INDICE:

IL SECONDO COMANDAMENTO

3. L’Altare e la Pena Capitale

Nella legge sono date le direttive per un altare. La prima parola riguardante l’altare compare in Esodo 20: 22-26, un altare di materiali naturali per il periodo pre-tabernacolo, fino alla sua costruzione. Quest’altare non doveva essere di disegno o di fattura umana: “Perché l’altare non doveva rappresentare la creatura ma essere il luogo al quale Dio veniva per ricevere l’uomo nella sua comunione. Per questa ragione l’altare doveva essere fatto dello stesso materiale che formava la terra, cioè la collocazione terrena per il regno di Dio: di terra, oppure di pietre.”1

La forma di Dio per l’altare fu data successivamente come parte della legge del tabernacolo (Es. 27: 1-8, 38: 1-7).2 Era costruito interamente di legno d’acacia e misurava, in cubiti, cinque per cinque per tre.3

L’altare, naturalmente, è religiosamente di significato centrale. Il sacrificio esprimeva il fatto dell’espiazione: che Dio aveva provveduto per l’uomo peccatore un modo per ottenere salvezza. Questo è chiaramente il primo e principale significato dell’altare. Gli animali offerti sull’altare tipizzavano Gesù Cristo “L’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv. 1: 29). In Apocalisse 1: 5 Gesù Cristo è descritto come colui che “Ci ha amati e ci ha lavati dai nostri peccati nel suo sangue”. Senza l’accettazione del sacrificio espiatorio di Gesù Cristo non ci può essere né salvezza né fede cristiana. Il sacrificio è fondamentale per la fede biblica. Un aspetto molto ampio e fondamentale di tutta la Scrittura è costituito dalla dichiarazione del sacrificio vicario e di una espiazione provveduta da Dio. Capitolo dopo capitolo ci sono date leggi pertinenti al sacrificio. Gesù Cristo dichiarò di essere il Figlio dell’Uomo venuto “A dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt. 20: 28, Mc. 10:45). Questa fu la dichiarazione apostolica: “Vi è infatti un solo Dio, ed anche un solo mediatore tra Dio e gli uomini: Cristo Gesú uomo, il quale ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti, secondo la testimonianza resa nei tempi stabiliti” (1 Tm. 2: 5, 6). L’altare significava Gesù Cristo e il suo sacrificio espiatorio.

Sfortunatamente, è proprio su questo punto che l’interpretazione ecclesiale della bibbia inizia e termina. Il significato dell’altare è disquisito abilmente in grande ampiezza, ma quasi sempre riguardo a una transazione basilare per la vita della chiesa, mentre in realtà è basilare per la vita dell’uomo nella chiesa, nello stato e nel tutto della vita.

Fairbairn ha richiamato l’attenzione su questo secondo aspetto dell’altare:

E non può esserci dubbio, che la rappresentazione notata poc’anzi, e di altre di simile descrizione, concernenti la morte di Cristo, comportano, nel loro senso naturale, un’aspetto legale: ottemperano i requisiti della legge, o della giustizia di cui la legge è l’espressione. Dichiarano che, per soddisfare questi requisiti al posto del peccatore, Cristo si sottopose a una morte giuridica – una morte che, mentre totalmente immeritata da parte di Colui che la soffrì, deve essere considerata come il meritato giudizio Celeste sulla colpa umana. Essere fatto maledizione per poter redimere gli uomini dalla maledizione della legge, non può avere alcun altro significato che sostenere la pena, nella quale essi erano incorsi in quanto trasgressori della legge in modo che essi potessero evitarla; e neppure lo scambio, indicato con le parole: “Egli fu fatto peccato per noi, affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in Lui” può essere correttamente inteso comportare niente di meno che Egli, il Giusto, prese il posto dei peccatori nel soffrire, affinché essi potessero prendere il suo posto nel favore e nella benedizione. E la rigida necessità per quella transazione – una necessità tale che perfino le risorse della sapienza infinita, confrontate col drammatico grido di Gesù, trovarono impossibile evadere (Mt. 26:39) – su cosa poteva fondarsi se non in seno alla legge, i cui requisiti violati richiedevano soddisfazione? Non che Dio si delizi nel sangue, ma che l’interesse assoluto di verità e giustizia deve essere mantenuto, perfino se sangue indescrivibilmente prezioso debba essere sparso per confermarlo.4

