Ogni autorità in cielo e sulla terra gli appartiene. Quale Signore risorto, gli è dato dal Padre il potere di giudicare e di giustificare. La salvezza non è solo “assicurazione contro gli incendi” o “gestione del peccato”. Il vangelo promette molto di più che andare in paradiso quando si muore. È un [im]pegno a 360 gradi da parte di Dio per il totale rinnovamento della creazione. Include la resurrezione dei nostri corpi e la liberazione dell’intero creato dalla sua schiavitù al peccato e alla morte.
Ma poi comincia a cianciare di li a poche pagine: “Gesù possiede ogni autorità in cielo e sulla terra, ma che cosa significa questo per noi qui ed ora?” (35).
Nella prima parte, abbiamo discusso di come Horton confidi su un’annacquata visione di ciò che sia il “vangelo” (difatti egli nemmeno lo definisce mai, ne scritturalmente, ne in altro modo) e usa questa inadeguata visione per condannare qualsiasi tentativo di riforma sociale, etc. . Mantenere questa prospettiva lo ha costretto ad ignorare diversi aspetti delle Scritture, incluso una parte importante proprio di quel passo di Matteo 28 che si suppone costituisca il tema del libro. In altre parole, dove l’esegesi delle Scritture lo obbligherebbe ad alterare o abbandonare la sua posizione, egli salta quella sezione delle Scritture. È costretto inoltre ad ignorare il peccato sociale della chiesa nell’abdicare allo Stato il welfare di vedove e orfani, cose che Paolo (ed altri scrittori della bibbia) ha espressamente comandato alla chiesa di fare.
In questo articolo, mi propongo di aggiungere alcune parole riguardo all’implicita escatologia di Horton, inclusa la sua errata interpretazione di Matteo 24-25 quali eventi eminentemente futuri, ed in relazione a questo l’uso da parte di Gesù e di Paolo della frase “questa età” e “l’età a venire”. Abbiamo pure la necessità di esporre l’implicita oziosità del sistema.
La Fuga Escatologica
Per poter sfuggire al significato della dichiarazione di Gesù di possedere “ogni potere in cielo e sulla terra”, Horton semplicemente relega l’ applicazione di questo potere ad una dispensazione futura. In modo molto simile ai dispensazionalisti, egli vede il periodo della chiesa come un’intermissione:
“La grande commissione è data alla chiesa per questo tempo tra la sua prima e la seconda venuta. È un’ intermissione tra il suo compimento della redenzione e il suo ritorno a completarne le benedizioni” (63).
Di fatto, Horton giunge al punto di adottare il vecchio linguaggio della teologia dispensazionalista, chiamando il tempo in cui ora noi viviamo “la parentesi” per la predicazione del vangelo da parte della chiesa (67).
Come ho notato nella mia prima recensione, egli aggiunge che questo non significa che stiamo semplicemente aspettando che un giorno ci venga fornita una via d’uscita da questo mondo, piuttosto questo è un tempo per amare e servire il nostro prossimo attraverso la testimonianza e le nostre vocazioni quotidiane. Ciò nonostante, egli sembra pure essere in grande affanno per dire che la Grande Commissione come “data alla chiesa”, è distintamente separata sia dal “mandato culturale” di Genesi 1:28 (64) e sia, udite, udite, dal grande comandamento di amare Dio (e il prossimo, Mt. 22:37-40) (210-46). E mentre Horton, ancora, afferma che i cristiani sono responsabili per entrambi, vuole mantenere che la Grande Commissione è solamente la proclamazione del vangelo, mentre il Grande Comandamento concerne solo le opere buone. Così, l’uno è vangelo, l’altro legge, e non si deve mai confondere legge e vangelo.
Questa divisione artificiale tra i comandamenti di Cristo al suo popolo conduce Horton a delle conclusioni piuttosto crude. Egli dichiara cose come:
“Non c’è niente nella Grande Commissione sul trasformare la cultura” (226).
“Non c’è mandato per la chiesa a sviluppare un piano politico, sociale, economico, o culturale” (88)
“Non siamo mandati in questo mondo per cambiarlo, per trasformarlo, o per farlo diventare il Regno di Dio” (146).
Si comparino ora queste dichiarazioni con le sue litanie d’apertura su Matteo 28:18: “Il vangelo promette molto di più che andare in cielo quando si muore. È un [im]pegno onnicomprensivo da parte di Dio per il totale rinnovamento della creazione. Coinvolge la resurrezione dei nostri corpi e la liberazione dell’intera creazione dalla sua schiavitù al peccato e alla morte”. Oh, che cambio di rotta!
Da queste dichiarazioni possiamo dedurre una di due cose circa questo tipo di teologia. O, 1) Horton era completamente insincero nella sua affermazione precedente, o 2) La teologia di Horton contiene qualche tipo di dialettica, o dualismo, in cui egli può dire una cosa e significarne un’altra simultaneamente. O forse entrambi.
Vorrei proporvi che entrambe le scelte sono inadeguate per il cristiano. Delle due, credo che il problema risieda nella seconda opzione. Horton di fatto ha nella sua teologia una natura dualista – ci sono “due regni” e due leggi. Seguendo Lutero, egli ha un “regno del potere (il governo secolare) ed il regno della grazia (il ministero della chiesa)” (282) Egli mantiene i due separati appellandosi a “due età”. Mentre entrambi questi regni sono sotto il potere di Dio, Horton dice: “Eppure in questo tempo tra le due venute di Cristo non vediamo ancora l’assimilazione dei regni di quest’età al regno di Cristo. Perciò la questione non è se l’opera di redenzione di Cristo si estenda a corpo ed anima, ma la tempistica” (282). Questa prospettiva permette ad Horton di onorare con le labbra “ogni potere in cielo e sulla terra” di Cristo: certo Egli ha ogni potere, MA, non è ancora il tempo!
Questa prospettiva da ai propri aderenti due problemi tra loro correlati. Primo, se c’è questo grande periodo intermedio nel quale Cristo non sta governando su ogni area di vita, allora cosa, esattamente, dovremmo fare in queste aree di vita? Obbedire i pagani? Abbiamo un vuoto temporale da riempire con, sembrerebbe, un parziale governo di Cristo – forse “ogni potere” in cielo, ma certamente potere solo parziale sulla terra. Di che cos’è fatta questa parte? Horton risponde: la grande Commissione. Egli la pone così: “Cosa dobbiamo fare nel frattempo? Dobbiamo adempiere la Grande Commissione e le nostre vocazioni quotidiane sia come discepoli che come co-lavoratori e concittadini dei regni temporali”. Appunto, questa è la Grande Commissione “Ma” nella quale insegnare alle nazioni di obbedire la Legge di Cristo (Matteo 28:20) è ridotto al predicare la salvezza delle anime e lavorare quietamente in mezzo ai non credenti.
Ma questo conduce immediatamente al secondo e più spinoso problema: Gesù stesso mise la Grande Commissione direttamente in relazione al suo possedere ogni potere in cielo e in terra. Questo è il motivo per cui fece precedere la Grande Commissione dal grande annuncio del suo potere (Matteo 28: 18-20). La Commissione può essere compiuta solo alla luce del fatto che Cristo regna su ogni atomo di esistenza. Egli “che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza” (Eb. 1:3). Proprio come Paolo insegnò:
Poiché in lui sono state create tutte le cose, quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, le cose visibili e quelle invisibili: troni, signorie, principati e potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui, Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. (Col. 1:16-17).
