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Cosa fa Gesù la domenica?

Di Phillip G. Kayser, 27/09/2015

Parte della serie “Progetto Apocalisse”

Questo sermone tratterà dell’opera sacerdotale, profetica, regale e soprannaturale che Gesù compie in occasione di ogni “Giorno del Signore”.


Leggiamo, secondo la traduzione fatta basandoci sul “maggioritario”, Apocalisse 1:12-20:

12 E mi voltai per vedere la voce che parlava con me. E, come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro 13 e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, vestito d’una veste lunga fino ai piedi e cinto d’una cintura d’oro al petto. 14 Il suo capo, cioè i suoi capelli, erano bianchi come la lana, bianchi come la neve; e i suoi occhi erano come fiamma di fuoco; 15 i suoi piedi erano come bronzo finissimo, come se fossero stati arroventati in una fornace; e la sua voce era come il fragore di molte acque; 16 ed egli aveva sulla sua mano destra sette stelle e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, acuta, e il suo volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza. 17 Quando lo vidi caddi ai suoi piedi come morto. E pose la sua mano destra su di me dicendo: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, 18 e il Vivente: ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli! Amen! E ho le chiavi della morte e dell’Ades! 19 Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che stanno per accadere dopo queste, 20 il mistero delle sette stelle che hai visto sulla mia destra e quello dei sette candelabri d’oro: le sette stelle sono i messaggeri delle sette chiese, e i sette candelabri che hai visto sono sette chiese[1].

Introduzione

Prima ancora di addentrarci nel brano di oggi, trovo importante far notare come questo contenga numerose allusioni a brani veterotestamentari, allusioni che per chi dovesse avere scarsa familiarità con l’Antico Testamento potrebbero rimanere innoservate. Ma cos’è un’allusione in letteratura? Si tratta di un riferimento sottile oppure, a seconda dei casi, anche abbastanza diretto ed esplicito ad un personaggio, ad un luogo o ad un qualsiasi altro elemento di altre celebri opere letterarie. Le allusioni possono risultare utili poiché agiscono come una sorta di scorciatoia al fine di comunicare agevolmente vari aspetti: contesto narrativo, caratteristiche e caratterizzazioni di certi personaggi, umori, atmosfere, potenziali risvolti della storia, etc., etc.

Vi sono film che fanno ricorso ad un uso tanto massiccio di allusioni ad altri film, a pezzi musicali, ad opere letterarie, al mondo dell’arte figurativa o alla cultura pop in generale, da risultare abbastanza incomprensibili a chi si mostra incapace di cogliere i riferimenti allusivi in essi contenuti. Ad esempio, nel cartone animato della Walt Disney, Hercules, c’è una breve scena in cui l’eroe dell’antica Grecia riproduce chiaramente la stessa famosa posizione da combattimento del protagonista di Karate Kid. Si tratta della “mossa della gru” – un’immagine davvero molto iconica. Tuttavia, non conoscendo questo film cult degli anni Ottanta, beh, il riferimento – insieme a tutto ciò ad esso collegato – andrebbe inevitabilmente perso. Gli appassionati di Karate Kid, d’altra parte, cogliendo immediatamente l’allusione, comprenderebbero pure come l’ingenuo Hercules proprio con quella mossa si stia preparando a raggiungere di lì a poco il successo nel grande combattimento che lo attende. Pensiamo anche al più recente Shrek: si tratta di un film d’animazione per bambini davvero traboccante di dirette ed indirette allusioni a fiabe, filastrocche ed altri simboli della cultura popolare. Vi è, giusto per portarvi un esempio della cultura pop americana, una bevanda detta farbucks – un chiaro riferimento alla nota catena di caffè Starbucks. In ogni caso, di allusioni se ne trovano anche in romanzi e film seri, non soltanto in cartoni animati. E ciascuna di queste allusioni fa sì che con la mente si vada subito a considerare aspetti e caratteristiche della storia che altrimenti richiederebbero elaborati e lunghi sviluppi narrativi per essere delineati. Insomma, quello delle allusioni è uno stratagemma semplice per impostare e precisare contesto, umore e sviluppi narrativi, così da indirizzare ed influenzare le aspettative del lettore o dello spettatore.

Ora, ecco qui il problema: se si dovesse interrompere un film ogni due minuti per evidenziare tutte le allusioni spiegandone il significato, beh, si finirebbe per rovinarne l’effetto generale, no? Le allusioni e i riferimenti o si è in grado, per così dire, di coglierli oppure no. E lo stesso vale per il “film” dell’Apocalisse, il quale di allusione ne ha a bizzeffe. In quanto accademico, la mia tentazione costante è quella di smontarlo pezzo dopo pezzo, rendendone l’analisi inevitabilmente troppo pesante e frammentata. E non sono mancati un paio di interventi critici da parte di alcuni di voi che hanno rimarcato questa mia tendenza a dilungarmi in troppi stop analitici. Ecco quindi che, per scendere a compromessi, già a partire da questa volta cercherò (ogni volta che mi sarà possibile) di riassumere le principali allusioni scritturali concentrandole in un solo grafico. Si tratta di un grafico semplice, senza troppi fronzoli: presenta il brano dell’Apocalisse considerato nel sermone e i vari passaggi contenenti le allusioni del Vecchio Testamento. Lo trovate allegato nella trascrizione.

Bene. E adesso due parole veloci a proposito del titolo di questo sermone, “Cosa fa Gesù la domenica?”. Come mai l’ho intitolato così? Beh, anche se quella del versetto 10 è una domenica particolare, speciale (nel testo leggiamo “il giorno del Signore”, cioè, come esaminato la volta scorsa, il giorno della settimana riservato a Gesù), credo comunque che il brano di oggi ci offra un quadro di ciò che Gesù compie in occasione di ogni Giorno del Signore, di ogni domenica.

 

Cosa fa Gesù la domenica?

È nel mezzo delle assemblee

La prima cosa che Gesù fa è incontrare le sue chiese. Proprio come Dio Figlio venne a camminare nel Giardino dell’Eden in Genesi capitolo 3, viene a camminare pure tra i santi delle chiese. In Apocalisse 1:12-13 leggiamo: “E mi voltai per vedere la voce che parlava con me. E, come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, vestito d’una veste lunga fino ai piedi e cinto d’una cintura d’oro al petto”.