L’altare, pertanto, esprime, non meno dell’arca, la legge e la giustizia della legge. La legge di Dio é talmente centrale che le richieste della legge vengono compiute in quanto necessarie condizioni della grazia, e Dio compie le richieste della legge su Gesù Cristo. Gesù Cristo, come nuovo Adamo, capo della nuova umanità, ha osservato la legge perfettamente, per esibire l’obbedienza della nuova razza o umanità, e morì sulla croce come l’agnello di Dio senza peccato, per adempiere i requisiti della legge contro i peccatori. La grazia non accantona la legge, provvede il necessario compimento della legge. Pertanto, la grazia di Dio testimonia la validità della legge e la piena e assoluta giustizia delle richieste della legge.

Su questo, Fairbairn ha nuovamente dichiarato la cosa in modo eloquente e chiaro:

Dobbiamo avere un solido fondamento su cui posare i nostri piedi, e un terreno sicuro e vivo per la nostra confidanza davanti a Dio. E ciò possiamo trovarlo solamente nella vecchia visione della chiesa della sofferenza e della morte di Cristo per soddisfare la giustizia di Dio per l’offesa fatta dai nostri peccati alla sua legge violata. Soddisfare, io dico enfaticamente, la giustizia di Dio – su cui alcuni, anche scrittori evangelici, sembrano inciampare; essi direbbero: soddisfazione all’onore di Dio, certamente, ma in nessun modo alla sua giustizia. Cosa dunque, chiederei io, è l’onore di Dio separatamente dalla giustizia di Dio? Il suo onore non può essere altro che le azioni che conseguono, o che esprimono i suoi attributi morali; e nell’esercizio di questi attributi, l’elemento fondamentale e governante è la giustizia. Ognuno dei suoi attributi è condizionato, l’amore stesso è condizionato dai requisiti della giustizia; e provvedere la possibilità per l’operare dell’amore nel giustificare l’empio coerentemente con questi requisiti è il vero fondamento e ragione dell’espiazione – il suo fondamento e ragione primariamente nella mente di Dio, e poiché lì, poi anche nella sua immagine vivente, la coscienza umana, la quale istintivamente considera la punizione come “la giusta ripercussione della legge eterna contro il trasgressore”, e non può pervenire a solida pace se non per mezzo di una valida espiazione. È talmente così, di fatto, che dovunque la vera espiazione sia sconosciuta, o compresa solo parzialmente, va sempre in cerca di procurarsi un’espiazione da sé. La legge è pertanto stata stabilita (Ro. 3: 31) – più clamorosamente stabilita proprio da quell’aspetto del vangelo, che in modo particolare lo distingue dalla legge – la sua dimostrazione dell’amore redentivo di Dio in Cristo. 5

Negare questo secondo aspetto dell’altare è cadere nell’antinomismo. Tale prospettiva vede l’altare come testimone dell’amore incondizionato di Dio piuttosto che un amore “condizionato dai requisiti della giustizia” per usare la frase di Fairbairn.

Bisogna riconoscere che, o si affermano e sostengono la testimonianza dell’altare alla legge e alla giustizia e il significato dell’altare come legge e giustizia, oppure un’altra religione, che è anticristiana fino al midollo, ha assunto l’aspetto della fede cristiana. Il sangue dell’altare era un’arcigna e corposa dichiarazione dell’inflessibile e permanente richiesta della legge che la giustizia di Dio sia compiuta.