Tutte le cose … in cielo e in terra … per mezzo di lui e in vista di lui. Questa è la stessa dottrina che Gesù annunciò in Matteo 28:18. E basandosi direttamente su questa infallibile premessa, Gesù disse: “Andate dunque”. Questo “dunque” è la diretta, logica connessione tra il fatto del potere di Gesù ed il suo comando di insegnare l’obbedienza alle nazioni –la Grande Commissione. I due sono in collegati in modo vitale.
E questo è un problema per il punto di vista di Horton perché significa che Gesù non vide alcuna separazione tra la sua autorità celeste e quella terrena in relazione alla portata della Grande Commissione. Egli non intese la Grande Commissione come una operazione scova-e-salva anime per riempire l’intermissione tra le sue venute e per riempire il periodo di tempo che precede il suo ritorno finale per prendere il controllo delle potenze fisiche sulla terra. No. Ovviamente, la prefazione di Gesù rende il suo comando di fare delle nazioni discepoli a lui obbedienti il risultato naturale della sua affermazione di possedere ogni potere in cielo e in terra. Questo significa che la portata della Commissione era totale fin dal primo giorno.
Inoltre Gesù non vide una divisione nella tempistica della sua applicazione. Poiché questa Commissione onni-comprensiva deve avvenire con la dimorante presenza e potestà di Gesù “tutti i giorni” e “fino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:20), ciò significa che la questione della tempistica a cui Horton fa appello sia irrilevante. Noi dobbiamo essere ingaggiati in questa totale Commissione mentre egli è seduto sul trono, per mezzo del suo Spirito, ora. Horton vorrebbe che credessimo che dobbiamo essere coinvolti con un aspetto limitato del regno di Cristo, e che la portata di quel regno espanderà alla sua richiesta totale solamente dopo la “fine del tempo presente” anziché tutti i giorni e fino alla fine dell’età presente. Cristo, però si aspetta da noi, che messi in grado e condotti dallo Spirito Santo, spargiamo la pienezza del vangelo in ogni angolo del creato tutti i giorni e finché ritorna. Su questo punto, ovviamente Horton non è d’accordo con Cristo.
Quindi, in breve, Horton ha abilmente utilizzato una separazione escatologica dei tempi per poter falsamente separare tra loro aspetti della Grande Commissione. Ma noi possiamo vedere chela Bibbia non insegna alcuna separazione né nella portata del vangelo né nella sua applicazione durante epoche diverse.
Ma dovremmo guardare ancor più attentamente a questa idea di due epoche diverse.
Il Malvagio Tempo Presente
Horton continua la sua spiegazione del periodo di intermissione facendo appello al linguaggio delle Scritture riguardo agli indicatori di tempo. Egli cita: “ma colui che avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. E questo vangelo del regno sarà proclamato in tutto il mondo in testimonianza a tutte le genti e allora verrà la fine” (Matteo 24:13-14, enfasi aggiunte) (282-3)
Precedentemente nel libro Horton cita sempre Matteo 24. Egli dice:
In Matteo 24, parte del discorso di Gesù sul Monte degli Ulivi, Gesù insegnò che Egli verrà sulle nuvole di gloria con tutti i suoi eletti, ma ci sono degli stadi che devono essere realizzati prima di questo evento. Primo, il tempio che era ancora in piedi doveva essere distrutto (vs. 1-2) come infatti è stato nel 70. Poi i discepoli chiesero. “dicci, quando avverranno queste cose? E quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente?” (vs. 3 enfasi aggiunta). Gesù replicò che ci saranno impostori che verranno nel suo nome, e che sedurranno molti, assieme a guerre, “ma non sarà ancora la fine. Infatti si leverà nazione contro nazione e regno contro regno, e ci saranno carestie, pestilenze e terremoti in vari luoghi. Ma tutte queste cose saranno soltanto l’inizio delle doglie di parto” (vs. 6-8). Ci sarà martirio e persecuzione per i suoi seguaci, con molti che diserteranno il gregge di Cristo. “Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. E questo evangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo in testimonianza a tutte le genti, e allora verrà la fine” (vs.13-14 enfasi aggiunta). Nell’ultimo giorno Gesù ritornerà nelle nubi della gloria a “raccogliere i suoi eletti” da tutta la terra e a giudicare i vivi e i morti. (vs.29-31). (66).
Ci sono molti problemi con questo paragrafo, così tanti che una breve sezione in un articolo può a malapena tentare di fargli giustizia (e merita un sacco di giustizia, credetemi). Gary DeMar ha già fatto un’analisi critica di questa prospettiva come Horton l’ha espressa nella sua recente teologia sistematica. La stessa critica si applica qui.
Horton farebbe bene a sedersi e realmente fare un’esegesi di Matteo 24. Dovrebbe poi pubblicarlo. Oltre alla strozzatura di tale studio biblico verso per verso, Horton è capace di imporre le proprie categorie teologiche su parte del testo, mentre ignora completamente altre parti. Qui c’è un’abbreviata lista di problemi col modo di trattare questo passo da parte di Horton:
Horton dice che “In Matteo 24, … Gesù insegnò che verrà sulle nuvole di gloria con tutti i suoi eletti”. In nessun posto nel capitolo Gesù dice che ritornerà in gloria con tutti i suoi eletti. Se lo avesse fatto, ciò implicherebbe che quando Gesù ritorna, avrebbe già raccolto tutti i suoi eletti per poter ritornare con loro. Horton stesso refuta questa prospettiva quanto più tardi dice che “Gesù ritornerà sulle nubi della gloria per ‘raccogliere i suoi eletti’”. Questo è ciò che il capitolo dice realmente.
Avrebbe anche due effetti che metterebbero in discussione la sua teologia. Primo, significherebbe che il versetto principale a cui sta cercando di appellarsi per la sola predicazione del vangelo finché Cristo ritorna (vs. 13-14) furono anche adempiuti nel primo secolo (e perciò non la sola enfasi di un periodo di intermissione prima del ritorno di Cristo). Secondo, lo costringerebbe a vedere una distinzione tra “l’età presente” e “l’età a venire” in modo diverso. Questi due sono correlati.
Primo, si consideri il verso principale a cui Horton sta conducendo: “E questo evangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo in testimonianza a tutte le genti, e allora verrà la fine” (Matteo 24:14). Il punto che Horton desidera fare qui è che dobbiamo continuare a predicare l’evangelo fino a che lo portiamo ad ogni angolo della terra; allora, solo allora, Gesù ritornerà. Poiché il vangelo non è stato predicato al mondo intero come noi lo vediamo, la fine è ancora nel nostro futuro. Ma la “fine” cui è fatto qui riferimento non è la fine del mondo, è la fine dell’epoca del vecchio patto. E questo compito particolare (dato ai discepoli) di portare il vangelo a “tutto il mondo” si riferisce al far giungere il messaggio all’intero mondo abitato di quel tempo. Anche questo fu adempiuto nel primo secolo, e Paolo lo dice esplicitamente diverse volte (Rom. 1:8; 10:18; 16:26; Col. 1:5-6, 23; 1Tim. 3:16). Paolo parla della predicazione del vangelo a “tutte le nazioni” come di una realtà passata:
Or a colui che vi può raffermare secondo il mio evangelo e la predicazione di Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero celato per molti secoli addietro, e ora manifestato e rivelato fra tutte le genti mediante le Scritture profetiche, secondo il comandamento dell’eterno Dio, per indurli all’ubbidienza della fede….(Rom.16:25-26).
Ancora, Gary De Mar ha già trattato questa questione in maggior dettaglio.
