I pericoli e i brividi della battaglia spirituale
Di Phillip G. Kayser, sermone del 25/10/2015
Parte della serie “Progetto Apocalisse”
Questo sermone si sofferma sulla lotta che la chiesa di Pergamo si impegnò a condurre nel proprio contesto sociale spingendosi fino al cuore del regno di Satana; indaga sul perché il trono dell’avversario si ergesse proprio in quel particolare luogo dell’Asia Minore e cerca di trarre utili lezioni, sia positive che negative, rispetto alle dinamiche generali riguardanti la guerra spirituale fuori e dentro la chiesa.
Leggiamo Apocalisse 2, versi da 12 a 17:
12 E al messaggero della chiesa in Pergamo scrivi: queste cose dice Colui che ha la spada affilata a due tagli: 13 “Io conosco le tue opere e dove tu abiti, cioè là dov’è il trono di Satana; tuttavia tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede neppure nei giorni in cui mi fu fedele testimone Antipa, che fu ucciso fra voi, là dove abita Satana. 14 Ma ho alcune cose contro di te: tu hai colà alcuni che ritengono la dottrina di Balaam, il quale insegnò a Balak a gettare una pietra d’inciampo davanti ai figli d’Israele, inducendoli a mangiare cose offerte agli idoli e a fornicare. 15 Così hai pure alcuni che ritengono la dottrina dei Nicolaiti. 16 Ravvediti dunque, altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca. 17 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare della manna nascosta; e gli darò una pietruzza bianca, e sulla pietruzza sta scritto un nuovo nome che nessuno conosce, tranne chi lo riceve”[1].
Introduzione – Com’è che una chiesa fondamentalmente solida incappi negli errori messi in evidenza nei versetti 14 e 15?
Molte delle nostre Bibbie intitolano questa sezione “la chiesa compromessa”. E, in effetti, quella di Pergamo si trovava realmente in uno stato di crescente compromissione, anche se forse non quanto quella di Tiatiri. In realtà, la maggior parte della chiesa amava il Signore e gli rimaneva fedele in molti aspetti. Potremmo dire, usando un linguaggio moderno, come non si trattasse affatto di una chiesa di tendenze liberali. Tuttavia, non ravvedendosi dalla sua incapacità di esercitare la disciplina al proprio interno, col tempo sarebbe scivolata certamente nell’apostasia. Rileggiamo subito il verso 13: “Io conosco le tue opere e dove tu abiti, cioè là dov’è il trono di Satana; tuttavia tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede neppure nei giorni in cui mi fu fedele testimone Antipa, che fu ucciso fra voi, là dove abita Satana”.
“Tu tieni saldo il mio nome” vien detto. Qui incontriamo il termine greco κρατέω (kratéō), che può significare “tenere con forza”, “conservare saldamente”, “perseverare vittoriosamente”. Il verbo κρατέω deriva da κράτος (krátos), che significa “forza” o “potere”. Ecco, dunque, come la chiesa di Pergamo fosse una chiesa capace di attenersi con forza al nome di Cristo e di non rinnegare la propria fede nemmeno quando costretta a farlo sotto persecuzione e tortura, anche di fronte al martirio. Questa comunità era direttamente ed attivamente coinvolta nella lotta spirituale e si trovava in prima linea sul campo di battaglia. Infatti, la città in cui era collocata rappresentava il centro nevralgico delle attività del maligno su scala mondiale. Gesù descrive Pergamo come il luogo in cui si erge il trono di Satana, la dimora stessa di Satana.
Più avanti, nel corso di questa serie, terrò un sermone in cui mostrerò come il libro dell’Apocalisse sia essenzialmente strutturato come un manuale per la guerra spirituale. In quell’occasione, spero di illustrare più a fondo il significato di versetti come questo, al fine di delineare una strategia generale di lotta per tutti i credenti, noi inclusi.
Tuttavia, per quanto concerne l’economia del presente sermone, desidero semplicemente sottolineare come i fedeli di Pergamo si trovassero esattamente nel cuore della guerra, nella “fossa del leone”, il diavolo. E l’obiettivo primario della loro lotta era quello di estromettere il leone da quella fossa. Satana a sua volta, naturalmente, non rimase a guardare e reagì con tutte le sue forze, facendo uso di ogni mezzo a sua disposizione per combattere contro la chiesa e tentare di distruggerla.
Inizialmente, nel tentativo di seminare timore tra i membri della chiesa, Satana scatenò una violenta persecuzione, inducendo le autorità locali a fare di Antipa un esempio (forse tramite la tortura e l’esecuzione nella pubblica piazza), seguendo il principio “punirne uno per educarne cento”. Tuttavia, anziché intimidire la comunità con questo orribile martirio, sembra che il sacrificio di Antipa infuse coraggio nei credenti, poiché la paura non trovò spazio tra i ranghi della chiesa. Questi fedeli, con forza e perseveranza, rimasero saldi nel nome di Cristo e non rinnegarono la fede. Secondo la tradizione ecclesiastica, Antipa fu discepolo dell’apostolo Giovanni e primo vescovo a servire come moderatore del presbiterio di Pergamo. In particolare, egli istruì la sua chiesa ad impegnarsi nella guerra spirituale contro le forze demoniache. Una tradizione consolidata narra che i demoni iniziarono ad urlare e protestare, dichiarando di essere pronti a lasciare la città a causa dell’opposizione messa in atto da Antipa e dai suoi. Pertanto, si può dedurre come la guerra spirituale intrapresa da questa chiesa stesse producendo effetti straordinari.
Ciò spinse Satana a cambiare strategia, cercando di rivoltare Dio stesso contro la chiesa. Naturalmente, l’unico modo in cui Dio può trovarsi in opposizione al suo popolo è la presenza del peccato impenitente in mezzo ad esso. Forse ricorderete che la causa della sconfitta di Giosuè ad Ai fu proprio Acan e il suo peccato nascosto. Pertanto, il versetto 16 ammonisce: “Ravvediti dunque, altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca”.
Notiamo qui il passaggio dalla seconda persona singolare alla terza persona plurale. Il versetto inizia con “ravvediti”, un imperativo rivolto all’intera chiesa per il tramite dei suoi responsabili. Tuttavia, il “loro” nel passaggio “combatterò contro di loro” si riferisce particolarmente agli antinomisti presenti in seno alla comunità. Se i responsabili non avessero, però, esercitato la disciplina nei confronti di coloro che Dio intendeva correggere, egli sarebbe venuto presso la chiesa, il che implica che i responsabili stessi avrebbero finito per sperimentare la disciplina divina. Ma anche nel caso in cui la chiesa non fosse riuscita a disciplinare i disubbidienti, Gesù avrebbe comunque combattuto contro di “loro”, ossia contro gli antinomisti. In 1 Corinzi 11:30, l’apostolo Paolo descrive alcuni modi in cui Cristo esercita il suo giudizio nei confronti dei membri impenitenti della chiesa: per coloro incapaci di esaminare sé stessi, si legge che alcuni diventarono deboli o malati e parecchi altri persero addirittura la vita.
Osserviamo, dunque, come Gesù operi una distinzione tra due gruppi di persone, riservando loro trattamenti diversi. Da un lato vi sono gli antinomisti, nei confronti dei quali Cristo non mostra alcuna indulgenza: contro di loro combatterà con la sua spada in ogni caso. Dall’altro lato troviamo i responsabili della chiesa, i quali incorreranno nel giudizio nel momento in cui persisteranno nel tollerare la condotta degli antinomisti. La loro colpa risiede nel rifiutarsi di intraprendere il giusto combattimento contro coloro che Cristo avversa.
Nel sermone precedente, ricorderete, avevamo messo l’accento sull’importanza del sostegno reciproco tra compagni nella fede nei tempi di persecuzione. Tuttavia, questo principio non si applica indiscriminatamente a tutti coloro che si dichiarano cristiani. Capiamo come non sarebbe dovuto valere, ad esempio, per i Nicolaiti. Senza dubbio, anche i Nicolaiti furono perseguitati dai giudei e dai romani, proprio come i veri credenti, e la chiesa, sbagliando, aveva preso le loro difese. Pur non condividendo le loro dottrine, mostrava comunque solidarietà nei loro confronti. Vediamo, però, Gesù esortare i responsabili della chiesa a pentirsi per non aver contrastato i Nicolaiti.
Dunque, è necessario riconoscere come vi siano dei limiti alla solidarietà tra cristiani nei momenti di prova e difficoltà. Quando individui animati da intenti subdoli penetrano nella comunità, mascherandosi da credenti, è essenziale che essi vengano identificati, contrastati con fermezza e cacciati via. Nel momento in cui dei parassiti infestano casa, non si può che sterminarli, se non si vuole che la casa vada persa. Nel prosieguo di questo sermone, analizzeremo i tratti distintivi di tali figure, come delineato nei versetti 14 e 15.
Ad ogni modo, esaminando gli ammonimenti di Gesù alle chiese di Smirne e Pergamo, emerge chiaramente che i cristiani non sono chiamati a sostenere coloro che promuovono dottrine eretiche, nemmeno quando questi si trovano a subire persecuzioni. Non è pertanto opportuno offrire supporto materiale o spirituale, che so, a movimenti modalisti o liberali, o ad altri gruppi ancora che, pur proclamandosi cristiani, si allontanano dalla verità biblica. La nostra chiamata è quella di sostenere esclusivamente la vera chiesa di Cristo, fondata sulla sana dottrina. Purtroppo, si riscontra talvolta una tendenza, anche tra gli evangelici, ad esprimere solidarietà verso eretici perseguitati, un atteggiamento che riflette una mancanza di discernimento spirituale.
