DANIELE 11
LEGALISMO E ORGANISMO (CORPO SOCIALE)
Con la sola esclusione dei nomi degli uomini e talvolta degli imperi, l’esattezza di Daniele 11:2-35, nella sua descrizione della storia dalla Monarchia Persiana fino ad Antiochio Epifane è concessa da ogni studioso, ma con una differenza. Per gli esponenti dell’alta critica, il passaggio è il fondamento cardinale per la loro tarda datazione di Daniele, e per la loro affermazione che un Maccabeo, familiare con la storia coinvolta, scrisse il libro come strumento per incoraggiare i Giudei perseguitati del proprio tempo. Per lo studioso cristiano ortodosso, questo passo è un’altra istanza di profezia predittiva e provenne dalla mano di Daniele.
Secondo Daniele, chi parla è Cristo, il quale sostenne Michele, e perciò il suo popolo scelto, durante i giorni sopra menzionati (11:1), ed Egli, Dio il Figlio, fu strumentale nel rovesciamento di Babilonia da parte di Medo-Persia quale mezzo di avanzamento dei suoi propositi redentivi per il suo popolo.
Dio il Figlio parlò quindi nei termini della sua promessa (10:14) di far conoscere i problemi del popolo scelto, cioè la vera chiesa, nel “tempo futuro”, nell’era Messianica (11:2). Primo, la chiesa Giudaica viene preparata per la sua prova, e la sua esperienza fatta basilare alla prospettiva del futuro. In addizione al monarca corrente, tre re si sarebbero susseguiti sul trono di Persia, e poi un quarto “diventerà molto più ricco di tutti gli altri; quando sarà diventato forte per le sue ricchezze, solleverà tutti contro il regno di Javan”(Grecia) (11:2b). Ciro era re a quel tempo, i tre successori furono Cambise, Smerdis e Dario Histappe, ed il quarto Serse. Questi tentò l’invasione della Grecia quando il potere persiano fu all’apice. La potenza imperiale greca pervenne all’attenzione in Alessandro Magno (11:3-4) del quale vengono predetti la potenza, la morte prematura, e la quadruplice divisione del suo impero “ma non fra i suoi discendenti”.
Il periodo successivo (11:5-20) è la lotta tra Tolomeo e Seleuco e i loro successori, per la Palestina. l’Egitto, “il Sud” divenne potente sotto Tolomeo Soter, 322-305 a. C., e Seleuco, fatto fuggire quando Antigono gli prese Babilonia, guadagnò il sostegno di Tolomeo e recuperò Babilonia nel 312 A.C., annettendo un regno che si estendeva dalla Frigia all’Indo. (11:5). Alcuni anni dopo, furono formate delle alleanze tra questi due regni, col matrimonio della figlia di Tolomeo Filadelfo Berenice ad Antiochio II, Theos, che mise da parte la propria moglie Laodicea per sposare lei. Quando, due anni dopo, Tolomeo Filadelfo morì, Antiochio II abbandonò Berenice e rifece regina Laodicea, la quale, piena di desiderio di vendetta, contraccambiò assassinando prima suo marito e poi Berenice, col risultato del fallimento dell’alleanza come profetizzato (11:6).
Il fratello di Berenice, Tolomeo Euergetes, il terzo Tolomeo in Egitto, invase allora “il nord”, mettendo a morte Laodicea (11:7) e ritornando con molto bottino (11:8). Due anni dopo, Seleuco Callinicus riguadagnò il potere “al nord”, marciò contro Tolomeo, ma fu sconfitto malamente, c. 240 A.C. (11:9). I suoi figli, Seleuco Cerunus e Centiochio il Grande, riportarono il potere nel reame e lo estesero attraverso la Palestina fino a Gaza (11:10). Tolomeo Filopator allora attaccò i Seleucidi, o Siriani, e li sconfisse in modo schiacciante a Rafia ma “non sarà più forte”, mancando del carattere necessario per utilizzare la vittoria (11:11-12). Una delle inevitabili prove della vittoria è la capacità d’usarla.