L’affermazione di Paolo che il vangelo aveva già raggiunto “tutte le nazioni”, “ogni creatura”, “tutto il mondo” pone Matteo 24:14 nel contesto del primo secolo, e non in uno futuro per noi. C’è coerenza tra i passaggi. C’è coerenza anche tra la trattazione che fanno delle parole “questa età” e “l’età a venire”. Scrivendo da una prospettiva precedente la distruzione di Gerusalemme e nel contesto della predizione della sua distruzione da parte di Gesù, la domanda degli apostoli circa “la fine dell’età presente” (Matteo 24:3) fa chiaramente riferimento a quella predizione; fu la predizione di Gesù, infatti, a provocare la domanda. La distruzione del tempio del Vecchio Patto avrebbe segnato la chiusura dell’epoca del vecchio patto. Matteo 24 parla delle cose che avrebbero condotto a quella chiusura.
Ho scritto in modo più esteso su questo argomento in un precedente articolo. Sarà sufficiente dire che Gesù, Paolo, e lo scrittore di Ebrei tutti confermano che la divisione delle età avviene con la comparsa di Cristo e la scomparsa del tempio del vecchio patto. La sola “intermissione”, – o più propriamente sovrapposizione – tra queste epoche si ha durante la generazione tra l’ascensione di Gesù al suo ritorno in giudizio nel 70 d.C. . Ecco parte di ciò che ho scritto precedentemente:
Questo discernimento delle due epoche avviene anche nell’insegnamento di Paolo. Per esempio, Gesù è il Re asceso e regnante: “al di sopra di ogni principato, potestà, potenza, signoria e di ogni nome che si nomina non solo in questa età, ma anche in quella futura” (Ef. 1:21). Egli poi applica queste due età al salvataggio del credente dallo spirito dell’età:
Egli ha vivificato anche voi, che eravate morti nei falli e nei peccati, nei quali già camminaste, seguendo il corso [aion] di questo mondo, secondo il principe della potestà dell’aria, dello spirito che al presente opera nei figli della disubbidienza … Ma Dio, che è ricco in misericordia per il suo grande amore con il quale ci ha amati, anche quando eravamo morti nei falli, ci ha vivificati con Cristo (voi siete salvati per grazia), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nei luoghi celesti in Cristo Gesù, per mostrare nelle età che verranno le eccellenti ricchezze della sua grazia con benignità verso di noi in Cristo Gesù (Ef. 2:1-7).
Paolo molto chiaramente vide le stesse due età che Gesù intendeva. Un’età stava operando correntemente quando egli stava scrivendo, e un’altra età avrebbe dominato il futuro. La domanda quindi è: quando avviene il passaggio tra queste due età?
Paolo indica molto chiaramente che un passaggio stava avvenendo mentre egli scriveva, e di fatto la vecchia età (che possiamo chiamare l’età del Vecchio Testamento) stava giungendo alla fine mentre egli scriveva. In Efesini 3: 1-8, egli rileva la causa del cambiamento. Egli dice che gli era stata data la grazia di predicare l’evangelo ai gentili:
Di manifestare a tutti la partecipazione del mistero che dalle piú antiche età è stato nascosto in Dio, il quale ha creato tutte le cose per mezzo di Gesù Cristo; affinché, per mezzo della chiesa, nel tempo presente sia manifestata ai principati e alle potestà, nei luoghi celesti, la multiforme sapienza di Dio, secondo il proponimento eterno che egli attuò in Cristo Gesú, nostro Signore.
Rilevando la causa del cambiamento ne stabilisce anche il tempo. Dio ha tenuto la rivelazione del vangelo nascosta per antiche età, dice l’apostolo, ma nel tempo presente (mentre scriveva) l’ha manifestata. In altre parole la venuta di Cristo e l’opera di Cristo ha causato l’inizio di un cambiamento di epoche.
Paolo ripete questo stesso insegnamento in Colossesi 1. Egli spiega il proprio ministero come il presentare pienamente la parola di Dio: “il mistero che è stato tenuto nascosto per secoli e generazioni, ma che ora è stato manifestato ai suoi santi” (Col. 1:26). È chiaro, quindi, che un cambiamento vitale nella provvidenza di Dio sulle età ha avuto luogo con la venuta di Cristo.
Ma “questa età” di Paolo e di Gesù stava realmente giungendo alla fine quando Paolo stava scrivendo, o sarà essa ancora nel nostro futuro? Paolo chiarifica pure questo, in 1 corinzi 10. Dopo aver elencato diverse storie dall’Esodo, Paolo insegna: “Or tutte queste cose avvennero loro come esempio, e sono scritte per nostro avvertimento, per noi, che ci troviamo alla fine delle età” (1Co. 10:11). È chiaro da questo passo che Paolo vedeva se stesso alla fine di un’età, un’età tipizzata dal giudizio su un popolo disobbediente.
L’autore di Ebrei usa un’espressione simile in relazione all’opera di Cristo: “… ma ora, una sola volta, alla fine delle età, Cristo è stato manifestato per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso”. È chiaro che la fine di quell’antico periodo giunse in congiunzione con la crocefissione di Cristo.
Così, dall’insegnamento di Gesù, di Paolo, e dell’autore di Ebrei, otteniamo un quadro molto chiaro di due età principali: una che durò fino al tempo di Cristo, ed un’altra che cominciò intorno allo stesso periodo. Io credo che questi due periodi, essendo incernierati sulla venuta e sull’opera di Cristo, appartengono ovviamente all’amministrazione del Vecchio e del Nuovo Patto. Di fatto lo scrittore di Ebrei stesso li mette in questa relazione. Egli dice che il Nuovo Patto rende il Vecchio obsoleto: “or quello che diventa antico ed invecchia, è vicino a sparire”. (Eb. 8:13). Si noti, il Nuovo testamento aveva di fatto reso il vecchio definitivamente obsoleto. Ma mentre egli scriveva, al suo tempo, il Vecchio stava diventando vecchio ed era pronto a sparire. Non era ancora stato completamente spazzato via, ma era certamente al momento della sua morte.
Horton ha bisogno seriamente di trattare con l’esegesi di questi passaggi interrelati prima di presentare una teoria controversa della missione e dell’evangelismo, senza menzionare una teologia sistematica. Per quanto ho visto sin qui, non ha mai fatto alcuna esegesi dettagliata delle Scritture, ma impone piuttosto una teoria sulle Scritture, in disprezzo delle Scritture.
I Cristiani Sono Pellegrini in Esilio?
Probabilmente niente è cosi rammaricante come il modo in cui Horton sviluppa la sua non-esegesi in una teologia dell’esilio per i cristiani. Egli ama in modo particolare citare Geremia 29: 4-7 come modello per la chiesa oggi:
Cosí dice l’Eterno degli eserciti, il DIO d’Israele, a tutti i deportati che io ho fatto condurre in cattività da Gerusalemme a Babilonia: Costruite case e abitatele, piantate giardini e mangiate i loro frutti. Prendete mogli e generate figli e figlie; prendete mogli per i vostri figli e date le vostre figlie a marito, perché generino figli e figlie e perché là moltiplichiate e non diminuiate. Cercate il bene della città dove vi ho fatti condurre in cattività e pregate l’Eterno per essa, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere.