In ogni caso, il punto che desidero sottolineare è il seguente: quella di Pergamo non era ancora una chiesa completamente compromessa. Era una comunità disposta a condurre un deciso combattimento contro Satana nel mondo esterno (e, secondo alcuni resoconti storici, faceva ciò con notevole successo); eppure, falliva nel contrastare le opere di Satana al proprio interno. Mitezza e gentilezza le impedivano di esercitare la necessaria disciplina, nonostante le compromissioni di alcuni suoi membri fossero gravissime: antinomismo, infedeltà dottrinale, consumo di cibi offerti agli idoli, immoralità sessuale. Com’è possibile che dei cristiani, che lo stesso Gesù definisce saldi nel suo nome e determinati nel non rinnegare la fede, possano chiudere un occhio davanti a coloro che, con altrettanta caparbietà, aderiscono a principi diametralmente opposti?
Tuttavia, si tratta di un fenomeno – una vera e propria “sindrome”, potremmo dire – riscontrabile davvero in ogni epoca: è il motivo per cui nell’arco della storia molte denominazioni cristiane hanno finito per scivolare nell’apostasia. Gli apostati, inizialmente, costituiscono sempre una minuscola minoranza che fa appello a pazienza, garbo e tolleranza, mentre i buoni e bravi pastori, desiderosi di mantenere un’unità cordiale, si rifiutano di combattere per stabilire la disciplina necessaria. Con il passare delle generazioni, tuttavia, gli apostati finiscono spesso per prendere il sopravvento, sopraffacendo i buoni fedeli. A questi ultimi dispiace che gli altri aderiscano a dottrine erronee, ma, per una molteplicità di ragioni, non intervengono. Questo fenomeno può essere definito la “sindrome di Pergamo”, per l’appunto.
Se la chiesa di Pergamo avesse perseverato lungo questa strada, avrebbe inevitabilmente finito per cadere in una condizione di compromissione ancora più grave e rischiosa, seguendo l’esempio della chiesa di Tiatiri, dove persino tra i leader si trovavano uomini malvagi (come vedremo prossimamente, l’infausto moderatore di quella comunità aveva per moglie una sorta di Jezebel). E se Pergamo avesse proseguito su questa traiettoria, si sarebbe presto trasformata in una chiesa completamente apostata. Riflettiamo su questo: negli ultimi 150 anni, o poco più, pochissimi cristiani evangelici si sono impegnati seriamente nella pratica della disciplina ecclesiastica e le conseguenze di questa negligenza sono state, senza dubbio, disastrose.
Consentitemi di chiarire questo punto utilizzando l’esempio della questione dell’aborto. Scelgo di citare l’aborto poiché oggi, tra i credenti – nonostante alcune significative divergenze riguardo alle strategie per contrastare questo male (vedi il raffronto tra fazioni abolizioniste e movimenti pro-life) – vi è unanime consenso nel ritenerlo moralmente inaccettabile. La maggior parte delle denominazioni evangeliche non ammetterebbe mai nessuna politica di sostegno a tale pratica. Al contrario, i loro membri sarebbero profondamente inorriditi se un pastore predicasse a favore dell’aborto. Eppure, forse non tutti sanno che, prima della sentenza della Corte Suprema “Roe v. Wade” del 1973 (sentenza che negli Stati Uniti riconobbe il diritto costituzionale delle donne ad abortire, legalizzando di fatto l’aborto su scala nazionale), gran parte della chiesa evangelica manteneva una posizione ambigua su questo argomento e si rifiutava di disciplinare i pastori che caldeggiavano apertamente politiche abortiste.
Christianity Today, considerata all’epoca la rivista di punta della chiesa evangelica, difendeva l’aborto già nel 1968, ben cinque anni prima della sentenza “Roe v. Wade”. In un articolo intitolato “Una dichiarazione di fede protestante”, la rivista dichiarava a nome della chiesa evangelica: “Non siamo concordi sul fatto che l’aborto indotto sia un peccato, ma siamo unanimi sulla sua necessità e sulla sua permissibilità in determinate circostanze”.
Incredibile, vero? Ma come hanno potuto far passare un’affermazione del genere senza conseguenze? È importante considerare che la classe dirigente responsabile di tale dichiarazione rappresentava, in realtà, una minoranza. Tuttavia, questa minoranza non fu mai richiamata da nessuno né tantomeno sottoposta ad interventi disciplinari. Insomma, un silenzio, quello di allora, dovuto proprio alla “sindrome di Pergamo”, potremmo dire.
Permettetemi di fare alcune citazioni da un articolo scritto nel 2013 da Al Mohler in occasione del 40º anniversario della sentenza “Roe v. Wade”. Nell’articolo Mohler lamenta il triste stato delle cose riguardo l’aborto negli anni Sessanta e Settanta. Non si trattava del fatto che la chiesa, nel suo complesso, fosse favorevole all’aborto, quanto piuttosto che al suo interno vi fossero leader che lo sostenevano e che riuscivano a farlo impunemente. In effetti, in quegli anni i sostenitori dell’aborto raggiunsero un’influenza tale da indurre alcune denominazioni a difendere ufficialmente politiche favorevoli all’interruzione di gravidanza. Mohler afferma:
Tuttavia, prima di “Roe v. Wade” nel 1973, gli evangelici erano, con poche importanti eccezioni, confusi ed incerti riguardo alla questione dell’aborto. (…) Due anni prima della sentenza, la Southern Baptist Convention [la più grande denominazione battista del mondo e il più grande gruppo protestante negli Stati Uniti, n.d.T.] approvò una risoluzione che richiedeva “una legislazione che consenta la possibilità di aborto in circostanze quali stupro, incesto, chiara evidenza di anormalità fetale e prove accuratamente verificate della probabilità di danno alla salute emotiva, mentale e fisica della madre”.
Pensateci, sembra quasi che la Southern Baptist Convention, con le sue dichiarazioni, abbia anticipato la Corte Suprema, suggerendole implicitamente il linguaggio e il vocabolario adatti per l’emissione della sentenza che sarebbe giunta due anni dopo. Oggi un simile atteggiamento sarebbe impensabile, poiché l’antitesi verso questo orribile male è stata ormai profondamente radicata nella coscienza degli evangelici. Tuttavia, all’epoca, la situazione era ben diversa: sembrava esserci ancora spazio per un atteggiamento improntato a mitezza, garbo e tolleranza.
Permettetemi di citare un’ulteriore porzione dell’articolo di Mohler:
Quella risoluzione rivela due aspetti cruciali di questa vicenda. In primo luogo, che il linguaggio relativo alla “salute emotiva, mentale e fisica della madre” era già ampiamente utilizzato. In secondo luogo, che la Southern Baptist Convention stava richiedendo la legalizzazione di ciò che si sarebbe trasformato, di fatto, nell’aborto su richiesta. Dopo la sentenza “Roe v. Wade”, infatti, il linguaggio concernente la salute emotiva e mentale sarebbe stato impiegato per giustificare praticamente qualsiasi aborto, per qualsiasi ragione.
La domanda sorge spontanea: “Ma come può una denominazione evangelica, presumibilmente composto da tanti bravi cristiani, assumere una posizione così scandalosa supportando ed incoraggiando l’omicidio? Com’è possibile che i suoi leader non siano stati ammoniti, scoraggiati, privati del supporto finanziario o sottoposti a provvedimenti disciplinari?”. Allo stesso modo in cui i versetti 14 e 15 del capitolo 2 del libro dell’Apocalisse ci appaiono scioccanti alla luce della sensibilità etica odierna, anche le posizioni peccaminose assunte da certi leader evangelici contemporanei dovrebbero provocarci grande indignazione. Come poteva la chiesa di Pergamo, che aveva mantenuto saldo il nome di Cristo rimanendogli fedele, tollerare l’antinomismo, l’immoralità sessuale e l’errore dottrinale? Eppure, lo fece. E per la stessa ragione, anche nell’America cristiana, abbiamo assistito al progressivo declino di numerose denominazioni che, un tempo, esprimevano fedeltà e coerenza dottrinale, ma che oggi manifestano incredulità e compromesso spirituale. Facciamo alcuni esempi concreti: la Chiesa Episcopale, la Chiesa Presbiteriana (PCUSA), i Battisti Americani, la Chiesa Evangelica Luterana, la Chiesa Metodista e molte altre ancora.
Quando Satana non riesce a prevalere sulla chiesa attraverso la persecuzione, prova allora ad infiltrarla con sabotatori nell’intento di indebolirla dall’interno. E la cosiddetta “sindrome di Pergamo” fa sì che cristiani, altrimenti bravi e fedeli, siano incapaci di reagire in maniera adeguata all’importuna presenza dei sabotatori. In realtà, questo problema, lungi dall’essere limitato alla mentalità postmodernista dei nostri giorni, è sempre esistito, come apprendiamo dall’esperienza dei cristiani pergameni. I credenti, animati da buone intenzioni, sperano spesso di poter coesistere pacificamente con gli infiltrati e di rimanere comunque una comunità fedele. Tuttavia, questa strategia non funziona. È inevitabile che Satana prevalga in ogni comunità che cada vittima della “sindrome di Pergamo”. La domanda, dunque, è: “Come possiamo evitare di cadere anche noi vittime dei pericoli di questa sindrome?”