Antiochio ritornò alla guerra tredici anni dopo, dopo la morte di Tolomeo Filopator, in lega con Filippo di Macedonia e ribelli in Egitto, ed anche “trasgressori” in Giudea che si erano allineati con la Siria nella speranza di stabilire il loro sogno o visione messianica col rovesciamento dell’Egitto. (11:13-14). Antiochio sconfisse l’Egitto a Sidone (11:15), solo per cadere vittima del suo stesso orgoglio, ma non senza una totale vittoria sui suoi nemici ed un dominio sicuro in Palestina (11:16). Antiochio diede in moglie la propria figlia Cleopatra al giovane Tolomeo nella speranza di controllare quel trono, ma essa appoggiò il marito contro il proprio padre (11:17). Poi Antiochio conquistò alcune isole del Mediterraneo, con non poco vituperio verso Roma, solo per essere sconfitto da Lucio Scipio Asiatico, con il vituperio che gli ricadde addosso. (11:18). Ne risultò l’eclissarsi di Antiochio (11:19), che fu seguito da Seleuco Filopator, il quale tentò, attraverso Eliodoro, il primo ministro, di impadronirsi del tesoro del tempio in Gerusalemme, solo per fallire e Seleuco stesso presto perì (11:20).
La sezione successiva (11:21-35) tratta chiaramente di Antiochio Epifane, che prese un potere non suo di diritto, “uomo spregevole” che prenderà “il regno con intrighi (chalaqlaqquah, adulazioni)” (11:21). Con l’inganno e la falsa pace, Antiochio Epifane arginò le potenze dei suoi nemici, svuotando con i suoi mezzi le straripanti forze aliene (11:22-24). Ne seguì la prima campagna d’Egitto, con la vittoria per Antiochio, che si sentì allora sicuro abbastanza per cominciare i suoi piani per abbattere la separazione religiosa e l’indipendenza della Giudea. (11:25-28). Viene menzionata anche un’altra campagna d’Egitto (11:29), che avverrà “al tempo stabilito” nei termini degli scopi di Dio. Viene quindi descritta la persecuzione dei Giudei per la loro indipendenza religiosa (11:30-35); che procede da, e viene dopo il fallimento di Antiochio di catturare l’Egitto, dovuto all’intervento di Roma (le navi Romane vennero da Chittim o Cipro). Il tempio fu occupato, il sacrificio continuo terminato, e il suo idolo collocato all’interno. I Giudei apostati o ellenizzati furono in lega con Antiochio, “ma il popolo di quelli che conoscono il loro DIO mostrerà fermezza e agirà”. Ai fedeli verrà accresciuto l’intendimento e daranno conoscenza ad altri, ma ciò nonostante i fedeli incontreranno tragedie in quei giorni. Quando prendono posizione e prosperano molti ipocriti si uniranno a loro. L’intero processo, comunque, avverrà nei termini di una purificazione e raffinamento da parte di Dio, per far avanzare l’intendimento e la maturazione storica.
La sezione conclusiva di Daniele 11, i versetti 36-39, 40-45, sono i punti di radicale divergenza tra i commentatori. I critici modernisti, mentre argomentano contro qualsiasi frattura nella narrativa, nondimeno riconoscono una cesura di qualche tipo. Così, H.T. Andrews nel Peake’s Commentary on the Bible vide una cesura a 11:40, dove “la storia finisce ed inizia la profezia”, un’opinione sostenuta anche da Driver. La ragione di questa opinione è l’espressione in 11:40 “E al tempo della fine” presa a riferimento di qualche era futura. Eppure, nonostante questa frase, il resto del passaggio continua in perfetta continuità col precedente! Inoltre, anche quelli che avrebbero 11:36-39 riferirsi ad Antiochio Epifane trovano difficile interpretarlo nello stesso senso di compimento di 11:2-35, dove, senza problemi, gli eventi collimano con la storia, mentre invece in 11:36-39, il parallelo stretto diventa forzato. Pertanto alcune cose diventano apparenti:
Antiochio Epifane non è, in 11:21-35 individualmente chiamato un “re” (né poteva cf. vs. 21), solo una volta, collettivamente (11:27 “il cuore di questi due re”) ma viene chiamato semplicemente “un uomo spregevole” e poi sempre “egli”. In questo modo si evita di dargli dignità, mentre 11: 36-39 si riferisce a “il re”.
