L’amore perduto può essere recuperato?
Di Phillip G. Kayser, sermone del 4/10/2015
Parte della serie “Progetto Apocalisse”
Questo sermone illustra come anche una chiesa straordinaria come quella di Efeso possa allontanarsi dal Signore nel suo amore; esplora, quindi, le dinamiche attraverso cui si perde il “primo amore” e fornisce indicazioni su come possa essere riconquistato.
Leggiamo Apocalisse capitolo 2, versetti da 1 a 7:
1 Al messaggero della chiesa di Efeso scrivi: queste cose dice Colui che tiene le sette stelle sulla sua destra e che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro: 2 Io conosco le tue opere, sì, la tua fatica e la tua costanza e che non puoi sopportare i malvagi; e hai messo alla prova coloro che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi; 3 e hai sopportato e hai sofferto a causa del mio nome, e non ti sei stancato. 4 Ma ho contro di te che hai lasciato il tuo primo amore. 5 Ricordati dunque da dove sei caduto e ravvediti e fa’ le opere di prima; se no verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi. 6 Tuttavia hai questo, che odi le opere dei Nicolaiti, che odio anch’io. 7 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese: a chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è in mezzo al paradiso del mio Dio[1].
Introduzione
So della storia di una coppia in vacanza al mare: un giorno marito e moglie godevano del sole rilassandosi su dei materassini gonfiabili. Dopo un po’ lui ebbe abbastanza di starsene a galleggiare in acqua e si ritirò in spiaggia; lei, invece, rimase ancora a farsi dondolare dolcemente dalle onde del mare. Perdendo la cognizione del tempo, in uno stato di massimo relax, finì purtroppo preda di una corrente che andò trascinandola inesorabilmente sempre più lontano dal bagnasciuga. Quando si accorse di ciò che le stava accadendo, era ormai troppo tardi: non aveva più le forze necessarie per contrastare la corrente e riportare il materassino in acque sicure. Fortunatamente, i bagnini intervennero in tempo riuscendo a trarla in salvo. Ma, capite bene, l’intera situazione era stata creata dall’essere rimasti troppo a lungo alla deriva in maniera imprudente e distratta. Ebrei 2:1 avverte i cristiani dicendo: “Perciò bisogna che ci applichiamo ancora di più alle cose udite, per timore di essere trascinati lontano da esse”.
Allontanarsi dal Signore non è paragonabile ad una ribellione vera e propria. Avviene in modo così graduale che spesso i cristiani non se ne accorgono nemmeno; finché poi un giorno non si ritrovano talmente freddi verso il Signore e così indifferenti alla sua parola da rimanere sconvolti dal cambiamento avvenuto nella loro vita. E, proprio come nel caso di quella donna sul materassino in mare aperto, possono pure dare l’impressione di star bene ed apparire come membri sani e fedeli della chiesa; ma interiormente sono stati trascinati via e si ritrovano alla deriva.
E proprio questa era la situazione di molti credenti nella chiesa di Efeso. Si ritrovavano in grave pericolo spirituale, senza nemmeno rendersene conto. Nei versetti 4 e 5 il Signore dice quanto segue: “Ma ho contro di te che hai lasciato il tuo primo amore. Ricordati dunque da dove sei caduto e ravvediti e fa’ le opere di prima; se no verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi”.
Questi credenti avevano perso il loro primo amore per il Signore. “Primo amore” è un’espressione che si riferisce alla totale devozione che una sposa e uno sposo hanno l’uno verso l’altro, non mostrandosi freddi nel loro rapporto, desiderando di trascorrere del tempo insieme, parlandosi e aiutandosi vicendevolmente.
Dal libro degli Atti degli Apostoli apprendiamo come la chiesa di Efeso iniziò il proprio percorso di fede con grande devozione ed amore verso il Signore. Dal capitolo 19 capiamo come molti dei membri di quella chiesa fossero stati salvati dalle grinfie di culti satanici, mostrandosi, tra l’altro, molto grati per questo. Il testo dice che il valore dei libri su occultismo ed arti magiche che avevano dato alle fiamme era di 50.000 pezzi d’argento. Un atto, questo, che ben mostra la loro determinazione nel recidere completamente ogni legame con il passato dando la propria vita al Signore Gesù. E l’amore che dedicavano al Signore era chiaramente visibile nel loro amore e nella loro devozione reciproca. Quando Paolo lasciò Efeso, leggiamo in Atti 20, versi 37 e 38, “tutti scoppiarono in un gran pianto; e si gettarono al collo di Paolo e lo baciarono, dolenti soprattutto perché aveva detto loro che non avrebbero più rivisto la sua faccia”. Il loro amore per Paolo era evidente. E l’amore che questi fedeli provavano verso tutti i santi era evidente all’apostolo, il quale non mancò di lodarli per questo in Efesini 1:15. Insomma, quella di Efeso era una gran bella chiesa e l’epistola agli Efesini lo mette ben in chiaro. Da qui il disappunto di constatare come soltanto dieci anni più tardi Giovanni nell’Apocalisse scriva: “…ho contro di te che hai lasciato il tuo primo amore”.
Presumendo come l’Apocalisse sia stata scritta tra il 64 e il 66 d.C., come l’epistola agli Efesini risalga al 58 e la chiesa di quella città fosse stata fondata probabilmente pochi anni prima, allora capiamo che il particolare amore caratterizzante gli efesini si sia assopito nell’arco di circa un decennio. Ora, comprendo come davanti a tutto ciò la nostra reazione possa essere di sorpresa, di stupore. Ma consideriamo la nostra vita. Quante volte ci allontaniamo dal nostro amore per il Signore nel giro di uno o due anni – figuriamoci dieci!