Non andate in battaglia da soli (v. 12a)
Il primo monito che Gesù dispensa è quello di non affrontare la guerra spirituale in solitudine. L’apostolo Giovanni non esortò i cristiani ad abbandonare la chiesa di Pergamo, nonostante i suoi evidenti problemi. È facile immaginare che ci fossero credenti frustrati dal fatto che i leader ecclesiastici si dimostrassero incapaci di intraprendere azioni correttive o di opporsi agli insegnamenti errati dei Baalamiti e dei Nicolaiti. Immaginate, la tentazione di abbandonare la chiesa istituzionale per organizzare incontri informali in ambito domestico doveva essere forte, proprio come accade oggi per molti cristiani. Oggi, infatti, numerosi credenti non appartengono ad una chiesa legittima né sono sotto l’autorità di ministri legittimamente ordinati. Invece di ricevere i sacramenti all’interno della chiesa, queste cosiddette “chiese domestiche” si appropriano dei sacramenti stessi, con i padri di famiglia che amministrano la comunione e battezzano i propri figli. Tale pratica, a mio avviso, rappresenta una violazione delle giurisdizioni stabilite e dell’ordine ecclesiale che Cristo ha istituito per la sua chiesa.
Inoltre, affrontare la guerra spirituale da soli, è opportuno sottolinearlo, rappresenta una scelta estremamente pericolosa. L’apostolo Giovanni scrive: “E al messaggero [e colgo l’occasione per chiarire ancora una volta come non si trattasse di un messaggero celeste, ossia un angelo, ma di un messaggero terreno: un ufficiale della chiesa] della chiesa di Pergamo scrivi: queste cose dice Colui che ha la spada affilata a due tagli”. Vediamo, quindi, come Gesù trasmetta il suo messaggio all’intera chiesa attraverso il messaggero che egli stesso ha provveduto per quella comunità. L’implicazione di questo è chiara: non dovremmo rinunciare al servizio di questi messaggeri stabiliti da Dio.
Detto ciò, vi sono circostanze in cui è necessario allontanarsi da una chiesa? La risposta è sì. Ad esempio, in Apocalisse 18:4 Gesù invita i cristiani di origine giudaica ad abbandonare il sistema sinagogale, poiché questo era ormai divenuto apostata. Allo stesso modo, se anche la chiesa di Pergamo fosse degenerata nell’apostasia, abbandonarla sarebbe stato un dovere morale. Alla chiesa apostata menzionata in Apocalisse 18:4 Gesù dichiara: “Uscite da essa, o popolo mio, per non essere complici dei suoi peccati e per non ricevere le sue piaghe”. Anche nella sinagoga di Satana vi erano veri credenti, ma Dio li chiama a separarsi da essa. Quando una chiesa diventa apostata, rimanervi significa diventare complici dei suoi peccati e, di conseguenza, essere soggetti al giudizio divino per tali peccati, anche se non li si è commessi direttamente.
Pertanto, quando mi capita di incontrare veri credenti all’interno della Chiesa cattolica romana o di chiese protestanti liberali, rivolgo loro sempre lo stesso invito: uscire da tali comunità. Dal momento in cui il Concilio di Trento anatemizzò il vero Vangelo e l’autentica autorità delle Scritture, la Chiesa cattolica romana divenne, a tutti gli effetti, una sinagoga di Satana. Analogamente, quando una denominazione protestante giunge a sostenere, ad esempio, l’ordinazione di ministri neganti l’inerranza della Scrittura, la divinità di Cristo o il vero Vangelo, essa si trasforma in una falsa chiesa. In tali circostanze, i membri che desiderano rimanere fedeli a Cristo hanno l’obbligo morale di andarsene. Non è in alcun modo possibile considerare le chiese apostate come legittime chiese di Gesù Cristo. Rimanervi significherebbe tradire la fedeltà al Signore e alla sua verità.
Questo, però, non era il caso delle sette chiese a cui scrive Giovanni. Esse non erano ancora completamente decadute nell’apostasia, pur presentando diverse problematiche significative. Avevano bisogno di riforma, certo, ma era preferibile rimanere fedeli a quelle comunità imperfette piuttosto che affrontare da soli la battaglia contro Satana. L’appartenenza alla chiesa offre una copertura protettiva nell’ambito del Patto divino ed è essenziale per la nostra vita spirituale. La Lettera agli Ebrei ci avverte che abbandonare la congregazione dei credenti può condurre all’apostasia. Sia che si venga espulsi dalla chiesa attraverso la scomunica, sia che la si abbandoni per propria scelta, il risultato è il medesimo: ci si ritrova nel mondo e questo è particolarmente spaventoso, poiché equivale a ritrovarsi nel territorio di Satana.
Pertanto, assicuratevi di non affrontare da soli la battaglia spirituale. Gesù non ha promesso di edificare ministeri paraecclesiali o organizzazioni indipendenti, ma ha dichiarato che edificherà la sua chiesa e che le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa.
Assicuratevi di combattere nella forza di Cristo (v. a-b)
Oltre ad evitare di intraprendere la lotta spirituale in solitudine, è essenziale che il nostro combattimento sia condotto nella forza di Gesù Cristo e non per il tramite della nostra. La seconda metà del versetto 12 ci ricorda ancora una volta chi è a parlare: “Queste cose dice Colui che ha la spada affilata a doppio taglio…”.
Non siamo impotenti di fronte alla persecuzione esterna alla chiesa, né lo siamo nell’affrontare il compromesso che può emergere al suo interno. Vi sono azioni che possiamo intraprendere ed è Gesù stesso a guidarci in questa battaglia spirituale: è, infatti, cruciale comprendere come noi siamo chiamati a combattere al suo fianco e non contro di lui. Il versetto 16 evidenzia con chiarezza che Gesù muoverà battaglia contro i membri della chiesa che rifiutano di pentirsi dei propri peccati. La sua spada non si alza invano e Cristo desidera che ci uniamo al suo combattimento, ovunque esso ci conduca. Pertanto, quanto dichiarato nel versetto 12 costituisce al tempo stesso un incoraggiamento e una sfida. È un incoraggiamento, poiché il nostro potente difensore è già coinvolto nella battaglia a nostro favore; è, però, anche una sfida, perché mancare di seguirlo sul campo di battaglia, significa abbandonare il luogo in assoluto più sicuro che vi sia.
Ma, ancor più importante, è fondamentale affrontare queste battaglie con armi spirituali, non con mezzi carnali. Dobbiamo combattere nella forza che riceviamo dal Signore, anziché confidare nelle nostre capacità. È necessario utilizzare le strategie delineate nella sua Parola – rappresentate simbolicamente dalla spada affilata a doppio taglio – piuttosto che ricorrere ai metodi mondani che molti uomini di chiesa adottano quando perseguono fini politici. Pertanto, la chiesa deve garantire che ogni battaglia sia combattuta con Cristo, nella forza di Cristo e secondo le strategie di Cristo.
Siate consapevoli dei pericoli della guerra spirituale (vv. 13-16)
I versetti da 13 a 16 rimarcano l’importanza di considerare il coinvolgimento del demoniaco quando si combatte al fianco di Gesù. Vi è una ragione specifica per cui, più tardi, nel versetto 20, vediamo Gesù definire una donna manipolatrice con l’appellativo di “Jezebel”. Molti commentatori ritengono che si trattasse di una figura storica reale, ma la maggior parte di essi concorda sul fatto che il nome utilizzato sia da interpretare in senso simbolico. Questa interpretazione appare plausibile. Vi spiego: qualora dovessi riferirmi a qualcuno usando l’appellativo “Jezebel”, difficilmente si penserebbe a un mio errore o a una mia dimenticanza del vero nome di quella persona. Al contrario, sarebbe evidente che con l’uso di un tale appellativo intenda richiamare la figura biblica di Jezebel, moglie manipolatrice di Achab, con la quale traccerei un parallelo. I demoni che influenzarono negativamente la donna menzionata nel versetto 20 vengono associati al cosiddetto “spirito di Jezebel”. L’utilizzo di quel nome, dunque, risulta essere un’accusa esplicita di subire la manipolazione di quegli stessi spiriti. Questa connessione simbolica è esattamente ciò che l’apostolo Giovanni intese stabilire nel descrivere la donna della chiesa di Tiatiri.
Seguendo questo stesso principio, nel versetto 14 Giovanni fa riferimento alla diffusione delle dottrine di Balaam all’interno della chiesa. Non si intende, tuttavia, che vi fosse una persona con il nome letterale di Balaam. Piuttosto, si fa riferimento ad individui nella chiesa che erano influenzati dallo stesso tipo di spirito demoniaco che aveva soggiogato Balaam, l’occultista menzionato nel libro dei Numeri. Balaam era un individuo che, pur fingendo di servire Dio, era in realtà mosso nei suoi insegnamenti e nelle sue pratiche da forze demoniache.
Con questi riferimenti, Gesù intende rendere la chiesa consapevole della presenza e dell’influenza demoniaca al suo interno. I problemi che affliggono la comunità non sono soltanto il risultato di conflitti umani, ma sono causati anche dall’azione di spiriti maligni che influenzano alcuni dei suoi membri. Ignorare questa dimensione spirituale può condurre a gravi conseguenze.