Keil, in accordo con i più nel riferire 11:36-45 all’Anticristo, rimarcò: “Essenzialmente il riferimento della sezione 11:36-45 all’Anticristo è corretta ma la supposizione di un cambio di soggetto nella rappresentazione profetica non è stabilita”. Keil così optò per un tipo profetico di continuità e di sviluppo. “Nella contemplazione profetica c’è compresa nell’immagine di un re ciò che è stato storicamente adempiuto ai suoi inizi da Antiochio Epifane, ma troverà il suo completo compimento solamente per mezzo dell’Anticristo al tempo della fine” [1].
Questa è un’osservazione molto percettiva, benché inaccurata nel suo riferimento all’Anticristo. Come abbiamo visto, Daniele dà profezia politica, mentre l’Anticristo è un concetto religioso. E mentre è vero che la politica ha carattere messianico, è comunque ancora chiaramente politica, attività civile, in nessun modo ecclesiastica. Perciò il riferimento non può essere all’Anticristo, perché questa sarebbe una rottura radicale con l’intero contenuto della profezia di Daniele. Calvino, come sempre un commentatore percettivo, applicò queste sezioni all’Impero Romano. “Con la parola ‘re’ non penso sia indicata una singola persona, ma un impero, qualunque sia il suo governo, sia con un senato, o per mezzo di consoli, e per proconsoli”. Tale uso era già stabilito in Daniele. Inoltre, i quattro imperi erano stati profetizzati come levarsi e cadere in relazione alla venuta del Re messia.
Lo esplicitiamo senza perifrasare: l’angelo non profetizzò di Antiochio, o di qualsiasi singolo monarca, ma di un nuovo impero, significando quello Romano. Abbiamo sottomano la ragione per cui l’angelo passò direttamente da Antiochio ai Romani. Dio desiderò sostenere lo spirito dei pii, affinché non fossero sopraffatti dal numero e dal peso dei massacri che attendevano loro e la chiesa intera anche fino all’avvento di Cristo. Non è sufficiente predire gli eventi sotto la tirannia di Antiochio; poiché, dopo il suo tempo, la religione giudaica fu sempre più danneggiata, non solo da nemici stranieri, ma dal loro stesso sacerdozio. Nulla rimase incontaminato, poiché la loro avarizia ed ambizione era arrivata a tale picco, che essi calpestarono tutta la gloria di Dio, e la legge stessa. I fedeli avevano bisogno di essere fortificati contro tali numerose tentazioni, fino a che Cristo venne, e poi Dio rinnovò la condizione della sua Chiesa. Perciò, il tempo che interveniva tra i Maccabei e la manifestazione di Cristo, non doveva essere omesso. Ora è abbastanza chiaro il motivo per cui l’angelo passò subito da Antiochio ai Romani [2].
Possiamo aggiungere, a conferma di tutto ciò, che “il re” o regno di 11:36 continuerà almeno finché (e, dopo quello, la sua storia non è per il momento d’interesse) “finché l’indignazione sia completata” (cf. 8:19), cioè l’intera ira di Dio per l’apostasia sia sfogata su Israele. Questo chiaramente si riferisce agli eventi del 66-70 D.C., e allora sia l’apostasia manifestata sotto Antiochio Epifane avrà avuto il culmine, sia l’ira di Dio o la Sua indignazione sarà stata pienamente rivelata. L’ira di Dio contro Israele non può dirsi essere culminata o terminata sotto Antiochio Epifane, e di qui, 11:36 si riferisce ad un altro “re” o regno: Roma. Inoltre, ciò che ci viene dato qui è, per usare un’espressione di Calvino (Lezione LXIII.) “una serie perpetua” con la quale la vera chiesa viene preparata per tutti gli aspetti di quella quarta monarchia e la sua fede: salvezza per legge o legislazione, che marcherà la storia
durante molta dell’era cristiana quanto i secoli conclusivi dell’era del Vecchio Testamento.