Che dire, riflettendo sulla mia esperienza personale, non posso che confessare in tutta sincerità come il mio amore per Cristo oggi non sia più tanto forte come lo era, che so, negli anni ’70, ’80 e ’90. Certamente, non si è raffreddato; è stato, tuttavia, soggetto a diversi e ripetuti alti e bassi. Ed oggi non si presenta più della stessa intensità come all’inizio del mio cammino cristiano. E sapete cosa? È importante, in realtà, rendersene conto e capire come a volte ci si ritrovi alla deriva. È chiaramente cosa positiva accorgersi dell’allontanamento molto prima che il nostro materassino gonfiabile venga trascinato sempre più distante dal bagnasciuga. È molto più agevole interrompere la deriva, apportare le dovute correzioni e tornare, quindi, in acque sicure.
Ma, a quanto pare, ad Efeso la situazione era tanto grave, lo sconfinamento nella zona di pericolo tanto consistente e l’amore per il Signore tanto ridotto, che la conseguenza di una tale condizione non sarebbe che potuta essere la rimozione del candelabro.
Sia lodato Dio! È Gesù a prendere l’iniziativa che porta al recupero dell’amore (v. 1)
Ma sia lodato Dio: è il marito della chiesa stesso, Gesù Cristo, ad avviare le azioni necessarie per il ripristino della salute spirituale. È lui stesso a prendere l’iniziativa che porta al recupero dell’amore. E pensateci: proprio in ciò consiste la grazia. Egli desidera godere di un rapporto risanato. Il versetto 1 dice: “Al messaggero della chiesa di Efeso scrivi: queste cose dice Colui che tiene le sette stelle sulla sua destra, che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro”.
Gesù osserva come la scintilla della relazione d’amore che lega la Chiesa a lui possa affievolirsi, e, da buon sposo, si premura di ravvivare quella fiamma. Come comprendiamo dal versetto 1, fa ciò attraverso l’opera dei suoi ministri. Nel sermone precedente abbiamo appreso che i ministri della Chiesa sono descritti come stelle sulla mano di Cristo. Questi ufficiali sono chiamati a rappresentare l’autorità di Cristo nel loro servizio ogni volta che ve n’è bisogno. Dunque, se la mano di Cristo avverte un allontanamento del suo popolo, anche le stelle nella sua mano dovrebbero percepirlo e reagire di conseguenza (almeno così dovrebbe essere idealmente).
Cercate, quindi, di non prendervela quando gli anziani della vostra comunità vi fanno visita e vi chiedono del vostro cammino con Dio, incoraggiandovi nella vostra vita di preghiera ed indagando su ciò che ascoltate o leggete. È importante che facciano ciò per comprendere se e quanto il vostro amore per il Signore si sia eventualmente raffreddato. Nel momento in cui i credenti non esercitano costantemente una resistenza autocosciente e riflettuta del proprio stato di salute, allora è facile e normale che si vada alla deriva, almeno in qualche misura. Ecco perché i pastori dovrebbero avere un occhio attento alle proprie pecore; dovrebbero monitorare le nostre condizioni e percorsi, cercando di capire in quali acque e in quali direzioni andiamo muovendoci.
Ma un attimo! Qual è il problema? Questa di Efeso pare una gran bella chiesa! Come può Cristo dire che è in pericolo di estinzione? (vv. 2-3,6)
Tornando alla chiesa di Efeso, beh, questa storia dell’allontanamento e dell’aver perso il primo amore potrebbe stranire molti lettori. Molti di noi, davanti allo sdegno di Cristo nei confronti di questa chiesa, potrebbero reagire con una certa sorpresa, chiedendosi come mai si arrivi addirittura a parlare di un pericolo di estinzione, di rimozione; dopo tutto, quella di Efeso per molti altri aspetti era davvero una chiesa encomiabile. E lo stesso Dio non manca di evidenziarlo. Prima di capire come mai Cristo paventi una conseguenza tanto grave per questa comunità, passiamo in rassegna la lista di lodi che le rivolge.
È una chiesa dedita al servizio (“io conosco le tue opere”)
Efeso era una chiesa dedita al servizio. Il verso 2 inizia rimarcando proprio questo aspetto. Vi leggiamo: “Io conosco le tue opere”. Gli Efesini erano impegnati in molte cose buone e il Signore li loda per questo. In effetti, esprimere apprezzamento per ciò che è buono è da considerare proprio come una delle strategie che Cristo mette in atto per ravvivare la fiamma dell’amore ch’è sul punto di estinguersi. Il male non lo rende cieco di fronte al bene nella sua sposa, la Chiesa. Ma, attenzione, è possibile compiere buone opere senza avere un’effettiva relazione d’amore con Dio.
È una chiesa dedita al sacrificio (“sì, la fatica”)
Efeso era anche una chiesa dedita al sacrificio e il Signore le fa sapere di aver notato la dura fatica profusa nel suo lavoro. A quanto pare, non mancavano tra quei fedeli persone pronte ad organizzare e a portare avanti lavori di ogni tipo, a tenere in ordine la contabilità, a far visita ai poveri, a provvedere per i pasti comunitari e a svolgere tutte le altre attività necessarie per il sostentamento della comunità. Si sacrificavano per la chiesa, dandosi un gran da fare. E Gesù riconosce ed apprezza questa loro dedizione al duro lavoro; nondimeno desidera avere il cuore della sua sposa.