Molte chiese, infatti, si affannano a risolvere le difficoltà concentrandosi esclusivamente sugli individui coinvolti, affrontando i problemi unicamente dal punto di vista umano. Certo, è necessario intervenire su uomini e donne che portano con sé problematiche concrete. Tuttavia, trascurare la componente demoniaca che opera dietro questi conflitti significa non tenere conto degli ammonimenti dell’apostolo Paolo nella Lettera agli Efesini, dove egli richiama l’attenzione sulla costante battaglia spirituale in corso.
Proprio per questo, auspico di poter prossimamente dedicare un intero sermone, o forse persino una breve serie di sermoni, per approfondire come il libro dell’Apocalisse ci insegni a combattere contro il demoniaco. Questo aspetto rappresenta, infatti, una delle caratteristiche più affascinanti e significative dell’ultimo libro della Bibbia.
Pericoli affrontati come si deve (v. 13)
Consideriamo ora come i credenti di Pergamo siano stati in grado di affrontare e gestire con notevole efficacia alcune delle avversità e delle battaglie più pericolose, come emerge sia dai resoconti storici relativi alla storia della chiesa, sia dai versetti stessi. Al versetto 13 si legge infatti: “Io conosco le tue opere e dove tu abiti, cioè là dov’è il trono di Satana; tuttavia tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede neppure nei giorni in cui mi fu fedele testimone Antipa, che fu ucciso fra voi, là dove abita Satana”.
Questa comunità cristiana si dimostrava ammirevole nella sua resistenza fedele agli attacchi demoniaci provenienti dall’esterno. Satana non riuscì a suscitare paura nei loro cuori, né a farli desistere. Non li persuase ad interrompere il loro ministero. Gesù stesso afferma: “Conosco le tue opere”. È, quindi, evidente come essi abbiano perseverato nelle buone opere nonostante la feroce opposizione dell’avversario.
E dove si impegnarono in queste loro buone opere? I credenti di Pergamo erano coraggiosamente intenti a penetrare nel territorio di Satana. Vivevano ed operavano là dove dimorava Satana, in prima linea nella guerra spirituale, senza arretrare di un solo passo. In effetti, la loro chiesa si configurava come un avamposto del regno di Dio, strategicamente posizionato nel cuore del quartier generale di Satana. Come già menzionato, dai resoconti della storia della chiesa apprendiamo che i demoni erano terrorizzati da Antipa, al punto da urlare in sua presenza. Questo fatto dimostra quanto seriamente i pergameni avessero preso le parole di Cristo, secondo cui le porte dell’inferno non possono prevalere contro la sua chiesa. Le porte, per loro natura, sono meccanismi difensivi progettati per tenere lontano un nemico, barriere erette per impedirne l’accesso. Se Satana ha eretto delle porte, ciò implica che egli teme il regno di Gesù. Satana tenta di fermare la chiesa, ma la chiesa, a sua volta, è chiamata ad infrangere ed abbattere quelle porte infernali.
Quanto esposto rappresenta il primo di numerosi indizi contenuti nel libro dell’Apocalisse che indicano come Satana sia destinato a perdere la guerra. Potrà pure ottenere vittorie temporanee in alcune battaglie, ma la sua sconfitta finale è certa. La chiamata di Cristo, espressa nel Grande Mandato, è di fare di ogni nazione una nazione cristiana, che viva in piena conformità con la Parola di Dio. La traiettoria della storia conduce verso una terra purificata dalla presenza dei demoni e verso il confinamento definitivo di Satana. La chiesa di Pergamo si era impegnata in questa missione, entrando coraggiosamente nel cuore del conflitto, come chi si inoltra nella fossa dei leoni. Per questa ragione, riceve le lodi di Gesù.
Ecco adesso una domanda interessante: “Perché Satana aveva il suo trono a Pergamo e non a Roma?” Considerando che Roma deteneva il potere politico sull’intero mondo conosciuto, si potrebbe pensare che Satana scegliesse di dirigere ed orchestrare i suoi attacchi proprio dalla capitale dell’Impero. Tale collocazione sembrerebbe più naturale e strategicamente appropriata. Tuttavia, il suo quartier generale non era in Italia. Il versetto 13 si conclude chiarendo che Satana risiedeva a Pergamo. Una traduzione letterale potrebbe recitare: “…attualmente è stabilito lì”, e all’inizio dello stesso versetto si afferma che lì è il suo trono. Insomma, questa città dell’Asia Minore era il luogo da cui Satana prendeva le decisioni per governare il suo impero mondiale. Ma perché proprio Pergamo?
Non posso essere dogmatico su quanto dirò, ma ritengo che Satana in passato avesse il suo trono a Roma. Questa convinzione si basa sulla mia interpretazione del libro di Daniele. Tuttavia, quando la chiesa di Gesù Cristo invase la capitale dell’Impero, dichiarò guerra spirituale contro le stesse porte dell’inferno. È importante ricordare che i nuovi credenti sono sempre accompagnati da angeli e anche i bambini piccoli hanno angeli a loro assegnati (Matteo 18:10). Ora il punto è questo: con l’aumento del numero di cristiani a Roma, andava aumentando anche l’esercito angelico in città. In Romani 16:20 Paolo assicura ai cristiani di Roma: “Il Dio della pace schiaccerà presto Satana sotto i vostri piedi”. Alcuni preteristi parziali interpretano questo versetto come un riferimento alla cristianizzazione di Roma, che avvenne 300 anni dopo. Tuttavia, non condivido questa spiegazione. Il termine greco per “presto” (τάχος) è definito nel dizionario BDAG come segue: “Periodo di tempo molto breve”; il che mal si concilia con un evento che sarebbe accaduto 300 anni più tardi. Satana era sul punto di subire una sconfitta significativa in Italia proprio in quel frangente storico. La lettera ai Romani fu scritta nel 55 d.C. (undici anni prima della redazione dell’Apocalisse) e la chiesa stava avendo un tale successo che persino membri della casa di Cesare stavano diventando cristiani già a quel tempo, pensate.
In Apocalisse 2:13 il tempo presente viene utilizzato per indicare come Satana vada ad installarsi in quel di Pergamo (la traduzione letterale, lo ripeto, dice: “…attualmente è stabilito lì”). Questa potrebbe essere stata una mossa strategica da parte sua: abbandonando Roma, vi avrebbe comunque lasciato generali pronti a muovere guerra alla neonata chiesa della capitale. In effetti, Dio di lì a poco avrebbe liberato un demone chiamato la “bestia dall’abisso” e Satana gli avrebbe permesso di controllare Nerone fino a trasformare l’imperatore nella bestia stessa: è, infatti, evidente come la bestia presenti una forte dimensione demoniaca. Apocalisse 11:7 parla della “bestia che sale dall’abisso” e Apocalisse 17:8 della “bestia che… sta per ascendere dall’abisso”. In entrambi i casi, non si fa riferimento a Satana, ma ad un demone orribile sotto il controllo di Satana, il dragone. A mio avviso, quindi, non si può affermare che Satana abbandonò Roma come causa persa; anzi, vi continuò ad operare tramite suoi ufficiali ed eserciti demoniaci. Tuttavia, basandomi su Isaia ed Ezechiele, sono convinto che, con la crescente presenza di angeli protettori al seguito degli eletti, Satana decise di lasciare Roma e di stabilirsi a Pergamo, scegliendo un rifugio più sicuro, ma comunque strategico.
Ma perché Pergamo avrebbe potuto rappresentare il secondo posto migliore per la sua dimora? Parte della risposta potrebbe risiedere nel fatto che il cristianesimo era giunto in questa città solo di recente. In effetti, non si fa menzione di Pergamo nel libro degli Atti, il che suggerisce che la testimonianza cristiana in questo luogo si diffuse solo dopo l’anno 60. Pertanto, in un certo senso, Pergamo rappresentava un luogo più sicuro dove Satana ben pensò di collocare il suo quartier generale.
Ma, oltre a ciò, vi è molto di più da considerare. Già in passato, durante un sermone in cui vi avevo accennato alcune informazioni su Pergamo, avevo evidenziato come ogni società possieda dei cosiddetti “punti di leva”, ovvero sfere di particolare influenza, generalmente rappresentanti dei punti di forza di una data società, che possono essere sfruttati per manipolare o controllare processi politici, culturali, economici e sociali. Pergamo, sotto questo aspetto, era ideale come dimora di Satana. Questa città dell’Asia Minore rivestiva un ruolo di grande rilevanza nell’Impero romano, esercitando un’influenza straordinaria in molte aree, tra cui quella medica. In particolare, Pergamo rappresentava un centro cruciale per la diffusione di un modello medico che fondeva scienza ed occultismo, legato al culto di Asclepio, il dio greco della guarigione. Asclepio, originariamente un medico a cui si attribuiva il potere di compiere miracoli per intervento divino (in realtà, secondo una prospettiva cristiana, per intervento demoniaco), secondo alcune credenze si trasformò egli stesso in una divinità vera e propria. Il suo nome significa “portatore di serpenti” e il suo simbolo, un bastone attorno al quale è attorcigliato un serpente per l’appunto, è tuttora utilizzato per rappresentare la medicina e la guarigione. Questo emblema è oggi, per esempio, associato ad istituzioni come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ed altre ancora.