Secondo 11:37, questa nuova minaccia sarà segnata da tre caratteristiche:
Questo dunque, era la nuova minaccia che si erse nella forma di Roma, nella sua prima formulazione, dopo che calò la minaccia di Antiochio Epifane. Antiochio aveva i suoi seguaci in Israele (11:32), e ai giorni di Cristo, fatta eccezione per un residuo che sarà interamente separato dal vecchio Israele, tutti erano in apostasia. La linea di divisione tra Roma e Giudea era tale solo umanamente: entrambe erano sposate ad un concetto di salvezza radicalmente legalista. Non fu un incidente della storia, ma la certa rivelazione della sua relazione, che l’organizzazione che meglio perpetua la dottrina farisaica chiami se stessa Chiesa Cattolica Romana, sostenendo, come i farisei, la salvezza per opere, opere di supererogazione (fare di più di quello che è richiesto), i meriti dei santi (o con i Giudei, di Abrahamo), ecc.
Daniele 11:38-39 parla quindi della devozione di questo nuovo impero, al “dio delle fortezze” e alla conquista ed espansione imperialista, ricompensando quelli che stanno con il dio di questo programma. Disprezzare Dio significa inevitabilmente disprezzare l’uomo. Disprezzando la loro creaturalità, i figli di Roma disprezzano anche tutte le altre creature e ricercano l’auto-magnificazione attraverso la distruzione umana. C’è sempre qualche Cartagine che deve essere distrutta perché qualche Roma sia libera di imporre il proprio marchio di schiavitù. Lo stato imperiale moderno insiste sulla neutralità verso Dio, ma il neutralismo riguardo lo stato imperiale ed i suoi obbiettivi è intollerabile, un affronto alla maestà dello stato divino. Gli Stati Uniti, un tempo grandi campioni internazionali di neutralismo, confrontano oggi (1970) l’Unione Sovietica come loro grande nemico [3]. Nessun stato può evitare di fare di sé la grande pietra di paragone della verità e del carattere se si allontana dalla primazia di Dio e della sua parola e legge. Il dio della forza diventa il solo dio e la legge ultima, che sia espresso nei termini del concetto del potere della maggioranza e del governo democratico, o apertamente dichiarato nell’uso della “forza” o “armamento bellico” quali basi della legge. È una potenza immanente e coercitiva che viene deificata; è la sopraffazione di gruppi minoritari e dei diritti e della legge nel nome di un potere più forte al presente, la maggioranza degli impugnatori di fucili.
In Daniele 11:40-45, abbiamo un ulteriore sviluppo della prospettiva profetica sulla storia. Alcune cose appaiono chiaramente:
Questo passaggio è chiaramente simbolico, come pure il precedente. Sostenere un compimento letterale nei termini di Siria, Egitto ed Israele richiede anche la ricostruzione di Edom, Moab, ed Ammon, stati e popoli morti da lungo tempo. Che cosa dunque significa il passaggio?