Dopo aver citato questo nel suo libro, Horton aggiunge che “questa è precisamente la situazione della chiesa del nuovo patto nel suo esilio” (64). Questo stesso concetto compare alla conclusione del suo libro, solo che questa volta egli lo trae da Ebrei:
Attraverso tutto il Nuovo Testamento, Gesù colloca i suoi discepoli in quella precaria intersezione tra questa presente età malvagia e l’età a venire. Questo è il motivo per cui gli apostoli si rivolgono a noi come “pellegrini ed esuli” (Eb. 11:13), come i Giudei a Babilonia piuttosto che nella teocrazia del vecchio patto. (300)
Ma ci sono diversi problemi con questo concetto. Primo, si noti che l’ “esilio” è una categoria teologica di giudizio. L’esilio è per persone che hanno disobbedito Dio e che sono state da lui giudicate per questo. Così furono Adamo ed Eva fuori dal giardino, e i ribelli Israeliti a Babilonia. Questa è una posizione di punizione e di separazione da Dio per aver trasgredito la sua legge. Quindi Horton vorrebbe dire che la chiesa oggi – gli eletti di Dio, lavati nel sangue di Gesù, presentati come una sposa senza macchia, per la quale Gesù continuamente intercede – sta vivendo nella punizione e nel giudizio a causa di ribellione? Horton dice che è “precisamente” così. Ma questo rende chiaro che egli non ha realmente elaborato il sangue di Cristo dentro la propria teologia, e neppure la giustizia (sinlessness) imputata dei santi di Dio.
E questo concetto gettala Grande Commissione in un grande imbarazzo. Ciò significa che Gesù ha “ogni potestà in cielo e sulla terra” eppure ha scelto di esercitare quella potestà per punire i suoi eletti. E peggio ancora, mentre li sta punendo, ha comandato loro di insegnare l’obbedienza alle nazioni. “Ascoltate voi re della terra. È ora di sottomettersi a Re Gesù, cosicché possiate entrare in una vita di punizione”.
La teologia Hortoniana dell’esilio dei cristiani rovescia sottosopra le promesse di Dio. I pagani ereditano la terra e i cristiani sono puniti per essere eletti.
Secondo, Horton applica per questo scopo Ebrei 11:13, ma sta chiaramente sbagliando. Cita questo versetto per poter argomentare che “gli apostoli si rivolgono a noi come ‘stranieri ed esuli’”. Ma sta apertamente alterando nuovamente il testo delle scritture . Nemmeno il testo stesso si riferisce a “noi” – ne all’autore o i suoi ascoltatori, a noi cristiani oggi – ma piuttosto esplicitamente si riferisce ai santi del vecchio Testamento prima della venuta di Gesù. Dopo aver elencato le gesta di fede di Abele, Enoch, Noè, Abramo e Sara (nel famoso appello dei fedeli di Ebrei 11), il testo dice: “Tutti costoro sono morti nella fede, senza aver ricevuto le cose promesse ma, vedutele da lontano, essi ne furono persuasi e le accolsero con gioia, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra (Eb. 11:13). Di certo non dice “noi” ma specificamente “essi furono stranieri e pellegrini”. Questo concetto di pellegrino è applicabile solo ai quei santi nelle loro peregrinazioni prima che Gesù comparisse.
Quando l’argomento della fede e del peregrinare di Ebrei 11 finalmente si rivolge a noi esso rileva un completo cambiamento di statuto. Mentre tutti questi pellegrini del Vecchio Testamento morirono e “non ottennero ciò che era stato promesso”, i credenti del Nuovo Testamento sono diversi; “perché Dio aveva in vista per noi qualcosa di meglio” (Eb. 11:40). Quindi, noi siamo categoricamente non come loro. Noi siamo in una posizione migliore della loro. Il regno promesso è realmente venuto, a noi esso è dato. Non siamo esuli, pellegrini che attendono di ricevere la promessa. Di fatto, l’autore dice ai giudei credenti del primo secolo proprio nel capitolo successivo, in continuazione dell’argomento di Ebrei 11: “ma voi siete venuti al monte di Sion” (Eb. 12:22) Non erano più pellegrini; erano arrivati!
Questo versetto dell’arrivo è molto importante. Horton fa riferimento ai cristiani come a pellegrini. Egli nega che siamo arrivati, o lo sminuisce in tutti i modi possibili. Egli fa continuamente riferimento a Sion come una destinazione futura: la “via verso Sion”, “questo viaggio verso Sion”, “marciare verso Sion”. Ma Ebrei dice con assoluta chiarezza ai credenti del Nuovo Testamento: “ma voi siete venuti al monte di Sion”. Questo ‘siate venuti’ è nel tempo passato. Horton non dice nulla su questo verso, eppure è l’apoteosi dell’argomento che l’autore ha cominciato in Ebrei 11.
Realmente, Paolo ne fa una questione di assicurare i credenti gentili del fatto che sono arrivati al Nuovo Tempio, e che ora sono, quali credenti in Cristo, esplicitamente non stranieri e pellegrini (Ef. 2:19, cf. 2:11-22). Horton non ha incorporato questo fattore dentro la sua religione di esiliati, forse perché negherebbe l’intera cosa.
Terzo, Horton non è coerente col suo trattamento dei testi dell’Antico testamento. In genere, egli nega che il cristiano debba applicare passi del Vecchio Testamento al presente. Egli fa una radicale distinzione tra di loro e biasima l’errore di “Confondere il regno di grazia di Cristo con la teocrazia del Sinai” (72). Poiché siamo pellegrini che si trascinano lungo il “sentiero verso Sion”, non dovremmo ingaggiarci in alcun attività di edificazione del regno – solo bighellonare lungo la via, attendere il momento opportuno, poiché noi non siamo di qui. In questa intermissione – esilio – non ci può essere riforma o rinnovamento nella società, perciò non dovremmo mai “invocare le storie di conquista e le leggi civili date al Sinai”, poiché esse non si possono applicare al questo tempo e luogo. Furono date, dice Horton. “unicamente ed esclusivamente al vecchio Israele quale nazione santa di Dio” (71). Prenderle in considerazione sarebbe per i cristiani commettere i cosiddetti errori della cristianità medievale quando cristiani fuorviati “tolsero questi passaggi dal loro contesto e li applicarono ai loro propri regimi” (86). Quest’errore viene commesso oggi quando “Protestanti negli Stati Uniti invocano promesse come 2 Cronache 7:14 ogni 4 Luglio come se fossero applicabili all’America” (86).
Però, a dispetto che le storie di conquiste e le leggi dell’Antico Testamento siano state date solamente al vecchio Israele. Horton, come abbiamo già visto, si permette di applicare Geremia 29 “precisamente” alla chiesa oggi. Dunque, dei due, quale? O la vecchia legge è applicabile oggi o non lo è. Dopo tutto cosa stavano facendo i profeti come Geremia? Stavano applicando direttamente le sanzioni legali veterotestamentarie di Dio alla situazione dell’Israele di quel tempo. Così le promesse veterotestamentarie di Dio come espresse attraverso 2 Cronache 7 non sono applicabili oggi, ma esattamente quello stesso complesso di leggi espresso per mezzo di Geremia lo è? Horton dunque permette l’applicazione del Sinai quando parla di esilio, ma non quando parla di rinnovamento o di trionfo in terra per la chiesa. Horton possiede un ambiguo doppio criterio – uno che sopprime la chiesa sotto il tacco della cultura pagana come punizione divina indicata nei profeti, e allo stesso tempo rifiuta di permettere alla chiesa di presentare la legge di Dio alla società quale luce splendente della sua gloria.
