Il Secondo Comandamento
La morte è la fine del conflitto e una società in cerca di una falsa pace è in cerca della morte. Un antropologo ha scritto:
Il conflitto è utile. Di fatto, la società è impossibile senza conflitto. Ma la società è peggio che impossibile senza controllo del conflitto. L’analogia col sesso è ancora una volta rilevante: la società è impossibile senza una sessualità regolata; il grado di regolazione differisce tra le società ma la repressione totale porta all’estinzione; la totale mancanza di repressione pure porta all’estinzione. La totale repressione del conflitto porta all’anarchia altrettanto sicuramente che il conflitto totale.
Noi occidentali oggi temiamo il conflitto perché non lo comprendiamo più. Vediamo il conflitto nei termini di divorzio, tumulti, guerra. E li rigettiamo su due piedi. E, quando avvengono, non abbiamo “istituzioni sostitutive” per fare il lavoro che avrebbe dovuto essere fatto dall’istituzione che ha fallito. Nel procedimento, e a nostre spese, non permettiamo a noi stessi di vedere che matrimonio, diritti civili, e stati nazionali sono tutte istituzioni costruite sul conflitto e sul suo giudizioso, mirato controllo.
… Ci sono fondamentalmente due forme di risoluzione del conflitto. Regole amministrate e scontro. Legge e guerra. Troppo dell’una o dell’altra distrugge ciò che erano intese a proteggere e potenziare.1
La posizione di Bohannan è umanista e relativista. Ne risulta che il conflitto in una società di tale carattere tenderà all’anarchia. Con ciascun uomo una legge a sé stesso, senza assoluti eccetto la volontà dell’uomo, il conflitto totale o l’anarchia totale saranno le sole alternative ad un regime totalitario.
Il problema del conflitto non può essere risolto in qualche maniera giusta e ordinata in una società relativista. Dal momento che ogni prospettiva, religione e filosofia è resa legittima, e tutte le persone sono fatte cittadini, vengono in effetti ammesse alla legalità ogni possibile tipo di legge e ogni possibile cultura. A quel punto o uno stato repressivo e totalitario le sopprime tutte, o tutte prevalgono e regna l’anarchia.
L’individualismo e il collettivismo sono entrambi prodotti del liberalismo. Ellul ha osservato:
È ritenuto che una società individualistica, nella quale l’individuo sia ritenuto possedere un valore maggiore del gruppo, tende a distruggere quei gruppi che limitano il raggio d’azione dell’individuo, mentre una società di massa nega l’individuo e lo riduce ad un numero. Ma questa contraddizione è puramente teoretica e un’illusione. Nella realtà dei fatti, una società individualistica è costretta ad essere essere una società di massa, perché la la prima mossa verso la liberazione dell’individuo è di frantumare i piccoli gruppi che sono un fatto organico dell’intera società. In questo procedimento l’individuo si libera completamente da famiglia, villaggio, parrocchia, o legami di fratellanza, solo per trovarsi direttamente faccia a faccia con l’intera società. Quando gl’individui non sono tenuti insieme da strutture locali, la sola forma nella quale possono vivere insieme è una non strutturata società di massa. Similmente, una società di massa può basarsi solamente sugli individui, cioè su uomini nel loro isolamento, le cui identità sono determinate dalle loro relazioni gli uni con gli altri. Precisamente perché l’individuo afferma di essere uguale a tutti gli altri individui, diventa un’astrazione ed è in effetti ridotto ad un numero.
Non appena si riformino raggruppamenti locali organici, la società tende a cessare d’essere individualistica e con ciò a perdere anche il suo carattere di massa. Ciò che avviene a quel punto è la formazione di gruppi organici di élite in ciò che rimane una società di massa, ma che poggia nel contesto di partiti politici, sindacati, ecc. fortemente strutturati e centralizzati. Queste organizzazioni raggiungono solamente una minoranza attiva, e i membri di questa minoranza cessano d’essere individualistici essendo integrati in tali associazioni organiche. Da questa prospettiva, la società individualistica e quella di massa sono due aspetti corollari della stessa realtà. Questo corrisponde a ciò che abbiamo detto dei mass media: per operare una funzione propagandistica devono catturare l’individuo e le masse contemporaneamente.2
Il liberalismo dissolve i legami religiosi e famigliari e lascia solamente l’individuo senza radici e lo stato umanista. A quel punto la società ondeggia tra il collettivismo e l’individualismo.