A Pergamo una delle figure di spicco in questo ambito era Galeno, celebre medico dell’antichità la cui influenza perdura fino ai giorni nostri. Sotto la sua guida si instaurò un rigoroso sistema di certificazione professionale strettamente legato alle pratiche del santuario di Asclepio sito proprio a Pergamo. I medici aspiranti dovevano sottoporsi ad un preciso percorso di formazione approfondita nei centri medici statali e aderire alle dottrine mediche prevalenti. Il riconoscimento professionale richiedeva, inoltre, un periodo di apprendistato presso le istituzioni riconosciute. Questa commistione tra medicina e spiritualità pagana, sostenuta da un rigido sistema di controllo centralizzato, rappresentava un terreno fertile per derive preoccupanti.
E pensateci: una struttura medico-sanitaria centralizzata rappresenta tutt’oggi una ricetta sicura per la compromissione della pratica medica, favorendo potenziali abusi e distorsioni etiche di ogni tipo. Non c’è da stupirsi, per esempio, che le varie istituzioni, agenzie ed associazioni mediche finiscano oggi per favorire e promuovere agende come quelle LGTB, pro-aborto e di allinearsi sempre e comunque con posizioni stataliste, appoggiandosi all’autorità governativa per la certificazione dei titoli accademici e per l’imposizione di pratiche mediche standardizzate su vasta scala.
Personalmente, trovo estremamente offensivo ed inaccettabile che un candidato cristiano alla presidenza proponga, per esempio, l’obbligo della vaccinazione per tutta la popolazione, senza eccezioni e senza alcun rispetto per la libertà religiosa. Perché un governante dovrebbe promuovere misure così sfacciatamente inique? Credo che la risposta risieda proprio nel fatto che dirigenti ed esperti sono intrappolati in un sistema accademico che educa a pensare in un’unica direzione. Ecco, questo appena illustrato è un ottimo esempio di “punto di controllo” o “punto di leva” ben utilizzabile da Satana per il raggiungimento dei suoi scopi malvagi.
Prima che vi fosse esposto quanto detto, forse non eravate consapevoli che il “bastone di Asclepio”, simbolo ancora oggi associato alla professione medica, fosse legato a pratiche di guarigione occultistica in uno dei più importanti centri imperiali dell’antichità. Vi esorto a non cadere nell’errore di considerare la medicina, così come la scienza in generale, come un campo neutrale. Non lo è. La neutralità è un mito, e in quanto cristiani devoti, impegnati nel far risplendere la gloria e la giustizia divina in ogni ambito di vita, dobbiamo esserne assolutamente consapevoli. Manteniamo, dunque, gli occhi ben aperti di fronte agli inganni che possono emergere in qualsiasi sistema medico o scientifico, i cui presupposti sembrano lontani da una visione del mondo che sia informata dalla Parola di Dio.
Pergamo rappresentava un luogo ideale come centro strategico per l’influenza del regno di Satana, anche per il ruolo cruciale che ricopriva nell’ambito dell’istruzione e della formazione. La città era riconosciuta come un polo culturale di rilievo all’interno dell’Impero romano, attirando studenti da ogni parte del mondo conosciuto. Questo prestigio era in gran parte dovuto alla sua celebre biblioteca, che ospitava oltre 200.000 opere, configurandosi come una delle più grandi ed importanti dell’antichità, seconda solo alla leggendaria Biblioteca di Alessandria. In un certo senso, Pergamo poteva essere paragonata a quelle che oggi definiamo città universitarie, dove l’istruzione e la formazione rappresentano il fulcro della vita cittadina. Tale rilevanza rendeva la città un obiettivo strategico per chiunque volesse influenzare il pensiero e i valori culturali di una società. Controllando il sistema educativo e la trasmissione del sapere, “punti di leva” a dir poco cruciali, Satana avrebbe potuto esercitare un’influenza profonda e duratura sull’intero Impero, plasmando intere generazioni attraverso ideologie e dottrine allineate ai suoi fini.
Pergamo era anche una città che ospitava una significativa presenza istituzionale dell’Impero romano; un centro, potremmo dire, dal marcato carattere statalista. Lo statalismo, c’è da dire, rappresenta in ogni tempo uno strumento ideale per Satana, che trova nello sfruttamento del governo civile un mezzo efficace per consolidare il proprio controllo su vari settori della società. Se Satana ha l’opportunità di avvalersi delle strutture statali per rafforzare il dominio acquisito in ambiti come l’istruzione, la medicina, le arti e i media, lo farà in maniera sistematica ed incisiva. Pergamo, in effetti, si distingueva per la sua fervente devozione all’imperatore. Fu proprio il re della città a promuovere attivamente il culto imperiale in tutta l’Asia Minore, ottenendo così il privilegio di erigere il primo tempio in assoluto dedicato all’imperatore. Questo tempio non era solo un simbolo di lealtà politica, ma anche un centro di influenza culturale e religiosa che consolidava il ruolo di Pergamo come un importante punto di riferimento per l’attività politica e spirituale dell’Impero.
Pergamo, inoltre, era senza dubbio pure un importante centro religioso nell’antichità. Gli storici evidenziano come fosse il cuore pulsante di quattro tra i più rilevanti culti pagani: quelli dedicati a Zeus, Atena, Dionisio e il già menzionato Asclepio. Sebbene altri culti, come quelli di Apollo, Venere e Bacco, avessero centri principali altrove, Pergamo era strettamente connessa a questi tramite le sue reti culturali e religiose, mantenendo così un ruolo di spicco nel panorama religioso del tempo. L’aspetto cultuale, quindi, rappresentava un ulteriore “punto di leva” strategico per il diavolo.
Ricapitolando: Pergamo, sotto ogni aspetto, era una città di grande influenza. Non sorprende, quindi, che Satana l’abbia scelta come base operativa per il suo quartier generale al fine di perseguire due maggiori obiettivi strategici:
La scelta di Pergamo, dunque, non era affatto casuale. La città rappresentava un punto chiave per esercitare controllo ed influenza su settori nevralgici dell’intera società romana, grazie al suo ruolo di spicco in ambiti come la medicina, l’istruzione, le istituzioni politiche e la religione. Questa strategia – come approfondiremo in seguito soffermandoci sulle dinamiche riguardanti la “guerra spirituale” – evidenzia un’importante lezione anche per i cristiani: così come l’avversario cerca di dominare i “punti di leva” delle società, anche i seguaci di Cristo dovrebbero impegnarsi con altrettanta determinazione per impossessarsi e presidiare tali ambiti, promuovendo il Regno di Dio e la sua giustizia.
Purtroppo, la chiesa dei nostri tempi pare sempre più inconsapevole dell’importanza strategica dei “punti di leva”. Ha progressivamente abbandonato questi fronti di battaglia, relegandosi in una posizione passiva e spesso limitandosi a proclamare un Vangelo monco, centrato quasi esclusivamente sulla salvezza personale e privo di una dimensione trasformativa per la cultura e le istituzioni. Questo approccio, profondamente riduttivo, non fa che avvantaggiare Satana, che, trovando poca o nessuna opposizione, si appropria in scioltezza delle nazioni e delle loro strutture.
I cristiani della chiesa di Pergamo, al contrario, avevano una chiara consapevolezza dei termini del conflitto culturale e spirituale in atto. A differenza della latitanza che spesso caratterizza i credenti odierni, essi si impegnavano attivamente nello scontro, invadendo senza paura la “fossa del leone” e conquistando quanto più terrirorio possibile per il Regno di Dio. La loro determinazione rappresenta un modello di fedeltà e coraggio, un esempio che la chiesa contemporanea è chiamata assolutamente a recuperare.
Prima di proseguire, permettetemi di esporre brevemente come Satana abbia adottato una strategia analoga anche ai tempi di Babilonia. Dai capitoli 13 e 14 del libro di Isaia apprendiamo che Satana abitava presso il re di Babilonia, un’indicazione che il suo centro di comando fosse collocato proprio in quella grande città. Questo appare del tutto logico, poiché Babilonia era a quel tempo la capitale di un impero potente, il fulcro politico ed amministrativo di vasti territori. Tuttavia, nel 585 a.C., il profeta Ezechiele (capitolo 28) rivela un cambio significativo: Satana ora dimorava presso il re di Tiro, Ithobal II. Tale trasferimento, da Babilonia ad una città relativamente piccola come Tiro, solleva domande legittime: “Perché abbandonare la capitale per stabilirsi in un centro secondario?”.
La risposta potrebbe risiedere negli eventi associati all’esilio del popolo di Israele. Nel libro di Geremia, una visione profetica descrive due cesti di fichi: i fichi cattivi, che rappresentano il popolo rimasto in Israele, e i fichi buoni, che raffigurano coloro che furono portati in cattività a Babilonia, tra cui uomini devoti come Daniele, Shadrak, Meshak e Abednego. Con questi “fichi buoni” si accompagnarono anche schiere angeliche che invasero Babilonia. Questa presenza massiccia di angeli di Dio potrebbe aver reso rischioso per Satana mantenere il suo trono in quella città. Di conseguenza, pare che egli abbia deciso di trasferire il proprio quartier generale a Tiro, affidando un “principe” demoniaco alla supervisione di Babilonia e della Persia, come riportato nel libro di Daniele. Ma perché Tiro? Tiro era una città di straordinaria influenza, soprattutto nei settori del commercio e della finanza. Esattamente come Pergamo, quindi, Tiro rappresentava un punto strategico di una fitta rete di controllo di un’ampia area.