In aggiunta a queste questioni, c’è un altro passo rilevante in cui questo tema del “pellegrinaggio” compare nel Nuovo Testamento. Horton si appella a 1 Pietro come reminiscenza di Geremia 29 (Pag. 307):
Perciò, avendo cinti i lombi della vostra mente, siate vigilanti, e riponete piena speranza nella grazia che vi sarà conferita nella rivelazione di Gesú Cristo. Come figli ubbidienti, non conformatevi alle concupiscenze del tempo passato, quando eravate nell’ignoranza, ma come colui che vi ha chiamati è santo, voi pure siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: «Siate santi, perché io sono santo».
E se invocate come Padre colui che senza favoritismi di persona giudica secondo l’opera di ciascuno, conducetevi con timore per tutto il tempo del vostro pellegrinaggio, sapendo che non con cose corruttibili, come argento od oro, siete stati riscattati dal vostro vano modo di vivere tramandatovi dai padri, ma col prezioso sangue di Cristo, come di Agnello senza difetto e senza macchia, preconosciuto prima della fondazione del mondo, ma manifestato negli ultimi tempi per voi, che per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, affinché la vostra fede e speranza fossero in Dio (1 Pi. 1:13-21).
Horton sembra pensare che questo riferimento al “tempo del vostro pellegrinaggio” sia rivolto a tutti i cristiani in ogni tempo e luogo, e che quindi sostenga il suo concetto di predicazione di un vangelo per sole anime mentre si conducono vite tranquille dentro ad una dominazione pagana. Ma ha trascurato alcune cose:
Primo, a chi stava scrivendo Pietro? Il contesto immediato della lettera non è tutti i cristiani in ogni tempo e luogo, “ma agli eletti che risiedono come stranieri, dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia” (1 Pi. 1:1). Pietro stava scrivendo a Giudei credenti del primo secolo letteralmente sparsi nelle nazioni pagane. I ricettori erano dunque:
Secondo, si noti che Pietro incoraggia questi nuovi Giudei convertiti ad agire alla luce delle loro nuove credenze a rigettare il modo di vivere che tanto per cominciare aveva portato i loro padri in esilio. Egli scrive: “siete stati riscattati dal vostro vano modo di vivere tramandatovi dai padri” (1:18). In altre parole, non sono pellegrini (esuli) in alcun senso spirituale o escatologico, solo in relazione al loro stato quale vestigia del giudizio del vecchio patto – ma ora sono stati liberati dalla maledizione dei loro antenati.
Terzo, le istruzioni date loro da Pietro hanno un preciso contesto precedente il 70d.C. (assieme a tutta l’epistola). Il suo riferimento alla “rivelazione di Cristo” (1:3,13) e agli “ultimi tempi” (1:20) conferma che lo statuto di “pellegrini” era valido per questi credenti Giudei solo fino a che ancora vivevano prima della distruzione del tempio. Nella prima frase, Pietro conforta questi credenti Giudei (1:5-9) perseguitati assicurandoli del fatto che essi, quali eletti: “che dalla potenza di Dio mediante la fede siete custoditi, per la salvezza che sarà prontamente rivelata negli ultimi tempi” (1:5). Pietro li sollecitò in questo modo: “Perciò, avendo cinti i lombi della vostra mente, siate vigilanti, e riponete piena speranza nella grazia che vi sarà conferita nella rivelazione di Gesú Cristo” (1:13). Queste promesse sono date direttamente a Giudei del primo secolo. Pietro dice: “vi”, non a tutti i cristiani ovunque, e certamente non a distanza di 2000 anni. Perciò gli “ultimi tempi” e “la rivelazione di Gesù Cristo” di qui si parla qui non sono la fine del mondo, ma piuttosto il ritorno di Gesù in giudizio su Gerusalemme. Questo è coerente, inoltre, con la dichiarazione di Pietro che gli “ultimi tempi” ebbero inizio quando Cristo fu “manifestato” (1:20) – non nel lontano futuro.
Pietro ribadisce le raccomandazioni ai “pellegrini” in 1 Pietro 2.11-12:
Carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervi dai desideri della carne che guerreggiano contro l’anima. Comportatevi bene fra i gentili affinché, là dove vi accusano di essere dei malfattori, a motivo delle buone opere che osservano in voi, possano glorificare Dio nel giorno della visitazione.
La stessa questione dei destinatari è valida qui. Ma si noti la dimensione aggiunta di un tema escatologico preciso: “il giorno della visitazione”. Altrove, nel Nuovo testamento questa frase si riferisce direttamente alla distruzione di Gerusalemme (Luca 19:41-44). Ho scritto a questo riguardo estensivamente anche altrove, qui e qui. Poiché Pietro non offre alcuna qualificazione o spiegazione della frase, dovremmo assumere che “il giorno della visitazione” fosse parte del loro vocabolario comune e che quindi molto probabilmente riguardasse un evento che essi si aspettavano avvenisse presto. È chiaro, quindi, che questa è la stessa “visitazione” che Gesù aveva menzionato in precedenza: l’impendente distruzione di Gerusalemme.
Ma perché i credenti Giudei della diaspora avrebbero dovuto essere in ansia o aver bisogno di istruzioni riguardo alla loro condizione di pellegrini alla luce dell’imminente distruzione di Gerusalemme? Poiché una volta che fosse diventato pubblico dominio che i Giudei avevano ingaggiato un’insurrezione a Gerusalemme, e che Roma aveva risposto con la forza imperiale, i Giudei avrebbero potuto molto probabilmente diventare un’odiata classe di persone – una classe altamente ridicolizzata e perseguitata – in tutto l’Impero Romano. Giacomo stava istruendo questi Giudei Cristiani a come separarsi in qualità di Cristiani dai meri Giudei: dovevano vivere vite così pubblicamente senza macchia talché nessun non credente potesse trovare alcuna causa per accusarli di alcunché ma di bontà. Infatti, a dispetto di qualunque cosa gli altri Giudei potessero essere accusati, i pagani dovevano vedere una differenza visibile in quelli che erano divenuti cristiani – così tanto che non solo i pagani non avrebbero potuto portare contro di loro alcuna accusa, ma avrebbero di fatto “glorificato Dio” a motivo delle loro buone opere.
La minaccia della persecuzione sarebbe stata reale in modo particolare in situazioni pubbliche, nelle quali le persone del luogo avrebbero desiderato enfatizzare “noi non siamo loro” o” noi non tolleriamo lerci Giudei” in situazioni ove tale comportamento li avrebbe distinti come leali all’Impero. Così, Pietro immediatamente istruisce i destinatari della sua lettera a farsi notare nella loro obbedienza alla legge (non a spese degli altri, naturalmente): “Sottomettetevi dunque per amore del Signore ad ogni autorità costituita: sia al re come al sovrano, sia ai governatori, come mandati da lui per punire i malfattori e per lodare quelli che fanno il bene” (1 Pt. 2:13-14). Questa regola, come sempre, non sarebbe stata applicabile a leggi che richiedessero al credente di rigettare Cristo o di peccare (Atti 5:29). L’enfasi, qui, è sulla natura pubblica e legale delle istruzioni che Pietro sta dando. Il punto era di avere una reputazione pubblica immacolata.
Così, mentre il Giudaismo del Vecchio Patto era in corso di distruzione, i credenti giudei erano istruiti a vincere il cuori del loro prossimo pagano con buone opere. Quindi, – ironicamente, se paragonate alle vedute di Horton – l’adempimento cristiano del Grande Comandamento (“buone opere”) avrebbe a sua volta adempiutola Grande Commissione nel far si che i Gentili glorificassero Dio. E i credenti Giudei non avevano nulla da temere perché, quali eletti di Dio, sarebbero stati protetti quando fosse venuto il giorno della rivelazione di Cristo.