Un ordinamento sociale che nega che Dio sia la fonte della legge deve necessariamente cercare il proprio principio di legge da dentro la storia o dall’uomo. Il conflitto della legge a quel punto non è più tra la legge di Dio e il peccato dell’uomo, ma è ora la legge della disposizione di un qualche uomo che costituisce peccatori di tutti gli altri uomini che se ne discostano. A quel punto la legge mostra anche un’ambivalenza tra un’aristocrazia che sopprime la gente e una democrazia che cerca di sopprimere l’aristocrazia. Il commento di Gray sullo scopo del governo civile mostra il problema chiaramente:
Che l’ordine sia usualmente considerato come il primo obbiettivo dei governi non sarà negato. I mezzi per far valere l’ordine differiscono nelle diverse comunità; ed è ragionevolmente evidente, altre cose essendo uguali, che il miglior governo per far valere l’ordine è il governo che sia capace, senza barriere di qualsiasi tipo, di imporre le sue restrizioni sull’individuo — cioè un governo dispotico. Se l’ordine è dunque l’obbiettivo principale, e un governo dispotico è il mezzo migliore per far valere l’ordine, perché non tutti i governi sono dispotici?
Perché “tutti gli uomini nascono eguali”, dunque ogni uomo che nasce sulla terra ha lo stesso diritto di qualsiasi altro uomo di usare la terra. In questo modo, si percepisce che quest’ordine, che è l’obbiettivo del governo, non sia il fine ultimo del governo, ma sia meramente il mezzo mediante il quale possa essere fruita quell’eguaglianza nella quale tutti gli uomini sono nati. Se questo è vero, il principio ultimo da cui dipende il governo è l’eguaglianza e la legge di coesione che regola le operazioni e l’organizzazione di governi è la legge dell’eguaglianza.3
Gray ammise che “Eguaglianza è un termine matematico”4 e ci si aspetterebbe che avesse visto l’impossibilità di applicare un’astrazione matematica all’uomo. Al contrario, egli ne favorì l’applicazione nella tassazione, il soggetto del suo studio. Egli ammise che il principio d’eguaglianza fosse uno sviluppo americano degli ultimi 50 anni, il che significherebbe a partire dalla Guerra Civile visto che Gray pubblicò nel 1906.5 Il suo concetto di eguaglianza era molto vicino al principio Marxista di eguaglianza, visto che egli percepiva che:
È ovvio che quell’eguaglianza non consiste necessariamente della mera eguaglianza contributiva. Che ogni uomo, ricco o povero, pagasse uguale, sarebbe la più grande delle ineguaglianze. Se consista di contribuzioni proporzionate alle proprietà è una questione che è stata lungamente discussa. I legislatori hanno trovato che le forme comuni di tassazione delle proprietà immobili e mobili sia il metodo in cui usualmente si ottenga un’eguaglianza sufficiente.
Un grande economista ha detto che l’eguaglianza davanti al fisco consiste di eguaglianza di sacrificio.
I legislatori hanno generalmente misurato l’eguaglianza di tassazione facendo riferimento all’ammontare dei benefici ricevuti piuttosto che considerare il sacrificio del contribuente.
L’economista dei nostri giorni sembra preferire l’idea di eguaglianza di sacrificio. Un’occhiata alle due principali teorie economiche della tassazione mostrano la distinzione tra l’eguaglianza basata sulla contribuzione proporzionale e l’eguaglianza di sacrificio.6
Gray negò la teoria delle tassazione riferita ai benefici; se quelli che ne beneficiano di più pagassero più tasse, i poveri e i deboli pagherebbero di più e i ricchi e i forti di meno.7 Da Gray in poi è chiaro perché sia venuto all’esistenza l’emendamento sulla tassa sul reddito; fu “necessario” nei termini delle presupposizioni esistenti.
Ma la conseguenza della teoria di Gray è che la gente viene livellata e spogliata di potere per creare uno stato che non è “eguale” alla gente ma di molto superiore e capace di schiacciarla:
Il potere dello stato, che agisce mediante le sue agenzie governative per tassare i suoi cittadini è assoluto e illimitato in riferimento a persone e proprietà. Ogni persona all’interno della giurisdizione dello stato, cittadino o no, è soggetto a questo potere, qualsiasi forma di proprietà, tangibile o intangibile, stazionaria o transitoria, ogni privilegio, diritto, o reddito che esista all’interno di quella giurisdizione, può essere raggiunto e preso per il sostegno dello stato.