Bene. Finiamola qui con questa indagine su Satana e le sue strategie di gestione e comando della sua battaglia spirituale e torniamo alla questione principale: la chiesa di Pergamo si trovò ad affrontare il pericolo di operare in un contesto paragonabile ad una vera e propria “fossa dei leoni” e, sorprendentemente, si dimostrò all’altezza della sfida. Affrontare tali minacce comporta inevitabilmente il rischio di soccombere: entrare nella “fossa” significa esporsi a pericoli letali, con la possibilità di essere “divorati”. Tuttavia, la chiesa non arretrò, ma affrontò con coraggio le insidie esterne che derivavano dal trovarsi al centro di un ambiente altamente ostile.
Pericoli non affrontati come si deve (vv.14-16)
Ciò che, invece, i credenti di Pergamo non riuscirono purtroppo a riconoscere e a fronteggiare a dovere furono le strategie di Satana all’interno della chiesa stessa. E da qui il rimprovero di Cristo nei versetti 14 e 15:
14 Ma ho alcune cose contro di te: tu hai colà alcuni che ritengono la dottrina di Balaam, il quale insegnò a Balak a gettare una pietra d’inciampo davanti ai figli d’Israele, inducendoli a mangiare cose offerte agli idoli e a fornicare. 15 Così hai pure alcuni che ritengono la dottrina dei Nicolaiti.
All’inizio ho già dedicato del tempo all’esegesi di questo passaggio; quindi, non ritengo necessario soffermarmici nuovamente in modo approfondito. La questione che qui emerge è la seguente: “Per quale motivo una chiesa, pur essendo generalmente devota, tollerava al proprio interno una minoranza che consumava cibi offerti agli idoli, si abbandonava alla fornicazione o sosteneva dottrine antinomiste?”. La risposta può essere ricondotta all’uso della medesima parola greca, κρατέω (kratéō), che nel versetto 13 è utilizzata per descrivere la fermezza dei membri fedeli nell’attaccarsi al nome di Cristo, mentre nei versetti 14 e 15 – tradotta con “ritengono” – viene ripetuta ben due volte per indicare l’atteggiamento dei membri infedeli. Proprio come i cristiani devoti si mantennero saldi con forza e determinazione nella loro fede, i disubbidienti trattennero con uguale caparbietà e fermezza le loro false dottrine. Non solo persistevano in questi insegnamenti, ma insistevano nel ritenerli veri e conformi alla Scrittura.
Negli anni ’60 e ’70 ho osservato numerosi leader evangelici, inclusi alcuni riformati, sostenere posizioni inaccettabili riguardo all’aborto. Insegnavano, ad esempio, basandosi su interpretazioni di brani del libro dell’Esodo, che l’aborto non costituiva propriamente un omicidio; lo consideravano un atto grave, sì, ma non lo equiparavano alla soppressione intenzionale di una vita umana. Allo stesso tempo, vi erano anche coloro che si opponevano con veemenza all’idea che i pastori affrontassero l’argomento nei loro sermoni. Questi ultimi insistevano sul fatto che la predicazione dovesse limitarsi esclusivamente al Vangelo e che non fosse appropriato intervenire su temi etici e politici. Le influenze spirituali avverse sembrano evidenti in queste dinamiche, quasi come se Satana in persona stesse tentando, con ogni mezzo, di ostacolare la chiesa dal rimuovere elementi disobbedienti o dottrine fuorvianti dal suo interno.
Ricordo anche di un mio amico, leader di una grande organizzazione evangelica in Canada, che pubblicò un articolo in una rivista cristiana conservatrice sostenendo che non fosse appropriato per i cristiani predicare o manifestare contro l’aborto. Secondo lui, la chiesa non avrebbe mai dovuto entrare nelle dispute politiche o nelle battaglie culturali. Sebbene non fosse personalmente favorevole all’aborto, riteneva sconveniente coinvolgersi in quel dibattito. Rimasi sconcertato leggendo quelle affermazioni.
E, come se tutto ciò non fosse già abbastanza grave, non mancavano in quel periodo leader evangelici che andarono ancora oltre, sostenendo apertamente il diritto all’aborto e giustificandolo sulla base di insegnamenti teologici errati. È chiaro, dunque, che, come i cattivi cristiani di Pergamo, anch’essi ritenevano dottrine false.
Consentitemi di portare alla vostra attenzione un articolo del 1990 pubblicato nel Journal of the Evangelical Theological Society. Esso rivela una posizione a dir poco contraddittoria: pur affermando che l’aborto motivato da convenienza svaluta la vita, l’articolo nel suo complesso finisce per giustificare l’aborto in circostanze definite “difficili”. Questa posizione evidenzia una logica pericolosamente ingannevole, che si maschera da difesa della vita, della dignità umana e dell’immagine divina dell’uomo. Tuttavia, tali argomentazioni, apparentemente benevoli, nascondono una profonda compromissione con un pensiero antibiblico. Vi leggo alcuni estratti:
Quasi tutti gli studiosi di etica concordano sul fatto che l’aborto sia consentito qualora la salute della madre sia in grave pericolo, ossia nel caso in cui la nascita del feto risulti fatale per la sua vita… [Si tratta in realtà di una falsa pista e di una dicotomia fuorviante. Tuttavia, il testo prosegue argomentando ulteriori eccezioni:] Se una donna concepisce contro la sua volontà, a causa di uno stupro o di un incesto, e desidera abortire, la sua richiesta dovrebbe essere rispettata. In questo caso, ella non è semplicemente un corpo, ma una persona creata ad immagine di Dio, e negarle tale diritto equivarrebbe a negarne la personalità. Come ha espresso Norman Geisler: “Ad una potenziale persona umana non può essere garantito un diritto di nascita violando una persona umana pienamente realizzata, a meno che quest’ultima non dia successivamente il suo consenso”. Riguardo all’incesto Geisler afferma: “Permettere che un male si sviluppi nel nome di un bene potenziale (l’embrione) sembra un modo inadeguato di affrontare il male, specialmente quando il bene potenziale (l’embrione) potrebbe rivelarsi esso stesso un’altra forma di male. È preferibile prevenire il male piuttosto che perpetuarlo”. Il terzo caso in cui l’aborto viene considerato ammissibile è qualora il nascituro presenti gravi difetti fisici o mentali.
Dopodiché l’articolo continua giustificando l’aborto persino per quei bambini afflitti dalla sindrome di Down. Insomma, è sconvolgente constatare ciò che rispettati leader della chiesa evangelica siano stati in grado di giustificare nel recente passato appellandosi all’etica biblica. Essi sono rimasti ciechi di fronte al proprio compromesso, rendendosene conto, in alcuni casi, soltanto in un secondo momento, quando infine hanno cambiato opinione.
Dinnanzi a tali sfaceli morali dovremmo seguire l’esempio di Davide e rivolgerci a Dio con umiltà, pregando: “Investigami, o Dio, e conosci il mio cuore; provami, e conosci i miei pensieri; e vedi se vi è in me alcuna via di perversità, e guidami per la via eterna” (Salmo 139:23-24).
I compromessi etici che, come chiesa del Signore, ci troviamo progressivamente ad accettare potrebbero non apparirci come questioni urgenti o preoccupanti. Questo accade perché siamo immersi in un contesto nazionale e sociale che non percepisce tali situazioni come motivo di vergogna. Forse – e questo è ancora più drammatico – persino il nostro ambiente ecclesiale fatica a riconoscerne la gravità.
Per fare un ulteriore esempio: magari, fra vent’anni, quei genitori cristiani che oggi, con disarmante leggerezza, affidano i propri figli all’istruzione e all’educazione delle scuole statali potrebbero svegliarsi e riconoscere l’enormità del loro errore. Un errore tremendo, dai frutti amari, che equivale, di fatto, all’abbandono dei propri figli, alla consegna dei nostri bambini nelle mani del nemico, esponendoli a pericoli devastanti. Eppure, al giorno d’oggi, questo comportamento viene ancora mascherato da qualcosa di buono, addirittura difeso e lodato come un atto spirituale. In molti sostengono, infatti, come sia giusto permettere ai nostri figli di lasciare casa ed imparare ad essere “missionari” nel mondo. Tra questi, ho amici e parenti che, purtroppo, sono fermamente convinti di questa posizione. Non si rendono conto, però, che ciò significa, in sostanza, chiedere ai pagani di ammaestrare e discepolare i loro figli, con il risultato inevitabile di educarli ad una visione del mondo fondamentalmente pagana. Per me, è qualcosa di inaccettabile, addirittura orribile. Lo ripeto: si tratta di un errore fatale. E il fatto che la maggior parte degli evangelici non lo percepisca come tale è un’immensa tragedia spirituale e morale, frutto di quella che si potrebbe, per l’appunto, definire la “sindrome di Pergamo”.