Mentre riflettevo su questo aspetto, mi è venuta in mente una scena del film Il violinista sul tetto, nel quale Tevye chiede a sua moglie Golde: “Ma tu mi ami?” e lei gli risponde dicendo: “Mi ami? Da venticinque anni lavo i tuoi vestiti, cucino i tuoi pasti, pulisco la tua casa, ti ho dato dei figli, ho munto la mucca… Perché parlare d’amore adesso, dopo venticinque anni?” Lui, però, dopo una breve pausa, insiste e le dice: “Ma mio padre e mia madre dicevano che avremmo imparato ad amarci, e ora ti chiedo, Golde, mi ami?” Al che lei replica dicendo: “Ma sono tua moglie!”; (Tevye) “Lo so… Ma mi ami?”; (Golde) “Se lo amo? Da venticinque anni vivo con lui, ho litigato con lui, ho patito la fame con lui. Da venticinque anni il mio letto è il suo. Se questo non è amore, allora cos’è?”
Il punto, però, è questo: anche se l’amore include tutte le meravigliose cose che Golde ha fatto per suo marito, così come le opere che la chiesa di Efeso ha compiuto per Gesù, si può continuare a fare quelle cose — essere fedeli, leali, lavorare sodo — e tuttavia raffreddarsi nell’amore.
È una chiesa ben salda (“la tua costanza… hai sopportato e hai sofferto a causa del mio nome, e non ti sei stancato”)
La terza caratteristica positiva che la chiesa di Efeso presentava era la perseveranza, la sua fermezza. Al versetto 2 leggiamo: “Io conosco…la tua costanza”; al versetto 3, invece, vien detto: “…hai sopportato e hai sofferto a causa del mio nome, e non ti sei stancato”. Non è questo amore? Dopo tutto, appare piuttosto chiaro come ogni cosa fosse fatta proprio per amor di Cristo. Eppure, nel verso successivo Gesù mostra il proprio sdegno dicendo: “Ma ho contro di te che hai lasciato il tuo primo amore”. Attenzione, non dice che gli Efesini avessero perso completamente l’amore, ma che avevano abbandonato il loro primo amore. Cristo desidera quel primo amore dalla sua chiesa. Far sì che quel primo amore perduri non è un’utopia, ma una realtà perseguibile. Un tale amore può essere una realtà nel matrimonio e può perdurare nella nostra relazione con Cristo.
Ora vi chiedo: “È possibile che le persone dimostrino un alto grado di fermezza e costanza nel compiere opere buone senza essere davvero salvate?”. La risposta è sì. Ho visto, per esempio, persone in chiese di stampo liberale che, dopo anni di partecipazione, non hanno mai saltato neppure un solo servizio di culto, e tuttavia, nonostante tanta lealtà alla denominazione, mancano di mostrare una fede salvifica. Ho visto membri di sette determinati e disposti a soffrire nel perseguimento dei loro obiettivi. Anzi, lo zelo di alcuni mormoni e testimoni di Geova spesso mette in imbarazzo molti credenti per il livello di impegno risoluto che queste persone sembrano dedicare al loro ministero.
Ora, parliamoci chiaro: l’impegno e la dedizione nel proprio servizio sono aspetti più che positivi, e infatti, in questi versetti, vediamo che fanno parte di una lista di cose che Dio loda chiaramente. Tuttavia, il punto su cui bisogna riflettere è il seguente: questi aspetti virtuosi possono persistere anche quando purtroppo il primo amore comincia a svanire. Non permettete, quindi, che le cose buone del vostro servizio per il Signore vi rendano ciechi di fronte alla necessità di mantenere vivo il primo amore.
È una chiesa con una chiara antitesi (“e che non puoi sopportare i malvagi… tu odi le opere dei Nicolaiti, che anch’io odio”)
Una delle caratteristiche più degne di nota della chiesa di Efeso è il fatto che era potatrice di una chiara e decisa antitesi. I suoi membri avevano una comprensione profonda della distinzione tra giusto e sbagliato e si rifiutavano categoricamente di scendere a compromessi. Questo è un aspetto assai lodevole. Gesù li elogia esplicitamente nel versetto 2, quando afferma: “…non puoi sopportare i malvagi”. Il contesto grammaticale del brano sottolinea come questa avversione nei confronti degli antinomisti fosse considerata un’assoluta virtù. In particolare, gli Efesini si opponevano con forza al culto dei Nicolaiti e ciò lo apprendiamo direttamente dal versetto 6, il quale afferma: “Tuttavia hai questo, che odi le opere dei Nicolaiti, che odio anch’io”. Gesù li loda per la loro ferma opposizione, per questa loro antitesi, lasciando chiaramente intendere come quella di Efeso, a differenza della chiesa postmoderna dei nostri tempi, non fosse per nulla incline alla tolleranza indiscriminata.
Secondo Ireneo, Padre della Chiesa primitiva, il fondatore di questa setta era Nicola di Antiochia, uno dei sette diaconi originari della chiesa di Gerusalemme. Nicola, cadendo nell’apostasia, si autoproclamò apostolo e diffuse false dottrine, tra cui l’antinomismo, l’eresia che sostiene la non necessità di osservare la legge di Dio nel contesto del Nuovo Patto. Gli Efesini, essendo saldi teonomisti, erano giustamente indignati da tali insegnamenti e la loro condanna era motivata da un rigore dottrinale che meritava l’approvazione divina.
È opportuno individuare e soffermarsi sugli aspetti positivi della chiesa di Efeso. Vediamo come Gesù stesso lo faccia: egli elogia la sua sposa per le qualità virtuose che possedeva. E una delle più significative era proprio questa avversione nei confronti dell’antinomismo dei Nicolaiti e la netta intolleranza verso gli eretici. Questo aspetto da solo fa di Efeso una chiesa di gran lunga superiore a tanta parte della chiesa moderna, i cui modi sono purtroppo sempre più accomodanti.
