendibile ere caduta ripetutamente a motivo di una senso di sicurezza spaventosamente eccessivo. Poiché Sardi poteva essere così facilmente difesa, e attaccata solamente con una grande e impossibile differenza di mezzi, gli abitanti di Sardi erano negligenti. Ma nessun nemico annunciò mai il suo arrivo: improvvisi attacchi presero la tronfia Sardi di sorpresa più di una volta. Ramsay la chiamò perciò la “città fallimentare”. Proprio come Sardi era negligente nella sua guardia, anche la chiesa era a proprio agio col mondo. Gesù avvertì la chiesa che, proprio come il nemico aveva preso la città inaspettatamente, come un ladro nella notte, così egli avrebbe fatto venire su di loro il suo giudizio, inaspettatamente e li avrebbe derubati della loro falsa sicurezza.

La ricca e facile vita di Sardi faceva della noncuranza un tipo di religione naturale. Lo stesso fiume Pactolus che attraversa la città, trascinava dell’oro secondo Erodoto. Religiosamente la città era devota al culto di Cybele o Mater Demeter, e Cybele era la madre del popolo di Sardi, guaritrice e restitutrice di vita ai morti. L’assistenza di Tiberio nel restauro di Sardi dopo il terremoto del 17 d.C. attaccò quella città più fermamente al culto dell’imperatore. Sardi, un tempo potenza militare, perse la propria dignità col proprio impero, pur rimanendo un ricco centro di scambi commerciali, divenne non solo una città secondaria, ma anche identificata con l’effeminatezza e la vita facile. Erodoto li caratterizza quali “Lidii dai piedi fiacchi che sono capaci solo di suonare la chithara, menare la chitarra e vendere al dettaglio”. Barclay ha perciò descritto Sardi come la città “della pace della morte” e “la chiesa della morte vivente” [5].

“E all’angelo, della chiesa in Sardi scrivi: queste cose dice colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle. Io conosco le tue opere; tu hai la reputazione di vivere, ma sei morto” (3:1). In Apocalisse 1:16, 20, Cristo tiene le sette stelle o chiese nella sua mano; ora Egli ha le chiese nello stesso preciso senso in cui ha lo Spirito santo. Proprio come Egli possiede lo Spirito santo in tutto il suo potere e attività, così Egli ha la chiesa intera, e perciò ne è distinto e allo stesso tempo inseparabile. L’uomo perciò non può possedere la vera chiesa o alienarla da Cristo, più di quanto lo Spirito santo non possa essere alienato dal Figlio. Nessuna chiesa, perciò può vantare il diritto di portare il nome di Cristo e della Sua chiesa senza dover rendere conto a lui della propria trascuratezza.

La reputazione della chiesa di Sardi era buona. Aveva un nome o una reputazione e aveva l’apparenza della vita, mentre in realtà era per la maggior parte morta. La sua fede era chiaramente una forma di fariseismo [6]. La chiesa di Sardi viene richiamata a vegliare, o a svegliarsi: “rafferma il resto delle cose che stanno per morire”. Mentre le sue opere sembravano buone esteriormente, non erano accettabili, o mature davanti a Dio (3:2). Dovevano “ricordare” la fede che avevano ricevuto, in contrasto col loro presente fariseismo e apparenza di vita, e “ravvedersi”. Mancando questo, il Signore sarebbe stato, non il loro capo ma il loro nemico, il quale, proprio come i nemici di Sardi avevano preso la città di sorpresa, avrebbe di sorpresa tolto dalla chiesa la sua vita e i suoi privilegi.

Le persone che sono fedeli e “non hanno contaminato le loro vesti; esse cammineranno con me in vesti bianche, perché ne sono degne” (3:4). Il riferimento al vestiario è duplice. Primo, i vestiti potevano essere contaminanti, secondo la legge mosaica, per diverse ragioni, se ammuffiti da funghi o malattie (Le. 13:47) se fatti di materiali diversi e perciò in violazione della legge della discontinuità e del principio della separazione (Le. 19:19; De. 22:11), o se propri dell’altro sesso (De. 22:5). Quelli che non avevano contaminato le proprie vesti avevano perciò evitato la contaminazione del peccato: fondamento comune e continuità, e perversioni da travestiti, nei termini della loro giustizia in Cristo. Secondo, camminare ora in bianco con Cristo (Ec. 9:8; Za. 3:3; Gd. 23) significava camminare in purezza, festività e vittoria, in tutti i tre aspetti essendo partecipi della trionfante umanità di Cristo.

Tali vincitori saranno tenuti nel “libro della vita”, il registro della cittadinanza del regno (Es. 32:32; Sl. 69:28; 139:16; Da. 12:1; Ml. 3:16); essi rimarranno per sempre cittadini della vita e del suo impero, che egli confesserà “davanti al Padre mio e davanti agli angeli” (3:5; cfr. Mt. 10:32; Mc. 8:38; Lu. 12.8; Gv. 2:23; 2 Ti. 2:12). Il linguaggio è militare; i vestiti sono le divise della vittoria, senza combattimento niente vittoria. La chiesa che insegue la forma piuttosto che la potenza di vita è in piena ritirata dalla vita e da Cristo.

 

Note:

1 Ramsay, op. cit., p. 324
2 Ibid, 336.
3 Joseph Fontenrose, Python: A Study of Delphic Myth and Its Origins, Berkeley, University of California Press, 1959, p.470.
4 Rist. op. cit. ,p.390.
5 Barclay, op. cit., p. 68, 73.
6 Carpenter in Ellicott, op. cit.,p. 546


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