Sulla seconda metà del versetto 13 avrò altro da dire a breve. Notiamo per adesso la cosa più evidente: Gesù, di domenica, viene ad incontrare le sue chiese[2]. Egli cammina in mezzo a loro. Nella storia di Zaccaria a cui si allude in questo passaggio c’è un candelabro tutto d’oro con in cima un vaso, su cui vi sono sette lampade con sette tubi per le sette lampade in cima. Quell’unico candelabro forniva, quindi, solo sette luci nel tempio. In quella storia c’è un flusso costante dello Spirito Santo nel vero Israele rappresentato dal flusso continuo di olio d’oliva in quelle lampade. È un’immagine piuttosto interessante. Ma qui nell’Apocalisse non c’è solo un candelabro con sette bracci e sette luci; ci sono sette candelabri, ciascuno dei quali ha sette bracci. Parliamo, quindi, della presenza di ben 49 luci in Asia Minore. Poiché ogni luce rappresenta una congregazione locale ed ogni candelabro rappresenta la città-presbiterio, stiamo parlando di molte chiese rappresentate simbolicamente nei capitoli 2 e 3. E Gesù è in mezzo a queste chiese.

Dunque, è questo il primo chiaro punto: Gesù viene ad incontrarci. Quando ci riuniamo in assemblea non incontriamo soltanto i ministri officianti e gli altri credenti; veniamo all’incontro con Gesù. Abbiamo bisogno di occhi spirituali per percepire Cristo in mezzo a noi e abbiamo bisogno di orecchie spirituali per ascoltare la sua voce nella chiesa. In Apocalisse 3:20 Gesù dà questo invito ad ogni membro della chiesa: “Se qualcuno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui, e cenerò con lui ed egli con me”. L’incontro con la Chiesa è una delle funzioni centrali di Cristo la domenica. Tale giorno vien detto il “giorno della sua presenza” e pertanto dovremmo viverlo con l’aspettativa di incontrarlo. È un giorno speciale; un giorno dedicato, in cui Gesù è disposto a manifestare la sua presenza in modo particolare.

Agisce come Sacerdote (v. 13)

Il resto del versetto 13 indica come Gesù cammini tra questi candelabri con un ruolo specifico: quello di sacerdote. Di domenica egli ha nei nostri confronti un ministero sacerdotale. Il versetto dice: “…e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, vestito d’una veste lunga fino ai piedi e cinto d’una cintura d’oro al petto”.

Sebbene la figura del Figlio d’uomo sia anche quella di un Re (e i versetti 14-16 metteranno in risalto proprio il governo di Cristo in quanto re), il commentarore Beale sottolinea come le allusioni specifiche all’abbigliamento stiano lì ad evidenziare in modo particolare la sua opera sacerdotale. E anche un gran numero di altri commentatori è d’accordo con questa interpretazione[3].

Ma come mai un sacerdote dovrebbe camminare in mezzo ai candelabri del tempio? Alcuni lasciano intendere come il ministero di Cristo in questo caso sia quello svolto alla luce di quei candelabri e questa idea potrebbe essere certamente fondata. Tuttavia, penso che qui l’accento sia da porre sul ministero che Cristo offre, rivolge ai candelabri, più che su quello che egli potrebbe svolgere alla loro luce.

Ma prima vorrei brevemente far menzione di ciò che certuni pensano a riguardo di questa immagina. Nell’Antico Testamento il sacerdote usava quelle luci per potersi orientare nell’oscurità del Luogo Santo, un posto che, se sprovvisto di alcuna illuminazione, sarebbe stato buio pesto. Ma con quelle luci, il sacerdote avrebbe potuto vedere dove si trovasse, ovvero davanti alla tavola della fraternità (che è la comunione) e all’altare dell’incenso (che è la preghiera). Ed è per questo che alcuni pensano che tutto ciò simboleggi la totalità del ministero ecclesiale. E ciò potrebbe corrispondere al vero.

Ma il sacerdote dell’Antico Testamento aveva anche il ministero dedicato direttamente ai candelabri stessi. Questi strumenti atti ad illuminare quel luogo buio erano essi stessi destinatari di un servizio speciale. E questa interpretazione sembra ben adattarsi al contesto a cui ci condurranno i capitoli 2 e 3. Il sacerdote dell’Antico Testamento ispezionava e curava la manutenzione delle lampade ogni giorno: le riempiva d’olio, tagliava e puliva gli stoppini; insomma, si assicurava che queste funzionassero perfettamente. Quindi, che dire, vista così non possiamo davvero che prenderla come un’immagine meravigliosa del ministero sacerdotale di Cristo nei confronti delle chiese.

Intercessione

E poiché il brano di Zaccaria dedica molto tempo all’opera di Cristo come avvocato ed intercessore (entrambe, queste, funzioni di carattere sacerdotale), intendo mettere in evidenza come Cristo sia lì a darci man forte in quella che è la nostra guerra spirituale. Andiamo a Zaccaria 3. Vi leggerò soltanto i primi versetti del capitolo.

Prima, però, vorrei contestualizzare un po’ il brano che ci accingiamo a considerare: siamo ai tempi di Esdra e Neemia, quando la comunità biblica si ritrovò a subire attacchi dall’esterno, intrighi dall’interno, pugnalate alle spalle da parte dei fratelli, avidità, immoralità e qualsiasi altra cosa che Satana potesse scagliarle contro al fine di indebolirla e renderla inefficace nella sua azione. Insomma, si può dire come si trattasse di uno scenario del tutto paragonabile a quello burrascoso delle chiese del I secolo. Ad ogni modo, mentre Esdra e Neemia mostrano cosa accade materialmente con nemici in carne ed ossa, Zaccaria mostra cosa succede dietro le quinte della storia, ovvero nel regno degli angeli e dei demoni (proprio ciò che fa pure il libro dell’Apocalisse). Bene, inizio a leggere Zaccaria 3, partendo dal versetto 1:

1 Poi mi fece vedere il sommo sacerdote Giosuè, che stava ritto davanti all’angelo dell’Eterno, e Satana che stava alla sua destra per accusarlo. 2 L’Eterno disse a Satana: «Ti sgridi l’Eterno, o Satana! Sì, l’Eterno che ha scelto Gerusalemme ti sgridi! Non è forse costui un tizzone strappato dal fuoco?»

L’implicazione della domanda finale è questa: Giosuè era degno del fuoco dell’inferno, ma Dio lo aveva salvato per la sua grazia. Tuttavia, solo perché siamo salvati non vuol dire che smettiamo di peccare. Giosuè è al sicuro, certo, ha Gesù come suo avvocato, ma è ancora vestito con abiti sporchi. E ogni volta che pecchiamo, Satana cerca di trarne vantaggio. Ecco, quindi, che sussiste una continua necessità dell’opera sacerdotale di Cristo. Anche il sommo sacerdote dell’Antico Testamento ne aveva bisogno. Il verso 3 dice: “Or Giosuè era vestito di vesti sudicie e stava ritto davanti all’angelo (…)”.