Dopotutto, i Nicolaiti non erano nemmeno comparabili ai contemporanei antinomisti evangelici, i quali, per tutta una serie di dottrine condiscendenti, finiscono per peccare con tanta disinvoltura, con una coscienza completamente libera. Almeno i Nicolaiti, nella loro licenziosità, si facevano dei problemi, ammettevano il loro peccato e si ingegnavano mettendo tutta una serie di limiti e paletti. Secondo Vittorino, un padre della Chiesa, essi insegnavano, ad esempio, come fosse possibile consumare carne offerta agli idoli a condizione che si esorcizzasse il cibo prima del consumo. Inoltre, affermavano che chi commetteva fornicazione si trovava in uno stato di colpa per otto giorni, dopo i quali si riconquistava la pace. In questo senso, i Nicolaiti apparivano meno induriti rispetto ai moderni evangelici.
Oggigiorno, gli antinomisti sembrano non preoccuparsi neppure della forma. Non provano vergogna; peccano e chiedono perdono, peccano e chiedono perdono, senza mai interrompere il ciclo del peccato. E c’è da dire come ve ne siano alcuni che sostengono come non sia nemmeno necessario dovere chiedere perdono. A causa della loro distorta comprensione della giustificazione, il peccato non suscita in loro alcun turbamento. Alcuni sono addirittura dell’opinione che dopo la conversione non si debba mai più chiedere perdono a Dio, poiché la giustificazione copre tutti i peccati, passati, presenti e futuri. Sebbene questa affermazione sia vera nel contesto della relazione con Dio Giudice, non possiamo dimenticare di essere stati adottati come figli nella famiglia di Dio e, in quanto nostro Padre, egli si preoccupa ancora del peccato. Pertanto, risulta ancora necessario chiedere perdono a Dio Padre. Gli antinomisti tendono a negare questa verità.
E gli Efesini, a ragione, erano indignati per i falsi insegnamenti degli antinomisti. Erano ben capaci di discernere tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tra vera e falsa dottrina. Le loro vie erano ben dritte e vi si muovevano con determinazione. In un certo senso, la loro attitudine ricorda un po’ quella dei moderni riformati, i quali tendono a concentrarsi sul dibattito dottrinale e sono estremamente precisi nel perseguire la correttezza formale e la giustezza dei contenuti, trascurando però forse di amare Dio con tutto il loro cuore, con tutta la loro anima, forza e mente.
Ricordiamoci di cosa dice 1 Corinzi 13:2: “Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla”. Pertanto, capiamo bene come la questione dell’amore non possa essere trascurata o banalizzata in nessun modo.
È una chiesa attenta alla disciplina (“hai messo alla prova coloro che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi”)
Poiché uno dei segni distintivi di una vera chiesa è sempre stata la presenza della disciplina ecclesiastica, è opportuno sottolineare come gli efesini fossero rigorosi anche in questo aspetto. In Atti 20 Paolo li aveva avvertiti, esortandoli a rimanere vigili, a proposito dell’arrivo di lupi rapaci e falsi insegnanti che avrebbero cercato di infiltrarsi nella comunità. Ed essi presero sul serio quel monito.
Ora, permettetemi di spiegare perché la chiesa di Efeso fu attenta ed ordinata nell’applicare misure disciplinari a livello di “candelabro” (cioè, a livello di presbiterio, di collegio degli anziani) piuttosto che a livello di singola “lampada” (che corrisponde al livello della singola congregazione). In quale contesto venivano ordinati apostoli e pastori? Timoteo fu ordinato mediante l’imposizione delle mani del presbiterio, come vediamo illustrato in 1 Timoteo 4:14. Senza entrare in una disamina dettagliata di tutti passaggi scritturali inerenti questa tematica, è importante notare che, poiché apostoli e pastori erano soggetti a disciplina a livello di presbiterio, fu proprio questo organo ad esaminare la questione dei falsi apostoli, come nel caso di Nicola e dei suoi seguaci.
Il versetto 2 si conclude con le parole: “…hai messo alla prova coloro che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi”. L’espressione “messo alla prova” ha un forte richiamo ad un contesto giudiziario. Queste persone furono esaminate, investigate, sottoposte ad un processo e riconosciute come falsi apostoli. Le loro credenziali furono revocate e l’intera comunità fu avvertita di non accettare questi impostori. Ancora una volta vediamo come, sotto diversi aspetti, la chiesa di Efeso fosse una chiesa davvero eccezionale.
Purtroppo, però, il suo amore si era raffreddato (v. 4)
Purtroppo, però, il suo amore si era raffreddato. Il versetto 4 dice: “Ma ho contro di te che hai lasciato il tuo primo amore”. Fare le cose giuste, per il tramite di metodi corretti e tecniche adeguate, ma senza amore, è un po’ come avere una fornace il cui ventilabro continua a funzionare, ma la fiamma si è spenta.
Forse pensate che, in qualche modo, questa lettera indirizzata alla chiesa di Efeso vi descriva? Un tempo provavate grande passione per il Signore, ma ora vi limitate semplicemente a svolgere il vostro dovere? Il tempo riservato alla lettura e alla meditazione una volta vi riempiva il cuore di ardore, mentre ora fate fatica a compiere più di una semplice lettura della Scrittura e a recitare una preghiera di pochi minuti? Quando è stata l’ultima volta che siete stati talmente colpiti dalla magnificenza di Dio da desiderare di inginocchiarvi e adorarlo? Quando è stata l’ultima volta che avete provato un tale entusiasmo per il Signore da voler condividere la vostra fede con gli altri?
