DANIELE 8
LE PROSPETTIVE DELLA STORIA
“Nel terzo anno di regno del re Belshatsar” (8:1) pervenne a Daniele un’altra visione, una che concerneva il secondo ed il terzo impero. La visione era perciò precedente al tempo degli eventi di Daniele 5.
La località della visione è Shushan, o Susa, la capitale principale dell’Impero Persiano nei suoi giorni di potere. Daniele 8:2 e 8:16 rendono chiaro che l’intera visione, dai giorni del potere Medo-Persiano fino ad Antiochio Epifane, proviene da Susa, un fatto che colpisce, perché il centro della scena, per quanto concerne l’azione, è solo brevemente Susa. La prospettiva perciò, è Susa, perché la fede e la filosofia di quella fortezza e sede dell’impero rimase la prospettiva dei suoi successori finché Roma non apparve sulla scena.
Il concetto organico di regalità e la sua affermazione della continuità del popolo col re, e del re col divino, è quindi il principio dominante della visione, poiché questo concetto fu più chiaramente focalizzato nell’Impero Medo- Persiano e dominò gli imperi seguenti, influenzando anche Roma in misura notevole. Ad ogni modo, in Roma a dispetto delle influenze Orientali molto marcate, il principio legalista, giuridico, trionfò come fattore residente nella susseguente storia occidentale ed ora mondiale, benché non senza conflitti, nel fatto che entrambi i concetti (unità organica e unità nella legge) furono trasmessi a Roma e per mezzo di Roma.
Il disprezzo Greco per i Persiani fu dichiarato da Plutarco nei suoi commenti nel suo Vita di Artaserse II: “Il re Persiano ed il suo impero erano potenti certamente in oro, lusso e donne, ma altrimenti era un mero spettacolo di vana ostentazione”. Molto di questo disprezzo è basato sull’invidia, e i Greci non erano preoccupati solamente delle conquiste ad Oriente, ma anche del potere nei termini di quell’Eldorado d’Oriente. Così, Alessandro e i suoi quattro successori assunsero il concetto di regalità Medo-Persiana in misura notevole. Plutarco citò un esempio incisivo degli estremi a cui fu spinto il concetto Persiano di regalità. Artaserse II sposò la propria figlia Atossa, dichiarando “ella essere la sua legittima sposa, calpestando tutti i principi e le leggi con cui i Greci si ritengono legati, e considerando se stesso come divinamente istituito quale legge ai Persiani, ed il supremo arbitro del bene e del male”. Questi stessi fini, il calpestare il bene ed il male da parte dell’uomo il Legislatore, e la deificazione dell’uomo, furono anche gli obbiettivi ultimi del legalismo Romano, ma il concetto Persiano lo ricercò nell’unità organica della società nel dio-re, gli eredi Romani nei diritti giuridici dell’uomo individuale, per il cui bene esiste la legge, il governo e la società.
Daniele vide l’Impero Medo-Persiano come un montone: “Le due corna erano alte ma un corno era più alto dell’altro, anche se il più alto era spuntato per ultimo” (8:3). Secondo Keil: “in Bundehesch lo spirito guardiano del regno Persiano appare sotto le forme di un montone con piedi ben torniti e corna appuntite, e, secondo Ammiano Marcellino XIX, 1, il re Persiano, quando stava a capo del suo esercito, indossava, invece del diadema, la testa di un montone”. Daniele vide espandersi considerevolmente la potenza di questo impero in ogni direzione eccetto a Est “così fece quel che volle e diventò grande” (8:4). “Quel che volle”, ha sottolineato Young, significa “fece esattamente come volle, indicando potere dispotico, arbitrario” [1].