Le vesti sudicie rappresentano i continui peccati di questo credente. E Satana usa questi peccati come base legale per resistergli e per opporsi al suo ministero. Zaccaria non può andare da nessuna parte nella sua vita di preghiera o in nessun altro servizio finché indossa quegli indumenti sporchi. E Satana lo sa bene. Ecco perché rimane alla sua destra.

E questo brano mostra come abbiamo continuamente bisogno della purificazione di Cristo e come abbiamo continuamente bisogno di essere rivestiti della giustizia di Cristo. Paolo non dice che dovremmo indossare l’elmo della nostra salvezza e la corazza della giustizia una volta soltanto all’inizio della nostra vita cristiana e poi dimenticarcene. Egli si rivolge, infatti, a persone salvate che hanno ripetutamente bisogno dell’intera armatura di Dio al fine di poter efficacemente fronteggiare Satana. Ebbene, è proprio ciò a cui si riferisce questo brano. Leggiamo i versi 4 e 5:

4 L’angelo prese a dire a quelli che gli stavano davanti: «Toglietegli di dosso quelle vesti sudicie!». Poi disse a lui: «Guarda, ho fatto scomparire da te la tua iniquità e ti farò indossare abiti magnifici». 5 Io quindi dissi: «Mettano sul suo capo un turbante puro». Così essi gli misero in capo un turbante puro e gli fecero indossare delle vesti, mentre l’Angelo dell’Eterno era là presente.

Una volta che Giosuè fu purificato e tutta la base morale usata da Satana per produrre il suo attacco fu reclamata e donata a Dio, e una volta che Giosuè fu rivestito dalla testa ai piedi dei benefici di Cristo, Dio poté ascoltare le sue preghiere e il resto del suo servizio sarebbe finalmente risultato efficace. Una volta che i suoi peccati furono cancellati, Satana non poté più stare alla sua destra e niente poté più ostacolare le sue preghiere. Quindi, vediamo come in Zaccaria 3 Gesù agisca da sacerdote nei confronti di un sacerdote terreno. Questo è il tipo di ministero sacerdotale che Gesù compie in mezzo ai candelabri. Rende le nostre preghiere, la nostra adorazione e il nostro servizio graditi a Dio.

Intervento, ispezione, rifilatura stoppini, riempimento olio, ecc.

In Zaccaria 4 Cristo si assicura che i candelabri siano provvisti d’olio. La potenza dello Spirito Santo è continuamente necessaria nella vita di un credente e, quindi, Paolo dice che dobbiamo essere continuamente ripieni dello Spirito. Non avrò modo di soffermermi su tutto ciò che ha a che fare con i candelabri in Apocalisse 2 e 3, ma, considerando il funzionamento del tempio, sappiamo come il mantenimento dei candelabri fosse proprio a carico dei sacerdoti. Questi strumenti sono provvisti di stoppini che devono essere tagliati e puliti; altrimenti la fiamma prodotta potrebbe estinguersi o, comunque, risultare sporca e fumosa. E in Apocalisse 2-3 vediamo Gesù operare proprio in termini di pulizia, rifilatura e cura nella vita della chiesa per assicurarsi che la sua luce non si spenga. Insomma, è lì ad ispezionare le chiese e a mantenerle in un buono stato di funzionamento.

Gesù può usare degli uomini come agenti? Sì (v. 20), ma solo lui è il sacerdote.

Poniamoci adesso una domanda: ma Gesù in questa sua opera sacerdotale può usare degli uomini come suoi agenti? Sì, certo. Lo fa in Zaccaria, come pure nell’Apocalisse. Come Giosuè il Sommo Sacerdote, Zorobabele e altri agenti umani in Zaccaria, anche noi ministri di culto d’oggi siamo peccatori e abbiamo bisogno del ministero di Cristo. In ogni caso, deboli qual siamo, Dio ci usa come ministri dei misteri divini nella chiesa. È esattamente questa la maniera da lui predisposta.

Apocalisse 1:20 li intende come ἄγγελοι (ángeloi), che è la parola greca per “messaggeri”. Credo si tratti di messaggeri umani, non celesti. E ci sarebbero diverse ragioni per pensarla in questa maniera. Lasciate che ve ne indichi due. Innanzitutto, Gesù rimprovera alcuni messaggeri per il loro peccato e per aver permesso il peccato nelle chiese nei capitoli 2 e 3. Ciò sarebbe inconciliabile con la figura di un perfetto angelo celeste, non pensate? Inoltre, di uno di questi messaggeri vien detto avere una moglie. Tuttavia, secondo Matteo 22:30, dei messaggeri celesti sappiamo non avere mogli. Già questi due indizi da soli mi portano a concludere con certezza come non possa che trattarsi dunque di messaggeri umani.

I pastori sono, quindi, chiamati da Dio a rappresentare l’opera sacerdotale di Cristo (preghiera e sacramenti), la sua opera profetica (ministero della Parola, della predicazione) e la sua opera regale (governo e disciplina), pur non possedendo alcun potere intrinseco di svolgere questo lavoro da soli. I pastori ministrano la grazia di Cristo (non la loro); ministrano i misteri di Cristo (non i loro); e ministrano il governo di Cristo (non il loro).

Quindi, a differenza di Roma, che pretende di esercitare il potere magisteriale inerente alla Chiesa, la parola “messaggero” è lì ad indicare che noi pastori disponiamo solo di un potere ministeriale. Noi siamo i messaggeri di Cristo, suoi ambasciatori. I pastori, soprattutto quando recano messaggi severi, a volte scherzano dicendo: “Ambasciator non porta pena”. Ma affinché questa affermazione abbia senso, sono vincolati a trasmettere solo e soltanto il messaggio di Cristo. Noi ministri portiamo le persone a Cristo e portiamo le parole di Cristo alle persone.

E, attenzione, ciò non vuol dire che noi pastori siamo sacerdoti sostituti di Gesù. Dopo il 70 d.C., il Signore Gesù è l’unico Sacerdote della Chiesa, l’Unico Re della Chiesa e l’unico Profeta della Chiesa. Ed Egli amministra tutti e tre gli uffici attraverso le Scritture, i Sacramenti, il Discepolato e la Disciplina. Pertanto, dal tipo di vestiti che egli indossa nei versetti 13 e seguenti comprendiamo come egli sia un sacerdote.

Gesù agisce da Re (vv.14-16)

Tuttavia, egli è un tipo speciale di sacerdote: un sacerdote che è allo stesso tempo anche un Re. Proprio come Melchisedec nella Genesi era sia sacerdote che re, Gesù è entrambi. E le allusioni a Daniele 7 mostrano che Gesù era già sul trono come Re nei cieli e ha già pienamente ogni autorità in cielo e in terra. Se egli è la figura del Figlio d’uomo di Daniele 7, allora significa chiaramente che il regno è già venuto. Ebbene, cosa fa un re? Vediamolo evidenziando diversi punti.