Non disperate se questo tipo di esperienza rispecchia la vostra situazione. Non intendo rimproverarvi o appesantirvi oltremodo. È facile per chiunque perdere il proprio primo amore. Esattamente come quella donna alla deriva sul suo materassino gonfiabile, abbiamo forse l’impressione che tutto vada bene, senza renderci conto di quanto ci stiamo effettivamente allontanando dalla riva. I puritani sono stati abili nell’identificare le varie cause che possono condurci a questo allontanamento. Spesso, tutto può iniziare trascurando la nostra intimità con il Signore. La vita quotidiana, con i suoi numerosi impegni, ci porta gradualmente a saltare sempre più di frequente il tempo riservato alla lettura della Parola e alla preghiera. Potrebbe anche trattarsi di un peccato che abbiamo evitato di confessare, e che, con il passare del tempo, finisce per sembrarci meno grave mentre persiste nella nostra vita. Magari, in passato, vi sareste ritirati inorriditi di fronte a certe immagini apparse improvvisamente sullo schermo del computer, ma col tempo vi siete abituati a non considerare più quelle immagini come un problema serio. Finite poi per razionalizzare il tutto, dicendo a voi stessi che anche gli altri vedono le stesse cose e che, dopotutto, il nostro Dio è un Dio di grazia. Per alcuni l’allontanamento può derivare da difficoltà che conducono allo scoraggiamento: avete pregato, per esempio, ma Dio sembra non darvi risposta e questo scoraggiamento si trasforma piano piano in cinismo, al punto che iniziate a dubitare dell’operato di Dio nella vostra vita. Di conseguenza, la vostra fede inizia a vacillare fino a quasi scomparire. Oppure il vostro caso è diverso da quelli descritti, ma, in fondo, siete consapevoli di esservi allontanati dalla condizione desiderata nella vostra relazione con Dio. Riconoscere di ritrovarsi lontano da quella condizione è già un buon primo passo da compiere.
Come ristabilire il primo amore (vv. 5-7a)
Desidero, quindi, darvi speranza: il vostro primo amore può essere ristabilito, può essere risanato, indipendentemente dalla vostra situazione. Sapete, il mio primo amore è andato alla deriva molte volte nel corso della mia vita. A volte mi accorgo di essermi allontanato solo per pochi metri e riesco a tornare indietro immediatamente. Altre volte, mi rendo conto di essermi allontanato così tanto da trovarmi in uno stato di grave aridità spirituale, simile a quello di Davide nei Salmi 42 e 63, nei quali lo vediamo esprimere la sua sete per Dio in una terra secca e desolata. In queste occasioni, Dio mi ha portato alle lacrime per il pericolo causato a me stesso. Tuttavia, prima ci si impegna nei passaggi necessari per restaurare il proprio primo amore, prima ci si ritrova a far ritorno verso acque sicure. Il brano biblico su cui ci stiamo concentrando ci offre sette indicazioni pratiche per riportare la nostra passione verso il Signore. Passiamole in rassegna.
Pensate a che punto vi trovavate e a cosa è successo (“Ricordati dunque da dove sei caduto…”)
Riflettete, innanzitutto, su dove vi trovavate un tempo e su cosa è accaduto dopo. Nel versetto 5 leggiamo: “Ricorda dunque da dove sei caduto”. Di solito ci rendiamo conto che il riscaldamento centrale della nostra casa si è spento solo quando l’ambiente inizia a raffreddarsi. Ma è proprio il desiderio di calore che ci spinge a riconoscere quanto sia importante quel riscaldamento. Naturalmente, se non avete mai riposto la vostra fede in Gesù Cristo, allora quel riscaldamento non è mai stato installato nella casa della vostra vita. In tal caso, è necessario prima di tutto diventare figli di Dio: egli provvederà affinché riceviate quel calore spirituale. Tuttavia, per il credente, che ha già ricevuto questa grazia ma si è trovato ora in una condizione di stallo o allontanamento, la vita è diventata decisamente più difficile. Pensate a quanto eravate benedetti prima che il calore del vostro riscaldamento spirituale iniziassero ad affievolirsi. Richiamate alla mente la gioia, la pace e il conforto che provavate camminando alla presenza di Dio. Tutto ciò è giusto che vi manchi e che lo desideriate di nuovo.
Correggete i vostri pensieri e le vostre azioni sbagliate (“…e ravvediti”)
In secondo luogo, una volta identificate le cause dell’allontanamento, Giovanni ci esorta al ravvedimento, ovvero a correggere o rimuovere ciò che ci ha portati in cattive acque. A tal proposito, è importante sottolineare che il pentimento non consiste semplicemente nel dire: “Mi dispiace”. Il vero pentimento implica la confessione del peccato a tutti coloro che ne sono stati colpiti, accompagnata da un cambiamento radicale sia nel modo di pensare che nelle azioni. Inoltre, il pentimento coinvolge anche la sfera emotiva. Deve avvenire una consapevole e profonda inversione di rotta che tocchi la mente, la volontà e le emozioni. Solo così si può sperimentare un’autentica restaurazione dei rapporti.
Ravviva le fiamme dell’amore (“…e fa’ le opere di prima”)
In terzo luogo, è fondamentale ravvivare le fiamme dell’amore. Giovanni ci invita a farlo riprendendo le “prime opere”. Ma cosa intende esattamente con ciò? Nei seminari matrimoniali, i relatori spesso ricordano ai coniugi che il fuoco del loro matrimonio non può riaccendersi senza un impegno consapevole. Uno degli esercizi proposti alle coppie è quello di compiere nuovamente i gesti premurosi ed amorevoli che facevano durante il corteggiamento o nei primi anni di matrimonio. Vengono incoraggiati a scriversi biglietti d’amore, a fare passeggiate insieme, a uscire per una cena romantica, a coccolarsi o a telefonarsi. Quindi, le “opere di prima” del verso 5 sono quelle azioni che esprimevano l’intensità dell’amore iniziale.