Questa dottrina interessa e informa la teoria generale dello stato. Lo stato esiste per gli scopi di legge, ordine e giustizia; l’istituzione della proprietà, la preservazione e la sicurezza della vita, della libertà e della proprietà dipendono dall’esistenza dello stato. Fintantoché tutto il possesso privato di proprietà è postulato sull’esistenza dello stato, lo stato può propriamente esaurire tutte le risorse di proprietà privata nel sostegno e preservazione di quell’esistenza; fintantoché tutti i privilegi e le libertà derivano il loro valore dalla protezione dello stato, lo stato può prendere qualsiasi porzione del valore di quei privilegi e franchigie per il proprio sostegno, anche fino all’intero valore.8
In questo modo lo stato diventa l’istituzione totale perché comprende la vita e la proprietà dell’uomo. Lo stato può confiscare tutte le cose per assicurare la propria esistenza perché lo stato è implicitamente diventato il valore basilare.
Negli Stati Uniti, la tassa di proprietà si sviluppò nel New England nel 17° secolo, ma nel principio ebbe un’estensione limitata. Il Sud la resistette per un certo tempo. La transizione ad un concetto umanistico dello stato fu graduale e continuo. Nel 20° secolo la tassazione cominciò a servire da strumento per il cambiamento economico e sociale. In questo modo, la tassazione non serve più semplicemente per sostenere il governo civile ma anche a riorganizzare la società nei termini di concetti livellanti ed egalitari.
In questo novello concetto di tassazione, prende forma la religione statale degli Stati Uniti: l’umanesimo. Avendo negato che Dio sia la fonte della legge, le legge si è stabilmente mossa per implementare un principio totalitario ed egalitario.
Nella legge biblica non hanno alcuna statura né l’egalitarismo né un’oligarchia. Dio in quanto fonte della legge ha stabilito il patto come principio di cittadinanza. Solo coloro che sono all’interno del patto sono cittadini. Il patto è restrittivo nei termini della legge di Dio; è restrittivo purenei termini di una pregiudiziale contro l’affiliazione, che compare specificamente chiamando per nome certi tipi di gruppi di persone. Quest’aspetto della legge è usualmente trascurato perché risulta imbarazzante all’uomo moderno. Necessita perciò particolare attenzione. In Deuteronomio 23:1-8, agli eunuchi è preclusa la cittadinanza; i bastardi ne sono preclusi fino alla decima generazione. Gli Ammoniti e i Moabiti sono o esclusi fino alla decima generazione o sono totalmente esclusi a seconda della lettura che viene fatta del testo. Edomiti ed Egiziani erano idonei alla cittadinanza “alla terza generazione”; l’implicazione è che siano ammissibili dopo tre generazioni di fede, dopo aver dimostrato per tre generazioni di aver creduto nel patto di Dio e di essersi conformati alle sue leggi. Essendo il trono l’arca nel tabernacolo, ed essendo il tabernacolo anche il luogo centrale dell’espiazione, l’appartenenza nelle nazione-civile e nella nazione- ecclesiale era una e la stessa. La cittadinanza si poggiava sulla fede. L’apostasia era tradimento. Il credente straniero aveva qualche tipo d’accesso al santuario (II Cr. 6: 32-33), quantomeno per la preghiera, ma questo non gli dava cittadinanza. Gli stranieri — egiziani, babilonesi, etiopi, filistei, fenici ed altri — potevano essere cittadini della Sion vera o celeste, la città di Dio (Sl. 87), ma la Sion locale, Israele non doveva ammettere i gruppi interdetti eccetto che nei termini di Dio. L’ingresso era possibile sposando un maschio israelita (Ruth 4:6), ma non direttamente; una donna assumeva la cittadinanza del marito. Ora, in tutto questo, una cosa è certamente assolutamente chiara: qui non c’è egalitarismo. Viene fatta un’ovvia discriminazione e una distinzione che nessuno sforzo può eliminare. Allo stesso tempo, la richiesta che ci sia una sola legge fatta in Esodo 12:49 rese chiaro il requisito assoluto di giustizia per tutti senza rispetto di persone.