Dà comandi (vv.11)

Nel versetto 11 avevamo visto il re comandare qualcosa, il che è una tipica funzione regale, no? In quel versetto a Giovanni veniva comandato: “Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese…”.

È già sul trono (vv.14-16 con Daniele)

Ma è soprattutto nei versetti da 14 a 16 che si vede la descrizione di questo Re secondo l’ordine di Melchisedec. Ci sono otto chiari paralleli linguistici tra questo passaggio e il passaggio del Figlio d’uomo in Daniele 7, dove Cristo eredita il regno dall’Antico di Giorni[4]. Il versetto 14 dice: “Il suo capo, cioè i suoi capelli, erano bianchi come la lana, bianchi come la neve”.

Ciò che è strano in questo è che l’Apocalisse applica a Gesù la descrizione data dell’Antico di Giorni in Daniele 7:9. In Daniele 7 Gesù ascende alla destra dell’Antico di Giorni. Allora perché ora viene descritto come l’Antico dei Giorni? E la risposta è che Gesù è sia Uomo che Dio. Gesù è Dio il Figlio ed è altrettanto antico ed eterno quanto il Padre. Quindi questi versetti mostrano come Gesù condivida gli attributi di Dio Padre ed è Uno con Dio Padre. Proprio come i capelli bianchi simboleggiano l’antichità di entrambi, descriverli bianchi come la neve sottolinea anche che entrambi hanno la stessa purezza morale. Il verso 14 finisce dicendo: “…e i suoi occhi erano come fiamma di fuoco”.

Quasi tutti i commentari da me consultati concordano nel dire che gli occhi infuocati indicano lo sguardo penetrante di chi conosce tutte le cose. Bruciando, i suoi occhi possono arrivare fin nell’intimo e vedere i segreti del cuore umano. Quando si vieni ad adorare davanti al suo trono, non si pensa mica di poter nascondere nulla a Gesù. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco e solo quando si è coperti dal sangue della sua opera sacerdotale si può sopportare lo sguardo della sua opera regale.

Ora, l’abbinamento di questi occhi ai capelli bianchi, dà anche l’impressione di avere a che fare con un saggio giudice. Leggiamo il versetto 15: “…i suoi piedi erano come bronzo finissimo, come se fossero stati arroventati in una fornace”.

In tutta la Scrittura i piedi sono un simbolo di dominio. Pensateci, è interessante che i regni di questo mondo fossero descritti nella visione di Daniele come aventi piedi di ferro e argilla mescolati assieme, vale a dire un fondamento imperfetto che si sarebbe facilmente rotto cadendo a pezzi. Il significato di tale immagine era chiaro: il dominio dell’umanismo sulla terra non era destinato a durare. Il dominio di Cristo sulla terra era, però, destinato a durare per sempre: i suoi piedi sono, infatti, di bronzo. E poiché il bronzo era stato purificato e raffinato, non c’era nulla che potesse diminuire il duraturo dominio di Cristo. Il versetto 15 continua così: …e la sua voce era come il fragore di molte acque”.

Paragonare la voce di Cristo alla potenza dell’oceano è un’immagine meravigliosa del fragore caratterizzante la sua voce. Ma quando ci si rende conto che questa è un’allusione ad Ezechiele 43:2, allora si comprende immediatamente come qui Gesù venga ancora una volta indicato come divino. E la figura che troviamo in Ezechiele ha una voce “come il suono di molte acque”, caratteristica, questa, che evoca la maestà della gloria divina: chiaramente si tratta di un Re divino. Questo è il tipo di re che ci protegge. Questo è il tipo di re che espande il suo regno.

Ma da Apocalisse 1:16 apprendiamo qualcosa di intererssante. In che modo Gesù espande questo suo regno? La risposta è per il tramite di agenti umani. Infatti, all’inizio del versetto vien detto: “…ed egli aveva sulla sua mano destra sette stelle”.

La mano destra è il luogo del potere e dell’autorità. E lì vi sono sette stelle che condividono quel potere e quell’autorità. Il greco è abbastanza chiaro nel dire che le sette stelle sono non nella mano, ma sulla mano. Infatti, la parola greca ἐπὶ (epí) con il genitivo significa “su”. Ora, potrebbe essere sul palmo aperto o sul dorso della mano, questo non viene precisato. Tuttavia, giacché tali stelle non sono in una mano chiusa, probabilmente non abbiamo qui a che fare con un atto di protezione, bensì di rappresentanza. Queste stelle, dunque, amministrano il potere e la autorità di Cristo.

Ora, questa informazione non può che arrivarci come alquanto sorprendente, dato che dal versetto 20 apprendiamo come le stelle siano i sette messaggeri umani. Si tratta di ufficiali ordinari della chiesa di Gesù Cristo. Eppure, capite bene, questi ufficiali rappresentano il regno di Cristo. Insomma, lo ripeto, questa è un’affermazione sorprendente: Cristo avrebbe scelto di avere messaggeri umani peccatori come rappresentanti della propria autorità. Paolo dice al pastore Tito: “Dì queste cose, esorta e rimprovera con ogni autorità”. Tito, nel caso avesse pronunciato cose diverse da quelle che Gesù gli aveva commissionato di dire, non avrebbe avuto nessuna autorità. Proferendo, però, le parole di Cristo, beh, allora il suo parlare sarebbe stato carico di autorità.

Quindi, tutti noi possiamo pregare affinché i nostri anziani rimangano vicini alla mano di Cristo e non se ne allontanino. In Giuda 13 vediamo i falsi insegnanti venire apostrofati come “stelle erranti”. Come mai? Beh, perché risultavano inaffidabili nell’esercizio dell’autorità. Quei falsi insegnanti non erano ben saldi sulla mano di Cristo. Ed è proprio questo il problema con le sette: inevitabilmente finiscono per pronunciare parole prive dell’autorità di Cristo, aggiungendo cose proprie alla Scrittura. Ecco perché l’autorità settaria viene simbolizzata da stelle erranti e la vera autorità, invece, come stelle sulla mano di Cristo.

E finché gli anziani rimangono sulla mano di Cristo, dispongono dell’autorità della sua mano che li sostiene. Gli anziani non possono mai sostituire Cristo: possono solo rappresentarlo. Ma non bisogna mai commettere l’errore di diminuire l’autorità degli anziani che prestano servizio nella chiesa in qualità di amministratori dei misteri di Dio. Tutto ciò si pone decisamente contro quanto vediamo spesso accadere nel movimento delle chiese domestiche. Sono gli anziani a disporre di vera autorità in Cristo Gesù.