Ad ogni modo, sorge un “capro”, Alessandro Magno, il quale, osserva Young: “Divenne conosciuto come ‘Quegli delle due corna’, poiché egli si faceva rappresentare con due corna per provare che era figlio di Ammon testa di montone, dio della Libia” [2]. Ammon o Amon, di Egitto e Libia, identificato anche con Giove e Zeus dagli scrittori classici, veniva rappresentato o con la figura seduta di un uomo con la testa di montone, o un montone intero blu; in suo onore gli abitanti di Tébessa (Tunisia) si astenevano dalla sua carne. Il suo nome compare su monumenti Egizi come Amn o Amn-re (Amon il sole). L’Amon di Tebe aveva semplicemente forme umane, ed era chiamato “il re degli dèi” ed era virtualmente identificato in un culto col sole, in un altro con l’Egizio Pan. Il giudizio viene pronunciato su di lui in Geremia 46:25. “Ecco io punirò la [amon] moltitudine di No”.
Il capro era un’antica divinità, o simbolo di divinità, come indica Levitico 17:7, essendo i “demoni” [sai’yr = capro, demone] che gli Israeliti adorarono nel deserto. Il culto al capro esisteva in Egitto, era presente nell’adorazione di Pan (dio greco dei pastori inventore del flauto di Pan) ed era un simbolo riconosciuto della nazione macedone. Monete di Archelao, re dei macedoni (413 A.C.), rappresentano sul rovescio un capro e, molto più tardi, la conquista della Persia da parte di Alessandro è rappresentata su di una gemma con una incisione di “due teste unite all’occipite, l’una di montone, l’altra di un capro unicorno” [3]. Così, Alessandro fu il grande corno e fondatore dell’Impero Macedone, ed il trasmettitore della vita e della base razionale dell’Impero Persiano, col suo assorbimento di quella fede dentro alla propria struttura. Il presuntuoso e arrogante potere di Alessandro è descritto in 8:8 “Il capro diventò molto grande”; ovvero potente e di successo ai propri stessi occhi. La rabbia dei Greci pure (8:7) era notevole, e il desiderio di rovesciare la Persia era pari al desiderio di raddrizzare la storia. Comunque, nel mezzo della sua potenza, Alessandro “si spezzò” [meglio sarebbe “fu rotto”], morì a trentatré anni, e l’impero fu diviso fra quattro notabili “quattro corna cospicue” (8:8), i quattro generali, essendo un quinto, Antigono stato sconfitto precedentemente ad Isso, nel 301 a.C., cosicché, vent’anni dopo la morte di Alessandro nel 323 a.C. il regno pervenne ai quattro generali. Lisimaco prese Tracia e Bitinia e possibilmente tutta l’Asia Minore. Cassandro guadagnò la Macedonia e la Grecia. Tolomeo prese Egitto e territori contigui e Seleuco prese Siria, Babilonia e le nazioni Orientali fino all’India.
Dalla potenza Siriana, alcune generazioni più tardi, dall’insignificanza a grande potere ed esaltazione “uscì un piccolo corno, che diventò molto grande” (8:9) [4]. Costui fu Antiochio IV, Theos, Epifanes, Niceforus, nomi che egli si diede, il quale regnò dal 175 al 164 a. C.. Antiochio cominciò la sua vita come ostaggio di Roma, non riponeva la sua fede in alcun dio eccetto il dio romano della guerra, e le fortezze furono i suoi veri templi. La sua politica riguardo ai Giudei sembrò incoerente alla luce dei suoi modi di procedere usualmente liberali, ma sgorgò da un passionale desiderio di portare alla consumazione il proprio concetto di stato, l’unione di popolo e re quale unità divina ed organica, il re stesso essendo la manifestazione di questa divinità nella propria persona, il punto focale del processo storico e divino. Non sorprende che Gerusalemme e “il paese glorioso”, o meglio “il desiderio” com’era chiamata Canaan (Ez. 20:6; Gr. 3:19 Da.11:16, 41) abbia catturato la sua attenzione, nel fatto che la fede di quel paese era un’offesa radicale per ogni aspetto della sua filosofia. I Giudei erano nel processo di diventare ellenisti nei termini dell’Ellenismo Siriano, avrebbero potuto abbracciare un radicale sincretismo, se Antiochio non avesse sostenuto e protetto la flagrante corruzione e l’omicidio da parte dei sacerdoti ellenisti. Antiochio Epifane, chiamato anche scherzando col suo nome: Epimanes cioè il Demente, cercò di spegnere ogni traccia della fede biblica (8:10-11), ordinando l’adozione della religione greca, consacrando, nel dicembre 168 a.C. il tempio di YHWH a Gerusalemme al Zeus dell’Olimpo, ergendo la sua statua e sacrificando in suo onore un maiale. Queste azioni fecero precipitare la rivolta Maccabea.