In questo modo, sarebbe apparso dall’evidenza dei fatti che, primo, un’appartenenza o cittadinanza ristretta era parte della pratica d’Israele per legge. Ci sono evidenze di un simile criterio nella chiesa del Nuovo Testamento: anziché essere forzati dentro ad una rigida uniformità, Gentili e Giudei erano liberi di stabilire congregazioni separate e di mantenere il proprio carattere distintivo.9 Inoltre, Atti 15, il Concilio di Gerusalemme, rende chiaro che le differenze di retaggio culturale e di gradi di crescita morale e spirituale rendevano possibili importanti conflitti nel caso di uniformità nell’appartenenza. Di conseguenza furono autorizzate congregazioni separate. Dall’altro lato, i Giudei non erano preclusi dalle congregazioni Gentili cosicché mentre i gruppi restrittivi erano validi, i gruppi integrati non erano privi di validità.
Secondo, il fatto predominate in Israele era: una legge per tutti, indipendentemente dalla fede o dall’origine nazionale, cioè la richiesta assoluta di eguale giustizia per tutti senza rispetto di persone. Similmente, nella chiesa del Nuovo Testamento c’era “Un unico Signore, un’unica fede, un unico battesimo” (Ef. 4:5) nella vera chiesa e nel vero regno di Dio. L’appartenenza locale limitata era valida, ma l’impero universale del regno e la comune cittadinanza di tutti i credenti sono il fatto basilare e di governo.
La realtà delle distinzioni locali non può, comunque, essere obliterata dall’unità ultima ed essenziale che non ha da essere confusa con l’uniformità. L’egalitarismo è un concetto politico-religioso moderno: non esisteva nel mondo biblico e non può essere con onestà forzato dentro la legge biblica. L’egalitarismo è un prodotto dell’umanesimo, del culto di un nuovo idolo, l’uomo, e di una nuova immagine scolpita dall’immaginazione dell’uomo. Quale norma in religione, politica ed economia esso è un prodotto dell’era moderna; leggerlo dentro alla fede biblica è fare violenza alla Scrittura ed essere colpevoli di disonestà.
È d’interesse chi siano gli esclusi di Deuteronomio 23:1-8: i bastardi erano esclusi fino alla decima generazione, gli eunuchi erano esclusi, fossero tali accidentalmente o per mano d’uomo. Poiché gli eunuchi non hanno posterità, essi non hanno interesse o compartecipazione al futuro, e pertanto niente cittadinanza. Erano escluse anche persone di una cultura morale inferiore come gli Ammoniti e i Moabiti. Il proposito dell’esclusione era la preservazione del patto nelle mani di un’autorità responsabile. Le limitazioni all’appartenenza di Edomiti ed Egiziani serviva la stessa funzione.
Nell’antichità gli eunuchi erano comunemente usati come funzionari e a Bisanzio costituivano il pubblico impiego; precisamente perché non avevano una parte nel futuro agli eunuchi venivano affidate posizioni che richiedevano una fedeltà esclusivamente presente. L’eunuco, come un tipo di mentalità esistenzialista, era reciso dal passato e dal futuro e legato al presente; per questo veniva preferito al padre di famiglia.
Nella Nuova Inghilterra coloniale fu applicato il concetto pattizio di chiesa e stato. Tutti andavano in chiesa, ma solo un numero limitato di persone aveva diritto di voto nella chiesa e perciò nello stato, perché c’era una coincidenza tra appartenenza alla chiesa e cittadinanza. Gli altri non erano meno credenti, ma la convinzione era che la responsabilità dev’essere data solo ai responsabili. Un’unica fede, un’unica legge e un unico metro di giustizia non significava democrazia. L’eresia della democrazia ha da allora portato scompiglio nella chiesa e nello stato, e si è adoperata per ridurre la società all’anarchia.
Note:
1 Paul Bohannan “Introduzione” a Paul Bohannan editore Law and Warfare, Studies in the
Anthropology of Conflict; Garden City, N.Y. : The Natural History Press, 1967, p. xii-xiii.
2 Jacques Ellul: Propaganda, The Formation of Men’s Attitudes; New York: knopf, 1965, p. 90.
3 James M. Gray: Limitation of the Taxing Power including Limitations Upon Public Indebtedness; San Francisco: Bancroft-Whitney, 1906, parag. 2. p. 2.
4 Ibid., 5, p.4.
5 Ibid., 7, p. 5.
6 Ibid. 20a, p.11s.
7 Ibid. 21-23, p.12s.
8 Ibid. 44, p. 29s.
9 Si veda Adolf Schlatter: The Church in the New Testament Period; London: SPCK, 1961.