Inattività Santificata
In breve, il punto di vista di Horton è pugnacemente amilleniale. Dice che non dovremo aspettarci progresso culturale (in nessun senso) nella storia con l’avanzamento del vangelo, e che è contrario al vangelo impegnarvisi.
Il bene ed il male rimarranno piuttosto equilibrati attraverso questo periodo. Ma c’è sempre una forzatura negativa con l’amillenialismo che raramente viene apertamente dichiarata: nel presunto equilibrio della lotta tra bene e male, è sempre il male a governare nella sfera pubblica “secolare”. Mentre i cristiani possono prender parte ai processi, alle teorie, al voto e perfino alle cariche pubbliche, le leggi ed i sistemi stessi non possono essere mai fatti cristiani in nessun modo. Saranno sempre opposti (non solo neutrali) al vangelo perché sono al suo esterno.
Le persone che sostengono questo punto di vista amano parlare del “già” e “non ancora” del regno. Ci sono alcune cose del regno di Dio che sono già una realtà presente, ma altre non sono ancora avvenute. Il problema è che anche i postmillennialisti comunque credono questo. La differenza sta in ciò che esattamente, ciascuna parte crede appartenere a ciascuna categoria, e, ancor più importante, la natura dell’avanzamento dall’uno all’altro.
Amillennialisti del genere di Horton credono che solo la redenzione in Cristo stesso sia già realizzata, e questo solo in un aspetto della giustificazione, e in un limitato aspetto della santificazione. La pienezza del suo regno ancora non è, e non c’è progresso o crescita verso di esso. Culturalmente e socialmente parlando è in un limbo statico, in attesa del ritorno di Cristo. Nel frattempo, gli elementi della predicazione del “vangelo” della salvezza individuale e dei sacramenti sono già qui, e compongono l’opera della chiesa. Questo è tutto ciò che la chiesa dovrebbe fare, perché le parti del regno “non ancora” non arriveranno fino all’ultimo giorno quando Cristo ritorna. L’avanzamento del regno nel frattempo si attiene solo alla salvezza delle anime. Mentre c’è qui, molto di più da discutere, il punto che desidero sottolineare è l’implemento dell’inazione nella maggior parte delle aree di vita. Non dovremmo darci troppo da fare al fine di far avanzare il regno prima che Cristo ritorni.
(Un corollario a questa opinione è che sembra che Cristo debba essere fisicamente presente perché la cultura sia trasformata. Per qualche ragione, mentre può salvare anime a volontà, Egli è o incapace o non vuole redimere la società da un trono distante).
La maggior parte dei postmillennialisti oggi, però, vedono un elemento progressivo nella crescita del regno. Ciò che è “non ancora” gradualmente diventa realtà mentre il regno avanza e le nazioni di questo mondo non solo sono fatte discepoli, ma sono istruite ad obbedire gli insegnamenti di Cristo. Nella società questo ha un affetto positivo che riflette l’energia vitale che Dio da ai suoi eletti e che lo glorifica. È anche coerente con le Scritture: le società pagane sono frantumate dalla pietra tagliata senza mano d’uomo (Dan. 2: 34-35), e la pietra cresce a diventare un monte che riempie tutta la terra. Gesù riceve un regno che è sempiterno, e i suoi santi prenderanno quel regno e lo possederanno per sempre (Da. 7:9-16). Cristo siede assiso sul trono come Re ora (Atti 2:33-36; Eb. 1:3,13; Ef. 1:20-22), ed Egli regnerà finché i suoi nemici non siano lo sgabello dei suoi piedi (1Co. 15.24-25). Nel frattempo, Egli regna aspettando che i suoi nemici siano posti a sgabello dei suoi piedi (Eb. 10:13). I suoi servitori non sono di passaggio come pellegrini in esilio, sono sacerdoti e re che hanno una parte con Lui nel possesso del regno e nel suo regno di esso. Di fatto, essi sono seduti con Lui sul suo trono celeste (Ef. 2. 6-7). Questo, tutto, indica una crescita progressiva del regno, sulla terra, fino al ritorno di Cristo, e che Egli non tornerà finché i suoi nemici non siano sconfitti.
(Un corollario di questa opinione è che Cristo è altrettanto capace di effettuare cambiamenti sociali terreni dal suo trono celeste quanto lo è di salvare anime o di essere in comunione con noi da quella posizione. Egli non è limitato: “Ecco, io sono con voi sempre…” Eppure sarebbe asceso al cielo per questo periodo.)
Non c’è elemento progressivo di crescita per Horton, eccetto nella salvezza di anime. Ed egli non crede che tutti i nemici di Cristo saranno sconfitti prima che ritorni, come dice la Scrittura. Assumerlo è essere uno zelota o un teocrate (86). Applicare la legge biblica alla società, agli affari, all’etica ecc., è confondere legge e vangelo, grazia con teocrazia, fede con opere, e quindi ingaggiarsi in futilità e peccato. È meglio, quindi, evitare ogni tentativo di riformare la cultura, di cambiare legislazioni corrotte ecc. La Grande Commissione è ridotta all’annuncio del perdono, e basta. “Il Regno di Dio nella sua fase attuale è semplicemente l’annuncio del perdono dei peccati, e, su questo fondamento, l’ingresso nella nuova creazione” (72).
Non operate per il cambiamento; non dite che spade dovrebbero essere forgiate in vomeri e in falci; non richiedete che i re della terra “bacino il figlio”, non fermate la strage degli innocenti; non chiedete che la chiesa di nuovo si prenda cura dei suoi poveri e dei suoi anziani cosa che ha abdicato alla tassazione e alla coercizione dello stato; non chiedete giustizia su stupratori e assassini nella società; non prendetevi le responsabilità sull’istruzione e sul curriculum educativo dei vostri figli; non esigete una fine al diritto divino dello stato di confiscare e ridistribuire la vostra ricchezza e la vostra proprietà; non chiedete giusti pesi e giuste misure; non richiedete rigorosa responsabilità; non mettete in piedi corti di giustizia private operate da cristiani. Non fatelo. Queste cose non hanno niente a che vedere con il Regno di Dio o con l’insegnare alle nazioni di osservare tutti gli insegnamenti di Cristo. Niente.
Invece, il regno di Dio è la chiesa la domenica, e tenere la bocca chiusa riguardo alla legge di Dio come esiliati in mezzo a pagani benefattori.
Come ho detto spesso, la teologia “due regni, due leggi” è una dottrina messa insieme da teologi pigri per cristiani pigri. In rapporto alla teoria sociale cristiana il ritornello tematico di Horton “pellegrini in esilio” è la lussuosa poltrona del nonno con incluso sistema di massaggio e reggi vivande. È la cosa giusta per aiutarti a dimenticare che in realtà sei un esiliato che vive sotto dominazione pagana. Poi spinge in alto i piedi e abbandona la cultura per Cristo. Dice: “Non posso aver nessun effetto per Cristo sulla società, sulla legge, sull’economia o sul sistema bancario, quindi non vale neppure la pena provare. Di fatto, è un peccato provare, quindi, eviterò la riforma cristiana della società come se nel settore pubblico il nome di Cristo fosse una maledizione. Non Lo confesserò davanti agli uomini nella sfera pubblica. Declino e reclino dalla teoria sociale”. Per Horton, questo reclinare fornisce considerabile sollievo personale:
È di fatto un grande sollievo imparare che non siamo chiamati a redimere il mondo o a trasformarlo. Siamo resi liberi di proclamare il vangelo quando sappiamo che stiamo ricevendo un regno che non può essere scosso. E siamo di fatto resi liberi di amare e di servire il nostro prossimo quando sappiamo che Dio trasformerà i regni di questa età quando Cristo ritornerà sulla terra. (244)
Questa non è la Grande Commissione. È la Grande Omissione. Omette la parte in cui Cristo ordina di insegnare alle nazioni di obbedirgli. Horton vuole che amiamo il nostro prossimo, ma non ci dice mai cosa sia l’amore. L’amore è il sacrificio di se stessi come definito dalla disciplina della legge di Dio. C’è un’intima connessione tra l’amore e la legge. Nella maggior parte dei casi, nella società moderna, per poter amare il prossimo secondo la legge di Dio, bisognerebbe rimuovere gli impedimenti di coercizione e di corruzione trincerati nello stato del welfare e del warfare. Contrariamente a quanto afferma Horton, il vangelo richiede forte e chiaro che le strozzature della società e della cultura siano trasformate. Altrimenti è impossibile che l’amore per il prossimo fiorisca in uno stato moderno.