Potreste pensare: “Ma il mio amore ora non è più così forte” e temere che sarebbe ipocrita o fallimentare fingere il contrario. Tuttavia, riflettete: non è così che funziona. Se vi trovaste su un materassino, trascinati via dalla corrente, vi dimenereste con tutte le forze per tornare in acque sicure. E se ormai foste troppo lontani, continuereste comunque a lottare per attirare l’attenzione del bagnino. Mentre egli cerca di raggiungervi, voi, nel frattempo, continuereste a sforzarvi per andare contro la corrente. Nessuno, mentre attende di essere salvato, resta passivo senza fare nulla.
Permettetemi di darvi un consiglio. C’è un aspetto curioso riguardo alle emozioni: non potete, per così dire, energizzarle direttamente. Le emozioni si accendono come conseguenza delle vostre azioni consapevoli. Quando iniziate a compiere gesti amorevoli, il vostro amore ricomincia a fiorire.
Lo stesso principio si applica anche nella vita spirituale. Potreste dire: “Griderò di gioia quando mi sentirò gioioso”. Ma, ancora una volta, vi dico: “Non è così che funziona!” Nei Salmi vediamo Davide gridare di gioia nei momenti più difficili, quando tutto sembra crollare attorno a lui. Egli lotta per conquistarsi la gioia, insiste nel manifestare contentezza anche se le sue emozioni del momento mal si conciliano con quello stato desiderato. Comanda al suo corpo di agire secondo ciò che la sua mente sa essere giusto. In questo processo la mente guida e la volontà segue l’indicazione ricevuta, obbligando il corpo e le emozioni, seppur riluttanti, a servire gli interessi della mente e dello spirito.
È interessante notare come, quando iniziate a lodare Dio, spronando il vostro corpo ad esprimere lodi e gratitudine per la sua bontà, comincerete a percepire un primo rivolo di gioia, amore e riconoscenza fluire nel vostro cuore. E, quasi senza accorgervene, il livello delle vostre emozioni spirituali comincerà a crescere. Gesù sa bene di cosa parla quando ci esorta a tornare a fare le “prime opere”, poiché è attraverso queste che il nostro “primo amore” inizierà a rifiorire.
Non sono certo se a dirmelo quando ero bambino siano stati i miei genitori o qualcun altro, ma quanto mi fu insegnato è rimasto ben impresso nella mia mente e mi ha guidato con profitto nel corso della vita. Mi fu suggerito prima di tutto di trasformare la mia mente attraverso i mezzi della grazia, e di considerare la mia mente e il mio spirito come la locomotiva di un treno. La volontà, invece, rappresentava il vagone immediatamente successivo, ovvero la cabina del carbone, mentre il vagone di coda corrispondeva alle emozioni. Se avviate la locomotiva e la volontà è ben pronta a rifornire la caldaia di carbone, le emozioni seguiranno? Certo che sì: esse costituiscono il vagone di coda e non possono fare altro.
Tuttavia, desidero sottolineare che il vagone delle emozioni non rappresenta l’unico elemento dell’amore. L’intero treno è, infatti, una manifestazione di quell’amore. Il treno, composto da mente, volontà ed emozioni, incarna l’amore agape. Si tratta di un amore auto-sacrificale, capace di mantenere in movimento il treno anche nei momenti di stanchezza o quando manca la volontà di proseguire. Questo è il vero amore. È indubbiamente una benedizione che il vagone di coda delle emozioni segua il resto del treno, ma ciò, capite bene, avviene come conseguenza diretta delle “prime opere”. Le prime opere possono essere paragonate all’attività di alimentazione del fuoco della locomotiva a vapore. Un amore sano, quindi, coinvolge appieno mente, volontà ed emozioni. Esso possiede la locomotiva, il vagone del carbone e quello di coda, elementi essenziali per il suo corretto funzionamento.
Pertanto, è fondamentale che ravviviate le fiamme dell’amore tornando a compiere le “prime opere” della vostra esperienza di fede. Ma come potrebbe manifestarsi questo approccio in modo pratico? Ovviamente, le modalità variano da persona a persona. Per alcuni potrebbe significare destinare più tempo all’ascolto di musica di adorazione. Per altri potrebbe consistere nel dedicarsi a letture edificanti o nel redigere un messaggio d’amore rivolto a Dio. Potrebbe anche implicare la decisione di offrire un sacrificio di gratitudine al Signore. Le offerte di ringraziamento, ad esempio, erano doni presentati al tempio con l’unico scopo di esprimere gratitudine verso Dio. Un gesto del genere potrebbe essere rappresentato da: “Signore, ti dono questi 1000 euro semplicemente perché ti amo”. Questo atto è paragonabile ai regali che si fanno alla persona amata durante il periodo del corteggiamento; offrire tali doni procura grande gioia, no?
Oppure le vostre prime opere potrebbero includere cantare con maggiore entusiasmo al Signore, alzare le mani in segno di adorazione, danzare, inginocchiarsi o ricominciare a condividere le riflessioni derivanti dai vostri studi della Parola di Dio con vostra moglie o con chiunque altro. Qualunque sia la forma, è essenziale intraprendere queste prime opere, poiché scoprirete che il barlume d’amore nel vostro cuore inizierà a crescere. È inutile sentirsi abbattuti per la mancanza del primo amore, se non si è disposti a compiere le prime opere. Dio non trasforma il vostro rapporto con un semplice schiocco di dita; desidera che voi torniate coscientemente a praticare le prime opere.
Riflettete sulle conseguenze del mancato ravvedimento (“se no verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi”)
Quarto punto: è fondamentale riflettere sulle conseguenze che potrebbero derivare dal mancato ravvedimento e dal persistere nell’errore. Il versetto 5 del capitolo in questione si conclude con queste parole: “Se no, verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi”. Tale prospettiva si realizzò per la chiesa di Efeso? Sì, purtroppo alla fine si avverò. Un cristianesimo privo di passione non può sostenersi a lungo, né tantomeno trasmettersi di generazione in generazione.