Terzo, l’altare era dunque chiaramente anche una testimonianza che la pena capitale è fondamentale per la legge. La dottrina della pena di morte non è normalmente associata con l’altare o col secondo comandamento, ma piuttosto col sesto: “Tu non assassinerai”. Questa fallacia limita il significato del sesto comandamento e priva inoltre la pena capitale del suo profondo fondamento teologico. Se la pena di morte non è fondamentale per la legge di Dio, allora Cristo è morto invano, perché si sarebbe potuto trovare qualche modo più facile per soddisfare la giustizia di Dio. Se la pena capitale non è fondamentale per il Secondo Comandamento, allora l’altare era un cruento errore, e Dio è stato adorato inutilmente per mezzo di sangue sparso senza ragione. Ma immaginare che l’espiazione sia possibile senza morte, o che l’altare possa essere eluso nell’approccio dell’uomo a Dio, è innalzare un’immagine scolpita dell’uomo e della capacità dell’uomo di salvare se stesso, al posto del Dio trino.

Non solo la pena di morte è richiesta dalla legge, ma è specificato che non ci può essere remissione della pena: “Non accetterete alcun prezzo di riscatto per la vita di un omicida che è condannato a morte, perché dovrà essere messo a morte” (Nu. 35: 31). Pertanto, quando svariati leader Protestanti e Cattolici Romani, Paolo IV incluso, e autorità civili come la Regina Elisabetta II, cercarono di persuadere le autorità della Rodesia di accantonare la pena di morte per alcuni omicidi in quanto questi erano “freedom fighters”, stavano contestando e disprezzando la legge di Dio. Stavano pure esprimendo il loro disprezzo della croce di Cristo, che presenta la necessità della pena di morte agli occhi di Dio, e stavano stabilendo la loro parola al di sopra di quella di Dio.

Le leggi concernenti la pena di morte si possono riassumere brevemente:

Numeri 35: 31: Non si può condonare.
Genesi 9: 5,6; Numeri 35: 16-21, 30-33; Deuteronomio 17: 6; Levitico 24: 17: Inflitta per omicidio.
Levitico 20: 10; Deuteronomio 22: 21-24: Per adulterio
Levitico 20: 11, 12, 14: Per incesto.
Esodo 22: 19; Levitico 20: 15, 16 Per rapporti sessuali con animali. Levitico 18: 22; 20: 13: Per sodomia.
Deuteronomio 22: 25: per violenza carnale su una vergine promessa in sposa.
Deuteronomio 19: 16-20: Per falsa testimonianza in casi che prevedevano la pena di morte.
Esodo 21: 16; Deuteronomio 24: 7: Per rapimento.
Levitico 21: 9: Per la figlia di un sacerdote che avesse commesso fornicazione.
Esodo 22: 18: Per stregoneria
Levitico 20: 2-5: Per aver offerto sacrifici umani.
Esodo 21: 15, 17; Levitico 20: 9: Per avere percosso o maledetto padre o madre.
Deuteronomio 21: 18-21: Per giovani delinquenti incorreggibili. Levitico 24: 11-14, 16, 23: Per bestemmia.
Esodo 35: 2; Numeri 15: 32-36: Per la dissacrazione del sabato. Deuteronomio 13: 1-10: Per aver profetizzato il falso, o per aver propagato false dottrine.
Esodo 22: 20: Per aver fatto sacrifici a falsi dèi.
Deuteronomio 17: 12: Per anarchico rifiuto di conformarsi a leggi e ordinamenti pii, per attitudini e azioni contro la legge e contro corti di giustizia.
Deuteronomio 13: 9; 17: 7: Esecuzione della pena per mano dei testimoni.
Numeri 15: 35, 36; Deuteronomio 13: 9: Eseguita dalla congregazione.
Numeri 35: 30; Deuteronomio 17: 6; 19: 15: Pena non inflitta senza testimonianza di almeno due testimoni.

Su alcuni punti le pene sono state alterate nel Nuovo Testamento, ma il principio basilare della pena di morte fu reso esposto e reso stabile dalla morte espiatrice di Cristo, la quale rese evidente che la pena per il tradimento nei confronti di Dio e l’allontanamento dalla sua legge è la morte senza remissione.

Il sangue dell’altare e l’esistenza dell’altare sono perciò una dichiarazione della necessità della pena capitale. Opporsi alla pena capitale come prescritta dalla legge di Dio è dunque opporsi alla croce di Cristo e negare la validità dell’altare.