Agisce come profeta (v. 16b)

Questo principio di agire solamente sotto l’autorità di Cristo è vero anche per il ministero profetico di Gesù. I ministri della Chiesa non devono mai parlare per conto proprio. Non sono riuscito purtroppo a trovare l’esatto riferimento, ma ricordo come il pastore Joe Morecraft in uno dei suoi discorsi riassunse l’insegnamento di uno scrittore puritano nella segunte maniera: “L’unica voce che dovrebbe essere ascoltata nella chiesa è la voce di Gesù che parla attraverso le Scritture”. La gente non viene ad ascoltare il pastore Phil Kayser; viene per sentire la voce di Gesù che cammina in mezzo ai candelabri. Tuttavia, questa sua voce viene ascoltata attraverso la fedele predicazione della Parola, nel momento in cui si hanno orecchie per intendere. E, infatti, è proprio questo l’ammonimento rivolto a ciascuna chiesa: “Chi ha orecchio, intenda…”.

Ed è così, quindi, che, mentre la sua mano rappresenta il suo governo e la sua autorità, la sua bocca rappresenta le Scritture profetiche. Quindi la seconda metà del versetto 16 è lì a mostrarci la terza cosa che Gesù fa la domenica. Vi leggiamo, infatti: “…e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, acuta (…)”.

In Isaia 49, al verso 2, abbiamo una descrizione del futuro Messia caratterizzata da una bocca che Dio avrebbe trasformato in una spada. E i commentatori affermano come questa parte di Apocalisse 1:16 costituisca proprio un’allusione a quell’immagine di Isaia. Tutto ciò che Gesù ha detto attraverso le Scritture è più affilato di qualsiasi spada a doppio taglio. E il suo potere profetico continua a produrre efficacemente risultati nella chiesa.

Proprio come il governo degli anziani non ha potere se la mano di Cristo non lo sostiene, anche la loro predicazione e il loro insegnamento non hanno potere se non sono sostenute dalla bocca di Cristo. Questo è il motivo per cui dobbiamo pregare per l’unzione dello Spirito Santo di Cristo sugli anziani nel loro ministero della predicazione della Parola. Senza Gesù, le parole che vado predicando cadrebbero a terra senza aver alcun impatto reale ed efficace.

La parola di Dio risulta potente e più affilata di qualsiasi spada a doppio taglio nel momento in cui Gesù unge il ministero della predicazione. Douglas Kelly racconta di un predicatore di campagna che avrebbe detto come la Parola di Dio fosse l’unica spada a potersi conficcare nel corpo di un uomo morto vivificandolo. Insomma, che dire, si tratta davvero di una strana spada che evidentemente possiede il potere di dar la vita.

Nel libro dell’Apocalisse avremo modo di vedere come la Parola della Scrittura non solo possegga il potere di dar la vita, ma anche quello di dipensare giudizio. Ha il potere di portare la disciplina di Dio su individui e chiese. Ha il potere di vincere Satana e di farlo fuggire. Ha il potere di prevalere sulle nazioni. Ogni qual volta vengono proclamate le Scritture mediante la fede nella potenza dello Spirito con il sostegno di Gesù Cristo, si possono raggiungere grandi risultati.

E, dicendo ciò, trovo opportuno precisare come queste cose non avvengano di certo per qualche dinamica magica. Che so, mettere una copia della Bibbia sotto il proprio cuscino non farà nulla per allontanare i demoni; ma quando per fede la Parola di Dio vien messa sulla propria lingua, allora Cristo prende quella Scrittura e la usa per costringere i demoni alla fuga. E non si tratta semplicemente di una parola letta in silenzio, ma di una parola pronunciata ad alta voce. In Apocalisse 12:11 leggiamo: “Lo vinsero mediante il sangue dell’Agnello e mediante la parola della loro testimonianza…”. Ecco il motivo per cui dobbiamo assolutamente abituarci ad affermare le Scritture con voce chiara e risonante.

Egli è Dio (vv. 16b-18 – notare la continua somiglianza con l’Antico di Giorni in Daniele 7)

Descrizioni generali

E con ciò giungiamo a considerare l’ultimo aspetto che caratterizza l’operato di Cristo nel giorno di domenica: egli è Dio e in quanto tale opera in maniera soprannaturale nella chiesa. Nel contesto domenicale possono accadere cose soprannaturali. Può trattarsi di disciplina soprannaturale, di guarigioni, intuizioni, convincimenti soprannaturali, e così via. L’ultima parte del versetto 16 dice: “…e il suo volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza”.

Nell’Antico Testamento, il risplendere del volto di Dio come il sole portava sia giudizio sui nemici di Dio, sia benedizione sul suo popolo. Permettetemi di leggere un breve brano come esempio di quanto detto. Daniele 10:5-6 dice: “…alzai gli occhi e guardai, ed ecco un uomo vestito di lino, con ai lombi una cintura d’oro di Ufaz. Il suo corpo era simile al topazio, la sua faccia aveva l’aspetto della fólgore, i suoi occhi erano come torce fiammeggianti, le sue braccia e i suoi piedi parevano bronzo lucidato e il suono delle sue parole era come il rumore di una moltitudine”.

Dinnanzi a tale scena tutti quelli vicini a Daniele fuggirono. E Daniele cadde a terra privo di forze, senza alcuna capacità di muoversi. Ma l’uomo glorioso disse a Daniele di non temere, che era grandemente amato, lo toccò e lo rafforzò. E in Apocalisse 1, versi 17 e 18, osserviamo come all’apostolo Giovanni avvenga qualcosa di analogo. Leggiamo, infatti: “Quando lo vidi caddi ai suoi piedi come morto. E pose la sua mano destra su di me dicendo: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente: ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli! Amen! E ho le chiavi della morte e dell’Ades!”.

Titoli specifici: “IO SONO”, “il Primo e l’Ultimo”, “il Vivente”,

Il titolo “il Vivente” è un titolo divino usato per Yahweh nell’Antico Testamento. Anche “il Primo e l’Ultimo” era un titolo esclusivo di Dio nell’Antico Testamento. Alla luce di ciò, i versetti appena letti si pongono come decisivi nel dimostrarci la natura divina del Signore Gesù.

Come mai, però, Giovanni, trovandosi faccia a faccia con il Dio Onnipotente, non si mostra pieno di paura come Daniele? Dalla Scrittura sappiamo che è cosa terribile cadere nelle mani del Dio vivente, il quale è un fuoco consumante.