Un altro esempio ancora: mi è capitato di confrontarmi con amici cristiani che, sebbene non giustifichino esplicitamente il sesso prematrimoniale, tendono comunque a tollerare o approvare alcune forme di contatto fisico più spinto durante il periodo del fidanzamento. Quando esprimo il mio pensiero, affermando che in tali casi, a mio avviso, si è già sconfinati nell’ambito della fornicazione, vengo spesso accusato di legalismo. Tollerare pratiche di fornicazione, però, li rende, di fatto, assimilabili ai Nicolaiti. Ricordo come, ai tempi della scuola biblica, vi fossero molti compagni che manifestavano uno stile di vita simile a quello dei Nicolaiti. Essi criticavano me e la mia fidanzata — oggi mia moglie — per la nostra ferma determinazione a non scambiarci nemmeno un bacio prima del matrimonio. E c’è da dire come, da parte nostra, non vi fosse alcuna intenzione di impartire lezioni o di convincere nessuno a seguire il nostro esempio; ci limitavamo semplicemente a spiegare che, per noi, un comportamento diverso avrebbe rappresentato una violazione dell’etica biblica. Ciononostante, questa nostra posizione suscitava irritazione nei nostri compagni. La loro mentalità, chiaramente influenzata da un atteggiamento nicolaita, non tollerava il fatto che ci rifiutassimo di condividere o giustificare atti che consideravamo impuri.
Se avessimo tempo, potremmo elencare molti altri esempi, poiché numerosi sono gli ambiti in cui, purtroppo, la chiesa dei nostri tempi si rende colpevole dell’errore nicolaita. Basti pensare al panorama denominazionale protestante, evangelico o persino riformato, caratterizzato da insegnamenti che, di fatto, sostengono posizioni favorevoli a dottrine di stampo socialista. Il socialismo, in molti contesti, è diventato il pensiero dominante per i cristiani in Occidente. Spesso e volentieri viene persino presentato come un imperativo morale, quando invece la Bibbia condanna in modo inequivocabile le politiche socialiste, definendole un furto. Questo è un fatto grave e sconvolgente. Tali ideologie, di natura profondamente anti-biblica e, tuttavia, incoraggiate e divulgate da tanti insegnanti cristiani, stanno appesantendo e minando la stabilità della nostra nazione.
Come mai, nel nostro paese, giornalisti, docenti, parlamentari, magistrati, ministri e presidenti non vengono apertamente ammoniti dai pulpiti per le posizioni empie che assumono? A mio avviso, ciò accade proprio a causa della “sindrome di Pergamo”, in cui è tristemente caduta la chiesa evangelica nel suo insieme.
Leggendo i versetti 14 e 15 di Apocalisse 2, non si può che rimanere inorriditi davanti agli evidenti e gravi errori dei Nicolaiti. Tuttavia, dobbiamo porci una domanda cruciale: “Quanti errori di questo tipo, magari inavvertitamente, hanno finito per contaminare anche la nostra dottrina e la nostra testimonianza?”. Ecco perché è essenziale supplicare lo Spirito Santo affinché apra i nostri occhi e ci mostri se la nostra fede sia stata inficiata da gravi compromessi, rimasti troppo a lungo nella nostra vita senza che nessuno li affrontasse per rimuoverli. Il pericolo è reale: è fin troppo facile, per qualsiasi chiesa, scivolare verso uno stato di compromissione spirituale simile a quello di Pergamo.
La necessità di attuare misure correttive (v. 16)
Al versetto 16 leggiamo: “Ravvediti dunque, altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca”.
Qui abbiamo, coniugato alla seconda persona singolare, un ammonimento rivolto alla chiesa, indicata evidentemente come colpevole; tuttavia, il combattimento minacciato è indirizzato contro “loro”, ovvero gli antinomisti eretici presenti all’interno della comunità. È chiaro quali fossero gli errori di cui i Nicolaiti dovevano ravvedersi, ma di cosa era chiamata a pentirsi la chiesa? Qual era il suo peccato che richiedeva correzione? Il suo errore consisteva nell’essere oltremodo tollerante e nell’evitare di affrontare con fermezza i peccati palesi e le inaccettabili eresie antinomiste di alcuni suoi membri. Non possiamo limitarci sempre e solo ad apostrofare esclusivamente il male nella società, del mondo perduto lì fuori; è necessario che dal pulpito venga individuato e condannato anche tutto il male sguisciato all’interno della comunità stessa, adottando quindi tutte le misure correttive necessarie per eliminarlo.
La disciplina, infatti, è una delle azioni più amorevoli che una chiesa possa compiere nei confronti di un Nicolaita. Se quella persona è tra gli eletti, le misure disciplinari porteranno al suo ravvedimento. Ora, non ho modo di approfondire a dovere l’argomento, ma il noto passaggio di 2 Corinzi 10 sulla guerra spirituale sottolinea come la disciplina ecclesiastica sia uno strumento a dir poco essenziale. Tuttavia, questo passaggio viene spesso frainteso. Leggiamo i versetti da 3 a 6:
3 Infatti anche se camminiamo nella carne, non guerreggiamo secondo la carne, 4 perché le armi della nostra guerra non sono carnali, ma potenti in Dio a distruggere le fortezze, 5 affinché distruggiamo le argomentazioni ed ogni altezza che si eleva contro la conoscenza di Dio e rendiamo sottomesso ogni pensiero all’ubbidienza di Cristo…
Beh, dico: “Alleluia!” – fin qui si tratta, infatti, di parole meravigliose. Ma proseguiamo la lettura con il verso 6, con il quale si conclude il passaggio: “…e siamo pronti a punire qualsiasi disubbidienza, quando la vostra ubbidienza sarà perfetta” (enfasia mia).
In questo passaggio, l’apostolo Paolo esorta la chiesa ad impegnarsi con prontezza nel correggere ogni forma di disubbidienza. La disciplina, applicata all’interno del contesto ecclesiale, rappresenta una delle armi spirituali più efficaci per abbattere il regno di Satana. Eppure, è triste constatare che, nel suo insieme, la chiesa contemporanea sembra riluttante nell’adoperare questa potente arma. Dovremmo allora sorprenderci se la nostra lotta contro le fortezze del nemico in questo secolo appaia spesso tanto inefficace? Ricordiamoci: finché il disubbidiente Acan si trovò in mezzo a Israele, non vi fu possibilità di vittoria contro Ai (Giosuè 7-8).
La disciplina ecclesiastica è imprescindibile per assalire efficacemente le fortezze demoniache, distruggere le argomentazioni diaboliche ed abbattere ogni ostacolo che si oppone alla conoscenza di Dio. Quando i responsabili della chiesa dimostreranno piena obbedienza nel ricorrere a tutti gli strumenti spirituali a loro disposizione, allora Gesù stesso interverrà a sostegno con la sua spada. Come osservò Calvino, ciò che la chiesa lega sulla terra, Gesù lo lega nei cieli. Egli ci chiama a combattere laddove lui stesso è impegnato nella lotta. E sappiate che Cristo è impegnato nell’avversare l’antinomismo dilagante all’interno della chiesa, non solo contro quello presente nel mondo.
Tornare ad affrontare i brividi della guerra protetti da tre benedizioni (v. 17)
Il versetto 17 si conclude incoraggiandoci a mettere in pratica tre principi fondamentali nel contesto della guerra spirituale. Dotandoci di questi tre elementi, ridurremo significativamente il rischio di cadere vittime degli inganni del diavolo.
Il primo elemento essenziale è sviluppare una sensibilità spirituale verso la guida dello Spirito Santo attraverso la Parola. Gesù dichiara: “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”.
Ogni parola dei versetti da 12 a 17 proviene direttamente da Gesù. Tuttavia, quando nostro Signore invita la chiesa a prestare attenzione al contenuto scritto, afferma: “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”. L’implicazione è chiara: ascoltare lo Spirito equivale ad ascoltare l’infallibile Parola di Cristo. Lo Spirito non guiderà mai a intraprendere azioni contrarie alla Bibbia. Tuttavia, la Scrittura richiede sempre una piena dipendenza dallo Spirito Santo affinché il nostro udito spirituale non si atrofizzi. Quando ci accostiamo alla Bibbia con l’intenzione di piegarne il significato ai nostri desideri, abbiamo già spento lo Spirito Santo; non ci avviciniamo con orecchie pronte ad ascoltare, bensì con una mente chiusa che tenta di imporre a Dio ciò che vorremmo sentirci dire. Un simile atteggiamento non riceve la benedizione divina. Al contrario, quando ci avviciniamo alla Scrittura con un cuore disposto ad obbedire e con una sensibilità aperta agli insegnamenti dello Spirito Santo, egli ci prepara adeguatamente per affrontare la battaglia spirituale. È fondamentale non separare mai la Parola dallo Spirito: ascoltare lo Spirito significa ascoltare le parole di Cristo rivolte alle chiese. Leggere la Bibbia senza l’illuminazione dello Spirito Santo può, infatti, condurre agli stessi errori razionalistici che caratterizzarono i Nicolaiti.
In secondo luogo, è necessario rifiutare le mezze misure ed ogni forma di compromesso. Il Signore si rivolge soltanto a coloro che sono risoluti nel perseguire la vittoria. Quando giochicchiamo con le definizioni di peccato e tolleriamo la presenza di varie forme di trasgressione all’interno delle nostre comunità, invece di contrastarle con determinazione e vigore, Cristo non ci prende sul serio. Gesù rivolge la sua promessa “a chi vince”. Egli richiede un atteggiamento improntato alla vittoria, non semplicemente un approccio che si limiti a tentare di lottare.