La teologia di Horton condannerebbe tale libertà. Richiede l’inazione nelle questioni pubbliche, quantomeno nel nome di Cristo. La sua Gospel Commission è una teologia di santificata inazione – di indolenza cristiana. Non fa altro che mantenere il posto di lavoro di tiranni e di teologi dei due regni.
E questo, Horton chiama “un [im]pegno onnicomprensivo da Dio per il totale rinnovamento della creazione”.
Un giorno. Per ora porta pazienza. Ci vediamo domenica, giusto?
Note
1 Michael Horton: The Gospel Coomission: Recovering God’s Strategy for Making Disciples, Grand Rapids, MI: Backer Books, 2011, p. 32. [↩ ]
In una precedente, parziale recensione del libro di Michael Horton The Great Commission: recovering God’s Strategy for making Disciples, ho cominciato a documentare alcune sue doppiezze riguardo alla signoria di Cristo e al significato contenuto di quel libro. Ho menzionato come egli scriva chiaramente del potere a 360 gradi di Cristo, all’inizio del libro, ma poi spenda il resto del libro a [s]qualificarlo a morte. Horton comincia così:
Ogni autorità in cielo e sulla terra gli appartiene. Quale Signore risorto, gli è dato dal Padre il potere di giudicare e di giustificare. La salvezza non è solo “assicurazione contro gli incendi” o “gestione del peccato”. Il vangelo promette molto di più che andare in paradiso quando si muore. È un [im]pegno a 360 gradi da parte di Dio per il totale rinnovamento della creazione. Include la resurrezione dei nostri corpi e la liberazione dell’intero creato dalla sua schiavitù al peccato e alla morte.[1]
Ma poi comincia a cianciare di li a poche pagine: “Gesù possiede ogni autorità in cielo e sulla terra, ma che cosa significa questo per noi qui ed ora?” (35).
Nella prima parte, abbiamo discusso di come Horton confidi su un’annacquata visione di ciò che sia il “vangelo” (difatti egli nemmeno lo definisce mai, ne scritturalmente, ne in altro modo) e usa questa inadeguata visione per condannare qualsiasi tentativo di riforma sociale, etc. . Mantenere questa prospettiva lo ha costretto ad ignorare diversi aspetti delle Scritture, incluso una parte importante proprio di quel passo di Matteo 28 che si suppone costituisca il tema del libro. In altre parole, dove l’esegesi delle Scritture lo obbligherebbe ad alterare o abbandonare la sua posizione, egli salta quella sezione delle Scritture. È costretto inoltre ad ignorare il peccato sociale della chiesa nell’abdicare allo Stato il welfare di vedove e orfani, cose che Paolo (ed altri scrittori della bibbia) ha espressamente comandato alla chiesa di fare.
In questo articolo, mi propongo di aggiungere alcune parole riguardo all’implicita escatologia di Horton, inclusa la sua errata interpretazione di Matteo 24-25 quali eventi eminentemente futuri, ed in relazione a questo l’uso da parte di Gesù e di paolo della frase “questa età” e “l’età a venire”. Abbiamo pure la necessità di esporre l’implicita oziosità del sistema.
La Fuga Escatologica
Per poter sfuggire al significato della dichiarazione di Gesù di possedere “ogni potere in cielo e sulla terra”, Horton semplicemente relega l’ applicazione di questo potere ad una dispensazione futura. In modo molto simile ai dispensazionalisti, egli vede il periodo della chiesa come un’intermissione:
“La grande commissione è data alla chiesa per questo tempo tra la sua prima e la seconda venuta. È un’ intermissionetra il suo compimento della redenzione e il suo ritorno a completarne le benedizioni” (63).
Di fatto, Horton giunge al punto di adottare il vecchio linguaggio della teologia dispensazionalista, chiamando il tempo in cui ora noi viviamo “la parentesi” per la predicazione del vangelo da parte della chiesa (67).
Come ho notato nella mia prima recensione, egli aggiunge che questo non significa che stiamo semplicemente aspettando che un giorno ci venga fornita una via d’uscita da questo mondo, piuttosto questo è un tempo per amare e servire il nostro prossimo attraverso la testimonianza e le nostre vocazioni quotidiane. Ciò nonostante, egli sembra pure essere in grande affanno per dire che la GrandeCommissionecome “data alla chiesa”, è distintamente separata sia dal “mandato culturale” di Genesi 1:28 (64) e sia, udite, udite, dal grande comandamento di amare Dio (e il prossimo, Mt. 22:37-40) (210-46). E mentre Horton, ancora, afferma che i cristiani sono responsabili per entrambi, vuole mantenere chela Grande Commissione è solamente la proclamazione del vangelo, mentre il Grande Comandamento è concerne solo le opere buone. Così, l’uno è vangelo, l’altro legge, e non si deve mai confondere legge e vangelo.
Questa divisione artificiale tra i comandamenti di Cristo al suo popolo conduce Horton a delle conclusioni piuttosto crude. Egli dichiara cose come:
“Non c’è niente nella Grande Commissione sul trasformare la cultura” (226).
“Non c’è mandato per la chiesa a sviluppare un piano politico, sociale, economico, o culturale” (88)
“Non siamo mandati in questo mondo per cambiarlo, per trasformarlo, o per farlo diventare il Regno di Dio” (146).
Si comparino ora queste dichiarazioni con le sue litanie d’apertura su Matteo 28:18: “Il vangelo promette molto di più che andare in cielo quando si muore. È un [im]pegno onnicomprensivo da parte di Dio per il totale rinnovamento della creazione. Coinvolge la resurrezione dei nostri corpi e la liberazione dell’intera creazione dalla sua schiavitù al peccato e alla morte”. Oh, che cambio di rotta!
Da queste dichiarazioni possiamo dedurre una di due cose circa questo tipo di teologia. O, 1) Horton era completamente insincero nella sua affermazione precedente, o 2) La teologia di Horton contiene qualche tipo di dialettica, o dualismo, in cui egli può dire una cosa e significarne un’altra simultaneamente. O forse entrambi.
