Decimo Comandamento
4. Reati contro il nostro prossimo
Il decimo comandamento, come il nono, fa menzione del nostro prossimo, il nostro consimile. Nel decimo comandamento, la parola prossimo compare tre volte (Es. 20:17; De. 5:21). Chiaramente, l’intera seconda metà della legge tratta con i reati contro il nostro prossimo, ma il decimo comandamento è particolarmente rivolto a questo aspetto.
In Esodo 20:17 viene usata una parola per “concupire”, mentre in Deuteronomio 5:21, vengono usate due parole, la prima tradotta “desiderare” col significato di “deliziarsi in”, voglia, desiderio; la seconda, resa con “concupire” col significato di “voler possedere”, secondo l’esegesi tradizionale. Come abbiamo notato, Von Rad ha mostrato che la parola “concupire” ha due significati, sia concupire che prendere”[1]. Allora, perché il significato è diventato limitato ad un solo aspetto: l’attitudine mentale? La causa giace nel basilare dualismo del pensiero pagano e delle filosofie elleniche che hanno ampiamente influenzato il pensiero occidentale, teologia inclusa. Mente e corpo sono separati in due reami separati, e la separazione ha portato a serie conseguenze. Intento e azione sono diventati divorziati, e le conseguenze delle azioni sono state separate dalle conseguenze del pensiero. A volte, le azioni sono state ritenute irrilevanti perché la mente è stata basilare per la definizione dell’uomo. Altre volte, la mente è stata libera di indulgere in ogni bizzarria perché la responsabilità veniva ascritta solo alle azioni. Il dualismo ha in questo modo portato a una basilare irresponsabilità.
Questo comandamento, in quanto legge, si occupa delle azioni degli uomini, espropriazioni illegali e immorali di ciò che è proprietà del nostro prossimo. Basa questa varietà di azioni illegali negli intenti dell’uomo, nella sua mente. L’azione immorale comincia con un pensiero empio, e i due sono inseparabili. Il dr. Damon ci dà un’illustrazione di ciò:
I maschietti sono malelingue; credetemi, lo so. Si vantano delle loro conquiste sessuali. In segreto potranno pure sentirsi in colpa se sono stati i primi con una ragazza; questo perversamente li porta a dire ad un altro ragazzo di quanto disponibile ella fosse stata e lo spinge a “provarla”. Vuole qualcuno che condivida il suo biasimo. Ben presto, una ragazza che permetta un’intimità o delle intimità, anche se è fortunata abbastanza da non rimanere incinta, si trova a pagare un prezzo terrificante: diventa scadente. Anche se lascia una scuola e va lontano in un’altra e cerca di seppellire i propri sbagli, una sorta di passato da due soldi ha il suo modo di raggiungerla [2].
Uomini in colpa (e donne in colpa) vogliono ridurre altri al loro livello. Questo è un aspetto importante della loro filosofia e comportamento. Perciò uno scrittore, nel fare un’indagine sui costumi sessuali tra i funzionari di Washington, D. C., scoprì che il peccato sessuale lì non è abbastanza da fare al caso suo. La sua risposta ai problemi mondiali e nazionali è fare più peccati sessuali, perché ci sarebbero meno standard a dividerci. Senza standard, egli crede, avremmo più pace. Una colpa comune pertanto, è per lui uno strumento verso una pace comune. Che una rivista nazionale ritenuta di spessore superiore abbia pubblicato quest’articolo è un’interessante dimostrazione dei tempi. Ma lasciamo che John Corry parli per sé:
Sarebbe una cosa spettacolare per la nazione se il Presidente, il suo Consiglio dei Ministri, e un numero di altri uomini importanti a Washington, con J. Edgar Hoover che viene in mente per primo, venissero ogni tanto chiusi a chiave in un bordello, non un bordello raffinato della zona orientale di New York, ma qualcosa di più sudaticcio e immaginoso, dove qualcuno come Jean Genet ne sia l’ideatore. Questo non renderebbe più intelligenti gli uomini importanti che ci sono lì dentro, ma potrebbe renderli più simpatetici col resto di noi. Washington non dà per scontate le debolezze della carne e molte volte nemmeno le riconosce. Gli uomini importanti di Washington non sono abituati a sentirsi colpevoli come fa il resto di noi, che ci preoccupiamo continuamente che stiamo facendo qualcosa di sbagliato, ma se lo facessero, potrebbe ribaltare il paese, e inoltre gli uomini importanti potrebbero sapere di più su di noi. La colpa ti fa più gentile e tollerante verso gli altri, un reale caso di colpa da bordello potrebbe fare miracoli su … diciamo, il Dipartimento di Giustizia. Strom Thurmond piangerebbe sangue per l’uomo nero, i progressisti licenzierebbero i sindacati, e tutti vorrebbero uscire dalla guerra del Vietnam domani [3].