La geografia stessa della regione in cui sorgeva Efeso ci offre una lezione preziosa riguardo alle dinamiche di allontanamento spirituale e di perdita di vitalità. L’antica città era situata alla foce del fiume Caistro, che sfociava nel Mediterraneo. Già nel I secolo, la foce e il porto lì presente erano soggetti ad un progressivo processo di insabbiamento. Col tempo, il limo finì per ostruire completamente il porto. Come osserva Vic Reasoner nel suo commentario: “Oggi le rovine di Efeso si trovano a otto miglia dal mare; il vecchio porto si trova adesso in una pianura erbosa spazzata dal vento. Così come la città si è allontanata dal mare, così anche la chiesa si è allontanata da Cristo”.
Oggi ad Efeso non c’è più alcuna chiesa, soltanto una moschea musulmana. E Reasoner correttamente osserva: “Si può andare incontro ad una rinascita oppure incontro ad una rovina”. Il nostro andare alla deriva non appare inizialmente così pericoloso, non più di quanto il limo che gradualmente si depositava nella baia di Efeso sembrasse pericoloso. Ma la nostra vita spirituale può alla fine ostruirsi completamente, e il miglior rimedio è destarsi e spaventarsi in tempo, prima che l’allontanamento dal Signore assuma tratti definitivi.
Uno degli aspetti più rilevanti dell’epistola agli Ebrei è la sua capacità di ristabilire un senso di santo timore. Nel capitolo 2, infatti, si avverte che, quando iniziamo ad andare alla deriva, alla fine possiamo incorrere nel giudizio. Il capitolo 3 ammonisce che l’indurimento del cuore può portarci a vagare nel deserto spirituale. Nel capitolo 4, l’epistola sottolinea come la mancanza di diligenza nel perseguire la nostra eredità possa farci cadere, come accadde alla generazione ostinata che perì nel deserto. Il capitolo 5 conclude avvertendo che, diventando ascoltatori pigri e duri di cuore, rischiamo di perdere ogni sensibilità spirituale. Il capitolo 6 mette in guardia dal pericolo reale di una caduta irreversibile. Infine, il capitolo 10 avverte che, se abbandoniamo l’adunanza e non ci sproniamo a vicenda all’amore e alle buone opere, possiamo arrivare a diventare talmente insensibili da scivolare per sempre via dalla fede.
Ora, l’epistola chiarisce che un vero credente non potrà mai abbandonare definitivamente la fede. Ma come si può essere certi di essere annoverati tra i veri credenti? I veri credenti sono preservati da Dio affinché possano perseverare nella fede, semplice. Quindi, prendere coscienza delle ripercussioni di un mancato ravvedimento e di una mancata correzione delle proprie vie è essenziale per evitare il tragico destino che colpì la pur ottima chiesa teonomica di Efeso, di cui oggi restano solo le rovine. Non seguite l’esempio di Efeso.
Riflettete su ciò che avete in comune con Dio (“Tuttavia hai questo, che odi le opere dei Nicolaiti, che anch’io odio”)
Il quinto passo che possiamo compiere è ricordarsi di ciò che ancora abbiamo in comune con Dio. Così come tra marito e moglie può insinuarsi l’abitudine a darsi per scontati, allo stesso modo è facile per noi trascurare ciò che è importante per il Signore. La Chiesa di Efeso odiava le opere dei Nicolaiti e Dio afferma di condividerne l’avversione. Avevano questo in comune. La loro percezione emotiva non era intorpidita, ma ancora sintonizzata con il cuore di Dio: di fatti, le loro emozioni venivano incanalate nella giusta direzione, contro il male. E, badate bene, quando condividiamo con Dio un odio fervente per ciò che è male, si apre la possibilità di risvegliare un amore altrettanto ardente per ciò che è bene. Pregate affinché Dio vi aiuti a odiare ciò che egli odia, così come pure ad amare ciò che egli ama.
Fate ritorno alle Scritture (“Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”)
Il sesto passo da affrontare è il seguente: far ritorno alle Scritture. Esse rappresentano il carburante indispensabile per il treno del nostro cammino cristiano. Se iniziate a trascurare la lettura e la meditazione delle Scritture, prima o poi perderete slancio, rallentando fino a fermarvi. È un processo inevitabile: senza carburante, il motore si arresta. Ecco perché Gesù, nel versetto 7, esorta la chiesa dicendo: “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”.
Quell’espressione, “chi ha orecchi”, suggerisce che non tutti possiedono un udito spirituale. Non tutti sono rigenerati. Si riferisce alla capacità spirituale di ascoltare Dio attraverso la sua Parola. Tuttavia, il fatto di essere rigenerati e di avere ricevuto orecchie spirituali non implica automaticamente che stiamo ascoltando attivamente. Dobbiamo impegnarci a ricercare la comunicazione e l’intervento di Dio nella nostra vita per il tramite della sua Parola, la Bibbia. Dobbiamo considerare le Sacre Scritture come potenti, vive e più affilate di qualsiasi spada a doppio taglio, capaci di scrutare la nostra anima e rivelarne i punti deboli. Essa deve essere vista come un balsamo curativo, un martello che plasma, un seme di vita. La lettura della Bibbia non dovrebbe mai ridursi ad un mero esercizio intellettuale, come fanno spesso i teologi liberali. Al contrario, deve essere affrontata con l’aspettativa che Dio desideri incontrarci attraverso di essa.