V.12 E un esercito gli fu dato insieme al continuo in trasgressione e gettò a terra la verità, fece e prosperò. Nel dare questa traduzione, sto semplicemente presentando ciò che il testo sembra dire…In questo modo, un esercito (cioè molti degli Israeliti), a motivo della trasgressione (Cioè apostasia da Dio), sarà dato (arreso in trasgressione) insieme con (allo stesso tempo de) il sacrificio continuo. Inoltre, il corno gettò la verità (la verità oggettiva, manifestata nell’adorazione di Dio) a terra, e prosperò nelle sue azioni. Cfr. 1 Macc. 1:43-52, 56, 60 per l’adempimento storico [5].
La durata di questo gettare a terra è 2300 giorni (8:14), dopo i quali il santuario è purificato. Keil ha giustamente interpretato questo tempo, un po’ meno di sei anni, a significare non del tutto il pieno giudizio di Dio su Israele, che cadde nella pienezza nel 66-70 d.C. per la loro culminata apostasia. L’apostasia e la punizione sotto Antiochio sono descritte come giungere vicino alla fine dei tempi, cioè dell’era dell’Antico Testamento (8:17). Sarà una manifestazione dell’ “indignazione” di Dio (8:19) per l’apostasia d’Israele. I trasgressori di 8:23 sono i Giudei apostati e compromessi. Antiochio è fatto sorgere da Dio per punire Israele ed è anche da Dio fatto cadere (8:24-25), “infranto senza mano”, senza l’intervento umano.
Questa visione, con la sua ulteriore dichiarazione che Israele è messo da parte da Dio, ebbe l’orrore aggiunto dell’apostasia d’Israele, con la sua indicazione di una apostasia culminante verso la fine, e di conseguenza lasciò Daniele profondamente addolorato e fisicamente malato (8:26-27).
Qual’è la relazione tra questo “piccolo corno” dell’era del Vecchio Testamento con quello dell’era del Nuovo Testamento, come viene descritto in 7:8, 24-26? La comparazione dell’uno o dell’altro, entrambi figure politiche, con l’Anticristo, figura religiosa ed ecclesiastica, è, come abbiamo visto incorretta. Il “piccolo corno” del Vecchio Testamento, Antiochio Epifane, compare come un germoglio dei tre grandi imperi, Babilonia, Medo- Persia e Macedonia, e del loro concetto organico di regno (o regalità), di cielo o paradiso in terra per mezzo di questo concetto di continuità che unisce cielo e terra. Il “piccolo corno” dell’era del Nuovo Testamento viene similmente dopo la pienezza dello sviluppo del concetto Romano di regno dell’uomo e rappresenta la sua idea di pace mondiale per mezzo della legge e di continuità con le potenze ultime della creazione per mezzo dell’inserimento dentro al loro potentato per mezzo di legalità e legge. Quindi, questo primo corno è visto da Shushan, dal picco del concetto Orientale di compimento dell’uomo, ed il secondo dalla prospettiva di Roma, la quarta monarchia, vista come potenza emanata dal quarto Impero. Ciascuno è un prodotto finito. Ciascuno spinge o forza la questione (il proprio concetto di salvezza) alle sue implicazioni ultime, ed entrambi sono distrutti da Dio e, con il secondo, la sua distruzione è fatta coincidere con l’inizio della potenza matura e aperta del vero regno di Dio.
Note:
1 Young: Commentario, ad. loc.
2 Ibid.
3 John M’Clintock e James Strong, Cyclopedia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature, III, p. 899s.
4 Young: Traduzione e comm. a 8:9.
5 E.J. Young, Comm. ad. Loc. Per l’estensione dell’apostasia Giudaica si veda Josef Kastain, History and Destiny of the Jews; New York, Garden City Publishing Co., 1936, p. 94-102.