All’inizio di questa visione, fu detto chiaramente che essa era per “gli ultimi giorni” e “per molti giorni” (10:14) [4]. Così, mentre tratta del tempo da Daniele ad Antiochio, il punto focale è chiaramente l’era cristiana. L’espressione “ultimi tempi (posteriori)” è applicata dal Nuovo Testamento al tempo tra il primo ed il secondo avvento (1 Tim.4:1). “Ultimi giorni” è anche frequentemente usato (Atti 2:17; 2Tim. 3:1;Eb. 1:2; 2Pt. 3:3 ecc.), anche “ultimi tempi” (1Pt. 1:20), e Giovanni ci dice due volte in un solo verso che “è l’ultima ora” (1Gv. 2:18; cfr. Giuda 18). La monotonia della storia di Daniele 11: 2-35 è la monotonia della ciclicità orientale. La nota di progresso nel male viene introdotta da Roma, col suo concetto legalista di salvezza per mezzo della legge civile, e poi dal risveglio del concetto bastardo Ellenico-Orientale di unità organica, che invade la chiesa dal mondo civile e crea un prevalere della propria fede sincretista. Lo stato organico non è stato privo dei suoi trionfi nell’area politica. L’heghelianesimo lo ha sicuramente fatto avanzare nel mondo moderno, e la sua influenza sul Marxismo è marcata, benché il motivo legalista sia definitivamente predominante nel pensiero Marxista. Il periodo Hitleriano fu sicuramente un revival dello stato organico, e così il Fascismo. Ma la vittoria più netta nell’arena politica appartiene al legalismo romano. È nell’area della chiesa che il concetto organico ha trionfato, ed il pensiero esistenzialista e quello neo-ortodosso sono ovvie evidenze di questa vittoria. La distinzione Creatore-creatura è basilare al concetto Cristiano del corpo di Cristo e dell’esserne membro. L’unione del credente con Cristo non è un condividere la sua divinità, ma la sua perfetta umanità. È Cristo come ultimo Adamo, l’uomo nuovo che è l’origine della nuova umanità, a cui il credente è unito. La distinzione viene elusa nell’ecclesiologia eretica, e l’uomo fatto partecipe della divinità di Cristo. Il trionfo di Antiochio Epifane e dell’ “abominazione della desolazione”, il simbolo della continuità dell’uomo col divino, è la chiesa moderna. Lo stato sul quale regnò Antiochio Epifane fu un incontro tra il divino e l’umano, con lui stesso il punto focale di quell’incontro, e la necessità dell’unità organica rese imperativa la persecuzione di quei Giudei separatisti che rifiutavano le vere premesse della società siriana. Oggi la chiesa modernista sostiene un concetto organico di se stessa in termini ellenici-orientali, ed è una chiesa alla ricerca di quello stato divino-umano attraverso il quale verrà l’ordinamento redentivo. Il revival o risveglio “del nord” della società divina-umana, e l’ “abominazione della desolazione”, mentre comincia come filosofia politica, ha avuto successo essenzialmente nel reame della chiesa ed è divenuta il fondamento dell’ecclesiologia moderna. Può parlare il linguaggio del “corpo di Cristo” ma il suo significato ha un intento radicalmente diverso. Il suo quartier generale è perciò precisamente tra il mondo e la chiesa. Proprio come lo stato organico e lo stato legalista lottarono per il popolo del Vecchio Testamento e la loro terra, col trionfo imperiale del legalismo, così i due lotteranno per la Chiesa cristiana, col trionfo che andrà prima al legalismo, e poi, ma non definitivamente all’organicismo (o teoria del corpo sociale).
Bisogna prender nota di un ulteriore punto. La prima porzione di Daniele 11 e l’ultima (v. 36 s.) entrambe hanno quale punto focale Gerusalemme. Gerusalemme è descritta come l’obbiettivo di Siria ed Egitto, ed è l’obbiettivo anche del nuovo regno degli ultimi giorni. Gerusalemme rappresenta qui il popolo di Dio, i santi di Dio. All’inizio, l’ostilità non è manifestata consciamente ma, con l’aumentare della consapevolezza epistemologica, come con Antiochio Epifane, diventa aperta e diretta. Il popolo di Dio rappresenta una potenza aliena, e perciò il regno dell’uomo gli fa guerra. Ma il governo è sulle spalle di Cristo (Is. 9:6), ed Egli prevarrà, ed il suo popolo con Lui.
Note:
1 C.F. Keil, Commentary, ad loc.
2 Giovanni Calvino: Commentaries on Daniel, Lezione LXII, Daniele 11:36
3 Si veda Felix Morley: Freedom and Federalism, Chicago: Regnery, 1959, p. 87-115.
4 (Quei Giorni Diodati; Molti giorni K.J.)