Ma vedete, proprio come Dio ha mostrato amore nei confronti di Daniele, questi versi ci rivelano chiaramente come Dio il Figlio ami Giovanni, lo tocchi e gli rivolga grandi parole di conforto. Chi sa, forse al Giovanni languente nella prigionia di Patmos sarà più volte capitato di chiedersi dove fosse finito Dio. Ed ecco ora che vede Gesù, il quale dispone di ogni potere in cielo e in terra (di tutto il potere divino), ed il Signore è lì da lui a confortarlo. Gesù dichiarando la propria identità dice letteralmente “IO SONO”, vale a dire lo stesso nome che Dio rivelò al Mosè impaurito davanti al roveto ardente. Per ogni bisogno e timore che attanagliava Mosè in quell’episodio, il grande “IO SONO” si dichiara esser sufficiente. Lui provvede in maniera potente e soddisfacente ad ogni cosa. IO SONO è la radice del nome di Yahweh e ci dice del fatto che Dio non dipende da nulla e che tutte le cose dipendono da lui. E in Apocalisse 1:17 questo appellativo è lì a mostrarci proprio la sufficienza di Gesù nella sua divinità.

I passaggi di Isaia in cui Dio definisce sé stesso “il Primo e l’Ultimo” sono passaggi che mostrano come Dio sia esistito prima del tempo, come abbia creato il mondo e come egli veda le nazioni similmente ad una goccia in un secchio o al pulviscolo di una bilancia. Questo è un Dio che può suscitare re, come pure abbatterli. Ha ogni autorità e potere per compiere quanto decreta. Era in grado di gestire nazioni mostruose come Babilonia ai tempi dell’Antico Testamento ed ha senz’altro il potere di gestire nazioni mostruose come Roma al tempo di Giovanni. Ecco, quindi, che l’apostolo, sentendo che Gesù gli si presenta come “il Primo e l’Ultimo” e rammentando tutti brani veterotestamentari recanti questo nome, può di certo trarne grande incoraggiamento. Insomma, questo glorioso nome ci vale come un indizio istantaneo che ci parla di vittoria.

Ma Gesù ricorda a Giovanni anche che aveva sacrificato la propria vita per lui e che la sua risurrezione era la garanzia certa del suo trionfo su tutti i nemici. Aveva persino le chiavi della morte e dell’Ades. Avere le chiavi di qualcosa significa possedere quella cosa. Gesù possedeva la morte stessa. Ciò significa che Giovanni non può morire finché non sarà Cristo stesso a portarlo in cielo. Insomma, si potrebbe dire come l’apostolo avrebbe poututo considerarsi sicuro, invincibile, giacché la sua vita era eslusivamente nelle mani di Cristo. E anche noi dovremmo sentirci tali: sarà Dio stesso a prenderci presso di sé quando lo vorrà. È Cristo ad avere le chiavi della morte e dell’Ades e questo è un altro buon motivo per non cedere ad alcun timore.

Quindi, ricapitolando, in quel lontano giorno del Signore dell’anno 66 d.C., in quella domenica, Gesù stava ministrando la sua grazia a Giovanni e alle chiese dell’Asia Minore. Era in grado di portare efficacemente rimprovero e correzione. Era in grado di portare efficacemente conforto e gioia, rimuovendo la loro paura e rafforzando la loro fede. E oggi come allora Cristo continua a camminare e ad operare alla stessa maniera in mezzo ai candelabri.

Cosa dovremmo fare noi di domenica?

Ascoltare la sua opera profetica (v. 12a, 16b)

Ed ora, sulla base di quanto appreso, chiediamoci: “Cosa dovremmo fare noi di domenica?” La risposta è che dovremmo rispondere in maniera adeguata all’opera di Cristo.

Primo, abbiamo da porci all’ascolto della sua parola profetica. Quando Gesù indirizza questi versi alle chiese, sta parlando a ciascuna persona. Trascurare queste parole, queste Scritture Profetiche, significa non prestare attenzione all’opera profetica di Cristo.

In Apocalisse 1, al verso 12, nel momento in cui Giovanni sente la voce di Cristo, si volta per mettersi all’ascolto. Anche noi dovremmo agire in tal maniera lasciando che la spada a doppio taglio del versetto 16 compia il suo lavoro nella nostra vita. Il commentatore Harvey Blaney dice della Bibbia: “Ferisce per benedire. Taglia per curare. Fa male per guarire. Proclama punizione e restaurazione, giudizio e misericordia”[5].

Non biasimo i miei ascoltatori per non voler sentire pronunciate dalla mia bocca parole fastidiose. Ma non ve la prendete con il messaggero. Ricevete il messaggio. A volte ferisce come una spada, certo. Ma la risposta adeguata nei confronti di Cristo è volgersi verso di lui e lasciare che la spada profetica compia il suo intervento vivificante nel vostro cuore.

Andare dove va Gesù: in chiesa (v. 12b-13)

Secondo, si deve andare dove va Gesù, ovvero in chiesa. Dov’era Gesù nei versetti 12 e 13? Era nelle chiese. Se volete incontrarlo, allora andate in chiesa. Certo, non in una chiesa qualsiasi. Gesù, ad esempio, non si trovava nella chiesa di Laodicea. Recatevi, però, in una chiesa che cerca di seguire Cristo fedelmente, per quanto imperfetta possa essere.

Ricevere la sua opera sacerdotale di rifilatura e di riempimento (vv. 13-18). Essere ogni giorno ripieni del suo Spirito (vv. 12,20 con v. 4; cfr Zac 4,2-9, ma soprattutto v. 6).

Terzo, bisogna ricevere la sua opera sacerdotale di rifilatura e riempimento. Necessitiamo quotidianamente dello Spirito Santo. Ogni giorno, in quanto candelabri, abbiamo bisogno che i nostri stoppini vengano tagliati, rifilati e puliti. Affiché le nostre luci rimangano ben accese, abbiamo bisogno di una costante opera di riaggiustamento e manutenzione. Quando, ad esempio, lo Spirito vi convince di peccato, non ignoratelo. Questo avviene affinché possiate tornare a risplendere come si deve.

Arrendersi alla sua regalità (v. 17-20)

Inchinandosi ai suoi piedi (v. 17)

Un ulteriore passo da compiere è quello che ci vede riconoscere ed arrenderci alla regalità di Gesù. Ciò lo si può fare, perché no, inchinandosi fisicamente davanti ai suoi piedi, come fatto da Giovanni nel versetto 17, ma anche avendo un cuore costantemente prostrato davanti al nostro Signore. Un cuore sempre inchinato a Cristo Re è pure quello che aveva Giovanni. Vediamo, pertanto, Gesù prenderlo in braccio e lasciare che stia alla sua presenza ristoratrice. Noi possiamo presentarci in tutta libertà e audacia davanti al trono di Dio se (e solo se) ci siam prima sottomessi alla sua opera sacerdotale e alla rifilatura degli stoppini (un immagine che sta per purificazione). Non si entra nel Santo dei Santi se non attraverso il cortile esterno e i suoi mobili, e poi attraverso il Luogo Santo e i suoi mobili. L’autore di Ebrei descrive la “piena libertà” di avvicinarsi al trono di Dio come possibile per l’opera sacrificale (sacerdotale) di Cristo, ma nel contesto si richiama anche alla necessità di purezza e preparazione spirituale (Ebrei 10:19-22).