È fondamentale rimanere ancorati alle Scritture durante tutto l’arco della giornata e ciò può avvenire in diversi modi. Potete ascoltare, leggere, memorizzare, commentare e meditare la Parola di Dio. Siate consapevoli che, accostandovi ad essa con fede e immergendovi nelle sue verità, potrete assistere a trasformazioni profonde e straordinarie nella vostra vita. A tal proposito, vorrei citare alcuni riferimenti scritturali significativi. Lo Shemà Israel, ad esempio, è una delle preghiere più importanti e costituisce uno dei passaggi chiave del Pentateuco. Un fatto interessante è che questa preghiera viene recitata quotidianamente dagli ebrei osservanti, sia al mattino che alla sera, come segno di fedeltà e dedizione a Dio. Si trova in Deuteronomio 6, versi da 4 a 9, e recita come segue:
4 Ascolta, Israele: l’Eterno, il nostro DIO, l’Eterno è uno. 5 Tu amerai dunque l’Eterno, il tuo DIO, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza. 6 E queste parole che oggi ti comando rimarranno nel tuo cuore; 7 le inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando sei seduto in casa tua, quando cammini per strada, quando sei coricato e quando ti alzi. 8 Le legherai come un segno alla mano, saranno come fasce tra gli occhi, 9 e le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.
Questa preghiera sottolinea l’importanza di un totale attaccamento alla Scrittura. E quale ne è il risultato? È un risultato meraviglioso: il testo, infatti, prosegue affermando che il Signore avrebbe garantito agli obbedienti prosperità in ogni ambito di vita. Tuttavia, subito dopo, viene rivolto un avvertimento: sarà facile che, dopo aver ricevuto abbondanti benedizioni, i cuori si allontanino, ed è essenziale vigilare affinché ciò non avvenga.
In Giosuè 1:8 leggiamo: “Questo libro della legge non si diparta mai dalla tua bocca, ma meditalo giorno e notte, cercando di agire secondo tutto ciò che vi è scritto, perché allora riuscirai nelle tue imprese, allora prospererai”. Allo stesso modo, in 1 Timoteo 4:15 viene detto: “Medita queste cose, e datti interamente ad esse; acciocchè il tuo avanzamento sia manifesto fra tutti”. Questi passaggi devono fungere da stimolo a ritornare costantemente alle Scritture e a dimorarvi. Dio stesso ci promette che il nostro impegno sarà ampiamente ricompensato e che potremo sperimentare grandi benedizioni.
Combattete contro l’inerzia o qualsiasi altra cosa che vi ostacoli (“A chi vince…”)
C’è un ulteriore aspetto che dobbiamo considerare per ripristinare l’amore perduto: combattere contro l’inerzia e qualsiasi altro ostacolo. Il versetto 7 inizia con le parole: “A chi vince…”. Da ciò si evince che si tratta di una lotta volta a contrastare ogni tendenza alla deriva e all’allontanamento. Riprendendo l’immagine della signora sul materassino appena accortasi di essere alla deriva, è necessario impegnarsi con determinazione per riconquistare una posizione sicura in acque tranquille. Vincere implica resistenza combattiva. Satana, il mondo e persino la nostra carne faranno di tutto per ostacolare la nostra capacità di mantenere una relazione piena, gioiosa ed amorevole con Dio. È fondamentale guerreggiare contro tali forze. Senza questa lotta, ci ritroveremo automaticamente preda di pericolose correnti che ci spingeranno in mare aperto. L’intera vita cristiana è caratterizzata da una continua battaglia. Pertanto, siate vincitori.
Ne vale la pena? Sì. (v. 7b)
Ritengo di aver chiarito in modo sufficiente quanto questo sforzo da parte nostra valga realmente la pena: Dio ci farà prosperare in tutto ciò che facciamo se torniamo al nostro primo amore. Il versetto 7 ci offre un ulteriore modo per esprimere lo stesso concetto: “A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è in mezzo al paradiso del mio Dio”.
Adamo ed Eva furono allontanati dalle gioie del Giardino dell’Eden. Vennero banditi dall’Albero della Vita e dalle immense meraviglie di quel giardino, ma, soprattutto, furono privati della comunione con Dio. L’Albero della Vita rappresentava il loro nutrimento spirituale, un simbolo della loro relazione intima con il Creatore. Dopo che Dio li salvò, furono restaurati ad una comunione temporanea; tuttavia, nella Nuova Alleanza troviamo promesse molto più ricche e piene di significato, in grado di invertire la maledizione e di offrire una comunione profondamente rinnovata. Simbolicamente, oggi possiamo godere di ciò che Adamo ed Eva non avevano. Se possiamo mangiare simbolicamente dell’Albero della Vita, possiamo sperimentare una comunione più profonda di quella che Adamo ed Eva potevano mai avere. Una delle promesse che riempie il mio cuore di gioia verso Dio è contenuta in Giovanni 14, versetti da 15 a 23. Desidero leggervi questo passaggio:
15 «Se mi amate, osservate i miei comandamenti. 16 Ed io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, che rimanga con voi per sempre, 17 lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce; ma voi lo conoscete, perché dimora con voi e sarà in voi. 18 Non vi lascerò orfani; tornerò a voi. 19 Ancora un po’ di tempo e il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete; poiché io vivo, anche voi vivrete. 20 In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e che voi siete in me ed io in voi. 21 Chi ha i miei comandamenti e li osserva, è uno che mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio; e io lo amerò e mi manifesterò a lui». 22 Giuda, non l’Iscariota, gli disse: «Signore, come mai ti manifesterai a noi e non al mondo?». 23 Gesù rispose e gli disse: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui. (…)».
Giunti al termine di questo sermone, la mia preghiera sincera è che ognuno di noi possa sperimentare e coltivare esattamente questo tipo di amore profondo e questa comunione autentica con Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo. Amen.
Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%202/Revelation%202_1-7?utm_source=kaysercommentary.com
[1] Traduzione di Wilbur Pickering, in The Sovereign Creator Has Spoken: New Testament Translation With Commentary (Creative Commons Attribution/ShareAlike Unported License, 2013).