L’altare, pertanto, esprime il principio della pena capitale. Ma, quarto, l’altare è una dichiarazione di vita perché testimonia della morte. Dichiara che la nostra vita si regge sulla morte dell’Agnello di Dio. Dichiara, inoltre, che la sicurezza della nostra vita è protetta e difesa dal fatto della pena capitale. Se la legge di Dio è negata in questo riguardo, allora “Il paese è stato contaminato; perciò io lo punirò per la sua iniquità, e il paese vomiterà i suoi abitanti” (Le. 18: 25). Ma l’esercizio pio della pena capitale purifica il paese dal male e protegge i giusti. Nel richiedere la morte di giovani delinquenti incorreggibili, che significa, perciò, nei termini del diritto giuridico, la morte di incorreggibili delinquenti adulti; la legge dichiara: “Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno con pietre ed egli morirà; così sradicherai il male di mezzo a te, e tutto Israele verrà a saperlo e avrà timore” (De. 21: 21).

Negare la pena di morte è insistere nel far vivere il male; significa che a uomini malvagi è dato il diritto di uccidere, violentare e violare legge e ordine, e che mentre fanno queste cose la loro vita è tutelata dalla morte. All’assassino è dato il diritto di uccidere senza perdere la propria vita e alle vittime e alle vittime potenziali è negato il loro diritto di vivere. L’uomo può parlare di amore incondizionato e di misericordia incondizionata, ma ogni atto d’amore e di misericordia è condizionato perché nel tutelarla ad un uomo, sto affermando, sto tutelando le condizioni della sua vita e nel farlo le sto negando ad altri. Se pratico amore e misericordia ad un assassino, sono senza amore e senza misericordia nei confronti delle sue vittime, presenti e future. Ancor peggio, a quel punto sono in aperta sfida a Dio e alla sua legge che richiede di non avere misericordia per un uomo colpevole di morte: “Non accetterete alcun prezzo di riscatto per la vita di un omicida che è condannato a morte, perché dovrà essere messo a morte” (Nu. 35: 31). Inoltre:

Non contaminerete il paese dove siete, perché il sangue contamina il paese; e non si può fare alcuna espiazione per il paese, per il sangue che in esso è stato versato se non mediante il sangue di chi l’ha versato. Non contaminerete dunque il paese che abitate, e in mezzo al quale io dimoro, poiché io sono l’Eterno che dimoro in mezzo ai figli d’Israele (Nu. 35: 33,34).

Levitico 26 attesta chiaramente la maledizione che resta sul paese che disprezzi la legge di Dio: Se la gente non purifica il paese dal male, Dio purificherà il paese dalla gente stessa del paese. Nei termini di questa maledizione non sorprende che la storia sia stata così continuamente su un corso di disastro quando separata dalla parola-legge di Dio.

Questo dunque, è il significato dell’altare: esso è vita per i giusti in Cristo i quali sono redenti dall’espiazione del suo sangue, perché rappresenta inflessibile e immutabile morte per il male. L’altare è il supremo testimone della pena di morte e del fatto che non è mai accantonata. Per noi, per la grazia di Dio, essa è compiuta sulla persona di Gesù Cristo. Noi non possiamo scherzare con la legge di Dio senza disprezzare Cristo e il suo sacrificio e con ciò rivelare la nostra natura di reprobi: “Infatti, se noi pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane piú alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto una spaventosa attesa di giudizio e un ardore di fuoco che divorerà gli avversari” (Eb 10: 26, 27).

Ma per noi che esistiamo nei termini dell’altare, esso è la nostra vita, e la garanzia di giudizio contro i nemici di Dio e del suo Regno.

Note:

1 Keil and Delizsch: The Pentateuch, II, p. 127.
2 Si veda Fairbairn “Altar” in Fairbairn’s Bible Encyclopedia; I, pp. 136-141 3 J. C. Rylaarsdam: “Exodous”, Interpreter’s Bible, I. p.1034
4 Parick Fairbairn: The Revelation of Law in Scripture, p.247s.
5 Ibid, pp. 250-252


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