Confidando nella sua provvidenza (v. 18-19)

Un altro modo con cui possiamo dar spazio alla regalità di Cristo è ponendo piena fiducia nella sua provvidenza. Il Cristo risorto del versetto 18 governa la storia, governa la nostra vita, ha le chiavi che gli permetteranno di manterci in vita o farci morire. E solo quando riconosciamo e ci arrendiamo a questa sua totale sovranità, possiamo anche provare gioia e pace.

Abbracciando la sua parola-legge (v. 19)

Oltre a ciò, possiamo cedere alla sua regalità accogliendo la sua parola-legge. Quando Gesù comanda a Giovanni nel versetto 19: “Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che stanno per accadere dopo queste”, chiede ciò affinché la chiesa possa disporre delle sue parole e sia informata circa la sua volontà. Più accogliamo la sua parola-legge, più godremo della sua regalità.

Sottomettendosi ai suoi rappresentanti (v. 20)

L’ultimo modo in cui possiamo riconoscere praticamente la regalità di Cristo è sottomettendoci ai suoi rappresentanti nella chiesa. Non si tratta di una sottomissione cieca, ma di una sottomissione al Signore. Il versetto 20 dice: “…il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia destra e quello dei sette candelabri d’oro: le sette stelle sono i messaggeri delle sette chiese, e i sette candelabri che hai visto sono sette chiese”.

Sette stelle = messaggeri di ogni città-chiesa (ricordate che poiché la chiesa è solo un messaggero nelle mani di Cristo, ha solo potere ministeriale, non potere magisteriale)

Questo verso presenta profonde implicazioni per quel che riguarda il corretto governo della Chiesa, ossia ciò che usiamo chiamiare “ecclesiologia”. In questo sermone non vi è spazio per approfondire questa tematica come si deve. Tuttavia, vorrei lasciarvi alcune brevi considerazioni a riguardo: ritengo che la forma di governo della chiesa del Nuovo Testamento appaia coincidere al 100% alla forma di governo della chiesa-sinagoga dell’Antico Testamento e Apocalisse 1:20 dovrebbe rappresentare un grande correttivo per la Chiesa Cattolica Romana. Quest’ultima, infatti, si è arrogata troppo potere.

Innanzitutto, Roma ha elevato una stella (o messaggero) sopra tutte le altre. Cristo, però, concede uguale autorità a ciascuno dei messaggeri. Tutti loro sono, infatti, alla sua destra. Cristo non ha dato le chiavi del regno soltanto a Pietro; le chiavi le ha date anche agli apostoli e questi a loro volta le hanno passate agli anziani.

In secondo luogo, come già detto, questi messaggeri non hanno l’autorità di portare un messaggio proprio. L’unico messaggio che possono portare sono le Scritture che Cristo ha comandato loro di portare. Non dispongono, quindi, di un’autorità che vada oltre la Scrittura. Ebbene, ciò significa automaticamente che le Scritture sono più importanti dei messaggeri e che le Scritture sono l’unico messaggio che quei messaggeri dovrebbero portare. Ciò si pone contro quanto sostenuto da Roma: per il cattolicesimo le Scritture non sono sufficienti; la chiesa appare essere la madre delle Scritture ed ha autorità su di esse. Ma questa posizione è smplicemente irricevibile.

In terzo luogo, anche se è vero che questi messaggeri erano i rappresentanti di tutte le chiese della loro città (erano, detta diversamente, i destinatari della corrispondenza per il presbiterio, oltre ad esserne la voce ufficiale), questi sette vescovi (o anziani) avevano una funzione intermedia tra quella di cancelliere e di moderatore (proprio come nel sistema sinagogale). Questo è il modo in cui hanno funzionato per i primi quattro o cinquecento anni della storia della Chiesa.

E, cosa interessante, altrove nelle Scritture tutti questi anziani vengono chiamati con l’appellativo “messaggero” (Luca 9:52; 2 Cor. 8:23; Fil. 2:25). Non sono inferiori alle stelle. Gli anziani portano semplicemente i messaggi che Gesù ha incaricato loro di portare.

Sette singoli candelabri dimostrano che i presbiteri cittadini sono chiese complete anche se non sono l’intera chiesa. E loro stessi sono composti da molteplici congregazioni (ogni candelabro ha sette lampade) che possiedono Cristo e lo Spirito di Cristo.

E anche il modo in cui questa immagine mostra i vari candelabri avvalora l’idea secondo cui ogni presbiterio ha la piena funzione di una chiesa e non è governato da un sistema verticistico, che detta la linea ad ogni presbiterio dall’alto verso il basso. Il fatto che tutti i candelabri siano nel tempio spirituale dimostra che esiste una unità della chiesa universale. Ma poiché ogni chiesa cittadina è essa stessa un candelabro completo, ciò finisce per valere come un chiaro rifiuto del sistema episcopale di Roma.

Poiché gli Atti degli Apostoli mostrano che ciascuna di queste chiese cittadine era composta da diverse congregazioni locali, l’immagine di molteplici bracci del candelabro cittadino con una luce su ogni braccio si adatta perfettamente al governo ecclesiale presbiteriano. Ogni chiesa locale (che è una lampada) ha la piena presenza dello Spirito in mezzo a sé, ha il Salvatore risorto che opera in lei, e tuttavia è legata insieme a un presbiterio di altre congregazioni locali per dare una testimonianza unita al mondo. E, tra l’altro, questa immagine mostra la centralità della congregazione locale (la lampada), perché lì è dove si trovano l’olio, la luce, e l’attenzione principale del sacerdote che la serve. Quindi, il governo ecclesiastico biblico è presbiteriano nella sua organizzazione, ed è identico alla struttura presbiteriana del sistema sinagogale stabilito in Esodo 18.

E questo è tutto ciò che dirò riguardo al sottomettersi ai rappresentanti di Gesù mentre essi restano vicini alla sua mano e fedelmente annunciano la sua Parola. Ma la mia esortazione finale per voi è di avere occhi e orecchi spirituali per incontrarvi con Gesù ogni Giorno del Signore. Il suo desiderio è di incontrarvi. Di Giorno del Signore in Giorno del Signore, venite con aspettativa e sottomettete i vostri cuori alla sua opera. Amen.


Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%201_1-11/Revelation%201_12-20?utm_source=kaysercommentary.com

[1] Traduzione di Wilbur Pickering, in The Sovereign Creator Has Spoken: New Testament Translation With Commentary (Creative Commons Attribution/ShareAlike Unported License, 2013).