L’approccio prevalente con cui molti evangelici affrontano (o evitano del tutto) le battaglie culturali del nostro tempo rivela, purtroppo, la mancanza di una reale aspettativa di vittoria. Infatti, adottando strategie basate sul compromesso con il “male minore” e sull’incrementalismo (ossia quell’approccio strategico graduale che, anziché ricercare soluzioni immediate e radicali, privilegia il confronto su questioni morali, sociali o spirituali in modo progressivo e misurato, al fine di minimizzare resistenze e scongiurare conflitti, N.d.T.), la sconfitta diventa inevitabile. Non è possibile vincere una battaglia che Gesù non è disposto a combattere al nostro fianco. Voglio ripeterlo ancora una volta: non è possibile vincere una battaglia che Gesù non è disposto a combattere al nostro fianco. E se lui non combatte con noi, beh, la sconfitta è certa.
Pertanto, assicuriamoci, sia nella forma che nella sostanza, di ricercare il regno di Dio e la sua giustizia, evitando di intraprendere battaglie sbagliate o lotte dettate da criteri umani. Dio ci chiama ad essere soldati della croce, impegnati non solo a combattere, ma a vincere, con la consapevolezza che il processo richiede una dedizione a lungo termine, fatta di lotta e vittoria.
Infine, è indispensabile per ciascuno di noi recuperare le forze ogni settimana attraverso un’intima comunione con Gesù Cristo. La parte conclusiva del versetto 17 offre tre immagini della Cena del Signore che descrivono la profondità della vicinanza e della comunione che ci è dato di avere con lui. Consideriamo la prima di queste immagini: la manna. Il testo afferma: “A chi vince io darò da mangiare della manna nascosta”.
Ma che cos’è questa manna nascosta? C’è un unico riferimento nella Scrittura che parla di una manna nascosta. Si tratta della porzione di manna che fu riposta nell’arca dell’alleanza e custodita nel Santo dei Santi. Nell’Antico Testamento nessuno avrebbe osato guardare quella manna, tantomeno consumarla. Nemmeno il sommo sacerdote aveva accesso ad essa: se avesse osato rimuovere il coperchio del propiziatorio, sarebbe stato immediatamente colpito a morte. Eppure, molti rimanevano stupefatti dalla vicinanza a Dio che il sommo sacerdote sperimentava una volta all’anno, quando poteva entrare nel Santo dei Santi e stare davanti al propiziatorio. Non sarebbe stato straordinario trovarsi di fronte a quella colonna di fuoco splendente che rappresentava la presenza divina? Un’esperienza così grandiosa avrebbe certamente riempito chiunque di forza e coraggio per affrontare il mondo intero.
Ebbene, nel testo Gesù dichiara che a noi è offerta qualcosa di immensamente più grande. Non siamo semplicemente invitati ad entrare nel Santo dei Santi, dove si trova il suo trono, ma siamo accolti sul trono stesso, simbolicamente rappresentato dal propiziatorio. E non solo: ci è dato addirittura di mangiare di quella manna nascosta. Questa è un’immagine straordinaria che descrive l’intimità profonda ed ineguagliabile che possiamo avere con Cristo.
Questo è ciò che Cristo promette di donarci alla sua mensa. Tuttavia, questa promessa è rivolta esclusivamente a coloro che vincono, a coloro che possiedono un udito spirituale per ascoltare ciò che lo Spirito dice attraverso la Scrittura. Questo sacramento non è concesso a chi non ha fede.
Permettetemi ora di aprire una breve parentesi per un piccolo appunto: purtroppo, i sostenitori della Cena del Signore riservata esclusivamente agli adulti battezzati tendono a spingersi troppo oltre, affermando, in sostanza, che i bambini piccoli non possono essere considerati vincitori. Questa idea è errata. In 1 Giovanni 4:4 è scritto: “Voi siete da Dio, figlioletti, e li avete vinti, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo”. Questo versetto dimostra che la partecipazione alla Cena del Signore non dipende dall’essere adulti battezzati, ma dalla fede: la fede è l’elemento indispensabile. Inoltre, 1 Giovanni 5:4 afferma: “Perché tutto quello che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede”. Non è rilevante quanto sia grande o intellettualmente maturo il bambino, ma è cruciale che egli abbia fede per abbracciare la grandezza di Cristo.
La seconda immagine è altrettanto affascinante. Il verso dice infatti: “E gli darò una pietruzza bianca, e sulla pietruzza sta scritto un nuovo nome…”. Il commentatore Beale osserva che potrebbe esserci un collegamento tra la manna e una pietra d’invito. La manna, infatti, viene paragonata per due volte, nel suo aspetto, ad una pietra bianca di bdellio (Es. 16:31; Num. 11:7). Tuttavia, le pietre bianche erano anche utilizzate come gettoni per ottenere l’ammissione ad un banchetto. Beale suggerisce, quindi, che probabilmente non si tratti di una ripetizione: la manna si riferisce al pasto che si consuma al banchetto, mentre la pietra bianca rappresenta il gettone che consente l’accesso al banchetto stesso. E con Gesù che afferma che il nome del vincitore è scritto sulla pietra, credo che ciò indichi chiaramente il ruolo delle pietruzze bianche come simboli di ammissione ad un banchetto.
L’applicazione tratta da questa immagine che desidero proporvi è la seguente: l’ammissione alla Cena del Signore è un qualcosa di particolare e personale. La santa cena viene servita ai vincitori, a coloro che hanno orecchie spirituali pronte ad ascoltare ciò che lo Spirito dice nelle Scritture. L’invito è, dunque, specifico, piuttosto che generico e rivolto a tutti.
Detto questo, tale immagine incoraggia i vincitori a comprendere che, in quanto soldati, non hanno da vedersi mai come semplici numeri di un grande esercito. Non sono solo “carne da cannone”. Ogni individuo è riconosciuto per le proprie opere e per i propri sacrifici. E ciascuno riceve un invito personale. Gesù è disposto ad entrare in comunione con ogni singolo individuo invitato alla sua mensa.
A proposito, è interessante notare come un tempo la Chiesa Scozzese richiedesse ai fedeli di presentare dei gettoni prima di prender parte alla Cena del Signore. Pertanto, le persone provenienti da altre comunità dovevano incontrarsi in anticipo con i responsabili e, se approvate, ricevevano un gettone da presentare ad un anziano per poter ricevere il pane e il vino. Ricordo di aver sperimentato proprio tale processo alla mia prima Cena del Signore in una Chiesa Presbiteriana Libera di Scozia anni fa. Ma è interessante che in quella chiesa venisse riconosciuto come il Signore imponga restrizioni al suo popolo su chi è invitato alla sua festa. Non sono tutti quelli che sono rigenerati, né coloro che hanno orecchie spirituali, ma sono quelli che adoperano attivamente il loro udito spirituale per porsi con fede all’ascolto, o come dicono gli ammonimenti del Signore alla chiesa di Laodicea: quelli che ascoltano, aprono la porta e ricevono Cristo. Si tratta, quindi, di una fede attiva.
Anche la terza immagine ha a che fare con l’idea di vicinanza e di intimità: “…e sulla pietruzza sta scritto un nuovo nome che nessuno conosce, tranne chi lo riceve”.
Mariti e mogli, talvolta, si scambiano soprannomi affettuosi che rimangono segreti, noti soltanto a loro. Analogamente, Dio sembra richiamare questa idea di intimità quando promette un nuovo nome che nessun altro conosce. Questo concetto, è opportuno sottolinearlo, perde di significato se si tende ad oggettivizzare eccessivamente il Patto, come talvolta fanno studiosi quali Doug Wilson e James Jordan (con loro Visione Federale, che enfatizza l’appartenenza visibile e corporativa alla comunità pattizia attraverso i sacramenti). Al contrario, penso che l’idea di nome nuovo ci suggerisca una dimensione profondamente soggettiva: un segreto intimo tra il singolo credente e il Signore. Infatti, come afferma lo stesso Gesù in Giovanni 10:3 a proposito del buon pastore: “Le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le sue pecore per nome e le conduce fuori”. È proprio questa relazione personale e profonda che emerge con forza. Quindi, pur riconoscendo la dimensione collettiva insita nella Cena del Signore, non si può trascurare il suo aspetto individuale, altrettanto straordinario.
Accostarsi alla Cena del Signore, settimana dopo settimana, comporta una duplice possibilità: quella di ricevere giudizio o benedizione. In altri termini, questo atto non è privo di un’importante componente collegata direttamente alla guerra spirituale nel quale siamo coinvolti. Che straordinaria benedizione è poter sperimentare una vicinanza a Gesù persino maggiore rispetto a quella riservata al Sommo Sacerdote nell’Antico Testamento! Questa realtà non solo rende le sofferenze più tollerabili, ma offre ristoro e forza per affrontare il conflitto spirituale. Ci rassicura, inoltre, che non siamo mai soli nella lotta. I pagani possono perseguitarci e persino altri cristiani potrebbero fraintenderci o osteggiarci; ma se seguiamo il Capitano della nostra Salvezza, colui che brandisce la spada a doppio taglio, possiamo avanzare con la certezza che, se Dio è per noi, nessuno sarà contro di noi (Rom. 8:31).
Impegniamoci, dunque, nella ricerca della purezza della chiesa, divenendo un esercito che assalta con determinazione le porte dell’inferno, come già fece Pergamo nel suo tempo. E che Dio riceva tutta la gloria e l’onore. Amen.
Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%202/Revelation%202-12-17?utm_source=kaysercommentary.com
[1] Traduzione di Wilbur Pickering, in The Sovereign Creator Has Spoken: New Testament Translation With Commentary (licenza Creative Commons Attribution/ShareAlike Unported, 2013).