Se la colpa rende gli uomini “più gentili e più tolleranti verso gli altri” come crede il Corry, è strano che la storia non ne abbia dato evidenze. Dagli antichi tiranni, imperatori romani, signori del Rinascimento, ai moderni burocrati, governanti comunisti, e dittatori, la colpa ha prodotto solo maggiore colpa e una radicale brutalità.
L’errore di Corry è in parte il suo dualismo. Non arriva a riconoscere che una mente colpevole continuerà a produrre azioni colpevoli e che ci sarà un crescendo tanto di malvagità che di colpa.
I dieci comandamenti non permettono un dualismo come quello rappresentato da Corry. La legge di Dio mette in relazione ambedue la mente e il corpo dell’uomo con la legge, e unisce l’osservanza della legge da parte dell’uomo con la sua osservanza del patto con Dio.
Nel libro Common Prayer, la Colletta che precede la lettura della legge enfatizza questa unità di pensiero e azione:
Dio onnipotente, davanti al quale tutti i cuori sono aperti, tutti i desideri conosciuti, e dal quale nessun segreto è nascosto: Purifica i pensieri del nostro cuore per l’ispirazione dello Spirito santo affinché possiamo amarti perfettamente, e magnificare degnamente il tuo santo nome; per Cristo nostro Signore. Amen.
Il responso della gente alla lettura della legge è similmente fondata in questa unità: “Signore, abbi misericordia di noi, e inclina i nostri cuori a osservare la tua legge”. (La suddetta Colletta è parte anche della Liturgia della Messa nella funzione Cattolica Romana.)
Poiché la Giudea fu talmente ellenizzata durante il periodo intertestamentario, parte del Sermone sul Monte fu dedicato a una reiezione del dualismo nel nome della legge. Il legame tra la mente dell’uomo e l’omicidio e l’adulterio fu citato da Gesù come illustrazione di questo fatto (Mt. 5:21-28). In un’altra occasione, Egli dichiarò: “Non ciò che entra nella bocca contamina l’uomo, ma è quel che esce dalla bocca che contamina l’uomo” (Mt. 15:11). Dovendolo spiegare ai discepoli che non avevano compreso, aggiunse: “Ma le cose che escono dalla bocca procedono dal cuore; sono esse che contaminano l’uomo. Poiché dal cuore provengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, maldicenze. Queste sono le cose che contaminano l’uomo; ma il mangiare senza lavarsi le mani non contamina l’uomo” (Mt. 15:18-20).
Il pensiero empio è dunque non meramente un fatto senza conseguenze: nella vita unificata dell’uomo è un primo passo, e quel primo passo o culmina in un’azione empia o è ritrattato da un altro passo dentro all’osservanza pattizia. I nostri pensieri finiscono con l’avere un effetto sul nostro prossimo.
Il decimo comandamento pertanto presuppone e incarna un’importante filosofia dell’uomo e della legge.
Note:
1 Von Rad, Deuteronomy. p. 59.
2 Virgil G Damon, M.D., e Isabella Taves, I Learned About Women From Them; New York: David McKay Company, 1962, p. 243.
3 John Corry, “Washington, Sex, and Power”, in Harper’s Magazine, vol. 241, n° 1442, (luglio 1970), p. 68.