[2] Vedere il sermone precedente per capire come mai “il giorno del Signore” del versetto 10 sia un riferimento al giorno della domenica. Sulle chiese e il loro rapporto con i candelabri: il candelabro era una sineddoche dell’intero tempio, che a sua volta era un simbolo dell’Israele fedele (Zaccaria 4:2-9). Applicando la figura alla chiesa, la chiesa viene paragonata ad un tempio spirituale e ad un nuovo Israele. Beale dice:

Per la chiesa come nuovo tempio spirituale vedere più avanti 11:1–2; allo stesso modo cfr. 1 Cor. 3:16–17; 6:19; 2 Cor. 6:16; Ef. 2:21–22; 1 animale domestico. 2:5. Già in Giovanni 2:19–22 e altrove nei Vangeli, Cristo identifica il suo corpo risorto come il vero tempio e questo è sviluppato in Apocalisse 21:22. – G. K. Beale, The Book of Revelation: A Commentary on the Greek Text, New International Greek Testament Commentary (Grand Rapids, MI; Carlisle, Cumbria: W.B. Eerdmans; Paternoster Press, 1999), 208.

[3] Beale fornisce ulteriori informazioni su alcune delle cose che dirò:

Un’analisi delle allusioni dell’Antico Testamento nei vv 13-15 mostra che le caratteristiche predominanti del Figlio dell’uomo sono tratte da Daniele 7 e soprattutto da Daniele 10, con altri testi che contribuiscono secondariamente alla raffigurazione. La maggior parte dei commentatori concorda sul fatto che il significato di ciò è che Cristo è ritratto come una figura regale e sacerdotale, poiché la figura nei due testi di Daniele ha le stesse caratteristiche. Parte del ruolo sacerdotale di Cristo è quello di prendersi cura dei candelabri. Il sacerdote dell’Antico Testamento tagliava le candele, rimuoveva lo stoppino e l’olio vecchio, riempiva le lampade con olio nuovo e riaccendeva quelle che si erano spente.113 Allo stesso modo, Cristo si prende cura dei candelabri ecclesiali lodando, correggendo, esortando ed avvertendo (vedi cap. 2–3) al fine di garantire l’idoneità delle chiese a servire come portatrici di luce in un mondo oscuro. Sebbene l’abbigliamento del versetto 13 possa anche assomigliare a quello di un abito regale, il suo uso qui evoca l’immagine di un sacerdote a causa della chiara atmosfera del tempio dei “candelieri” e degli angeli che escono dal tempio celeste, che indossano gli stessi abiti in 15:5–8. L’ambiguità può essere intenzionale: forse si tratta sia di un re che di un sacerdote, il che avrebbe un precedente nelle due figure di Zaccaria 4:3, 11–14 (vedi Apoc. 11:4) e nelle descrizioni di Gionatan (1 Macc. 10:88–89; 14:30) e di Simone, il “governatore e sommo sacerdote” d’Israele (1 Macc. 14:32–47). La supervisione sovrana di Cristo sulle Chiese presuppone la sua presenza costante in mezzo ad esse. Alcuni commentatori tentano di negare qualsiasi connotazione sacerdotale, di solito sulla base del presunto fatto che tali non sono presenti nei contesti di Daniele 10, Ezechiele 9 e 1 Maccabei. Tuttavia, questo può essere sostenuto solo in 1 Maccabei ignorando il contesto ampio. Inoltre, sebbene le figure celesti in Daniele ed Ezechiele non siano chiamate sacerdoti, il loro abbigliamento è ancora meglio compreso sullo sfondo di abiti sacerdotali simili altrove nell’Antico Testamento, soprattutto perché la LXX non usa mai ποδήρης (dei suoi 12 usi della parola) di un abito da re. Tuttavia, i re e i leader in Israele avevano alcune responsabilità sacerdotali (ad esempio, Davide), quindi non sarebbe inaspettato che il loro abbigliamento potesse assomigliare in una certa misura a quello dei sacerdoti. Ad esempio, Eliakim è raffigurato con una tunica e una fascia in Isa. 22:21–22, che il Targum interpreta esplicitamente sia come abbigliamento regale che sacerdotale e si riferisce direttamente ai suoi figli come “sacerdoti che indossano l’Efod” (è interessante notare che Isaia 22:22 è applicato a Cristo in Apocalisse 3:7). Il trasferimento degli attributi dalla figura giudiziaria dell’Antico dei Giorni (cfr. Dan. 7:9–12) a Cristo evoca anche il suo ruolo di giudice divino degli ultimi giorni, che risulta chiaro anche da 19:12 (dove οἱ δὲ ὀφθαλμοὶ αὐτοῦ [ὡς] φλὸξ πυρός [“e i suoi occhi come una fiamma di fuoco”] è una metafora del giudizio [cfr. 2:18–23]). La presenza costante di Gesù presso le chiese significa che conosce sempre la loro condizione spirituale, che risulta nella benedizione o nel giudizio (ad esempio, ὁ ἔχων τοὺς ὀφθαλμοὺς αὐτοῦ ὡς φλόγα πυρός [“colui che ha gli occhi come una fiamma di fuoco” in 2:18 e il suo sviluppo in 2:23). Questo ruolo di giudizio è rafforzato da Daniele 10, poiché lì lo scopo principale dell’uomo celeste è quello di rivelare il decreto divino secondo cui i persecutori di Israele sarebbero stati sicuramente giudicati (vedere 10:21–12:13). Dan. 10:6 descrive addirittura il “Figlio dell’uomo” con “occhi… simili a torce fiammeggianti”. L’applicazione degli attributi dell’Antico di Giorni a Cristo indica anche il suo innato possesso della vita eterna, che egli possiede insieme al Padre (cfr. 1,6b). G. K. Beale, The Book of Revelation: A Commentary on the Greek Text, New International Greek Testament Commentary (Grand Rapids, MI; Carlisle, Cumbria: W.B. Eerdmans; Paternoster Press, 1999), 208–209.

[4]Gli otto paralleli sono:

Daniele Apocalisse
Vesti candide come neve; lino Vestito fino ai piedi
Cintura d’oro intorno ai lombi Cintura d’oro intorno al petto
Capelli bianchi come lana Capelli bianchi come lana
Occhi come fiaccole di fuoco Occhi come fiamme di fuoco
Braccia e gambe come bronzo lucente Piedi come bronzo ardente
Voce come il fragore di una moltitudine Voce come il fragore di molte acque
Volto come il lampo Volto che brilla come il sole
Figura simile a un Figlio d’uomo Figura simile a un Figlio d’uomo

[5] Harvey Blaney, Revelation. Volume 6 of the Wesleyan Bible Commentary (Charles W. Carter, ed: Grand Rapids, 1966), p. 425.


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