Vorrei proporvi che entrambe le scelte sono inadeguate per il cristiano. Delle due, credo che il problema risieda nella seconda opzione. Horton di fatto ha nella sua teologia una natura dualista – ci sono “due regni” e due leggi. Seguendo Lutero, egli ha un “regno del potere (il governo secolare) ed il regno della grazia (il ministero della chiesa)” (282) Egli mantiene i due separati appellandosi a “due età”. Mentre entrambi questi regni sono sotto il potere di Dio, Horton dice: “Eppure in questo tempo tra le due venute di Cristo non vediamo ancora l’assimilazione dei regni di quest’età al regno di Cristo. Perciò la questione non è se l’opera di redenzione di Cristo si estenda a corpo ed anima, ma la tempistica” (282). Questa prospettiva permette ad Horton di onorare con le labbra “ogni potere in cielo e sulla terra” di Cristo: certo Egli ha ogni potere, MA, non è ancora il tempo!
Questa prospettiva da ai propri aderenti due problemi tra loro correlati. Primo, se c’è questo grande periodo intermedio nel quale Cristo non sta governando sopra ogni area di vita, allora cosa, esattamente, dovremmo fare in queste aree di vita? Obbedire i pagani? Abbiamo un vuoto temporale da riempire con, sembrerebbe, un parziale governo di Cristo – forse “ogni potere” in cielo, ma certamente potere solo parziale sulla terra. Di che cos’è fatta questa parte? Horton risponde: la grande Commissione. Egli la pone così: “Cosa dobbiamo fare nel frattempo? Dobbiamo adempierela Grande Commissione e le nostre vocazioni quotidiane sia come discepoli che come co-lavoratori e concittadini dei regni temporali”. Appunto, questa èla Grande Commissione “Ma” nella quale insegnare alle nazioni di obbedirela Legge di Cristo (Matteo 28:20) è ridotto al predicare la salvezza delle anime e lavorare quietamente in mezzo ai non credenti.
Ma questo conduce immediatamente al secondo e più spinoso problema: Gesù stesso mise la GrandeCommissionedirettamente in relazione al suo possedere ogni potere in cielo e in terra. Questo è il motivo per cui fece precedere la Grande Commissione dal grande annuncio del suo potere (Matteo 28: 18-20). La Commissione può essere compiuta solo alla luce del fatto che Cristo regna su ogni atomo di esistenza. Egli “che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza” (Eb. 1:3). Proprio come Paolo insegnò:
Poiché in lui sono state create tutte le cose, quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, le cose visibili e quelle invisibili: troni, signorie, principati e potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui, Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. (Col. 1:16-17).
Tutte le cose … in cielo e in terra … per mezzo di lui e in vista di lui. Questa è la stessa dottrina che Gesù annunciò in Matteo 28:18. E basandosi direttamente su questa infallibile premessa, Gesù disse: “Andate dunque”. Questo “dunque” è la diretta, logica connessione tra il fatto del potere di Gesù ed il suo comando di insegnare l’obbedienza alle nazioni –la Grande Commissione. I due sono in collegati in modo vitale.
E questo è un problema per il punto di vista di Horton perché significa che Gesù non vide alcuna separazione tra la sua autorità celeste e quella terrena in relazione alla portata della Grande Commissione. Egli non intese la Grande Commissione come una operazione scova-e-salva anime per riempire l’intermissione tra le sue venute e per riempire il periodo di tempo che precede il suo ritorno finale per prendere il controllo delle potenze fisiche sulla terra. No. Ovviamente, la prefazione di Gesù rende il suo comando di fare delle nazioni discepoli a lui obbedienti il risultato naturale della sua affermazione di possedere ogni potere in cielo e in terra. Questo significa che la portata della Commissione era totale fin dal primo giorno.
Inoltre Gesù non vide una divisione nella tempistica della sua applicazione. Poiché questa Commissione onni-comprensiva deve avvenire con la dimorante presenza e potestà di Gesù “tutti i giorni” e “fino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:20), ciò significa che la questione della tempistica a cui Horton fa appello è irrilevante. Noi dobbiamo essere ingaggiati in questa totale Commissione mentre egli è seduto sul trono, per mezzo del suo Spirito,ora. Horton vorrebbe che credessimo che dobbiamo essere coinvolti con un aspetto limitato del regno di Cristo, e che la portata di quel regno espanderà alla sua richiesta totale solamente dopo la “fine del tempo presente” anziché tutti i giorni e fino alla fine dell’età presente. Cristo, però si aspetta da noi, che messi in grado e condotti dallo Spirito Santo, spargiamo la pienezza del vangelo in ogni angolo del creato tutti i giorni e finché ritorna. Su questo punto, ovviamente Horton non è d’accordo con Cristo.
Quindi, in breve, Horton ha abilmente utilizzato una separazione escatologica dei tempi per poter falsamente separare tra loro aspetti della Grande Commissione. Ma noi possiamo vedere chela Bibbianon insegna alcuna separazione né nella portata del vangelo né nella sua applicazione durante epoche diverse.
Ma dovremmo guardare ancor più attentamente a questa idea di due epoche diverse.
Il Malvagio Tempo Presente
Horton continua la sua spiegazione del periodo di intermissione facendo appello al linguaggio delle Scritture riguardo agli indicatori di tempo. Egli cita: “ma colui che avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. E questo vangelo del regno sarà proclamato in tutto il mondo in testimonianza a tutte le genti e allora verrà la fine” (Matteo 24:13-14, enfasi aggiunte) (282-3)
Precedentemente nel libro Horton cita sempre Matteo 24. Egli dice:
In Matteo 24, parte del discorso di Gesù sul Monte degli Ulivi, Gesù insegnò che Egli verrà sulle nuvole di gloria con tutti i suoi eletti, ma ci sono degli stadi che devono essere realizzati prima di questo evento. Primo, il tempio che era ancora in piedi doveva essere distrutto (vs. 1-2) come infatti è stato nel 70. Poi i discepoli chiesero. “dicci, quando avverranno queste cose? E quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente?” (vs. 3 enfasi aggiunta). Gesù replicò che ci saranno impostori che verranno nel suo nome, e che sedurranno molti, assieme a guerre, “ma non sarà ancora la fine. Infatti si leverà nazione contro nazione e regno contro regno, e ci saranno carestie, pestilenze e terremoti in vari luoghi. Ma tutte queste cose saranno soltanto l’inizio delle doglie di parto” (vs. 6-8). Ci sarà martirio e persecuzione per i suoi seguaci, con molti che diserteranno il gregge di Cristo. “Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. E questo evangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo in testimonianza a tutte le genti, e allora verrà la fine” (vs.13-14 enfasi aggiunta). Nell’ultimo giorno Gesù ritornerà nelle nubi della gloria a “raccogliere i suoi eletti” da tutta la terra e a giudicare i vivi e i morti. (vs.29-31). (66).
Ci sono molti problemi con questo paragrafo, così tanti che una breve sezione in un articolo può a malapena tentare di fargli giustizia (e merita un sacco di giustizia, credetemi). Gary DeMar ha già fatto un’analisi critica di questa prospettiva come Horton l’ha espressa nella sua recente teologia sistematica. La stessa critica si applica qui.
Horton farebbe bene a sedersi e realmente fare un’esegesi di Matteo 24. Dovrebbe poi pubblicarlo. Oltre alla strozzatura di tale studio biblico verso per verso, Horton è capace di imporre le proprie categorie teologiche su parte del testo, mentre ignora completamente altre parti. Qui c’è un’abbreviata lista di problemi col modo di trattare questo passo da parte di Horton:
Horton dice che “In Matteo 24, … Gesù insegnò che verrà sulle nuvole di gloria con tutti i suoi eletti”. In nessun posto nel capitolo Gesù dice che ritornerà in gloria con tutti i suoi eletti. Se lo avesse fatto, ciò implicherebbe che quando Gesù ritorna, avrebbe già raccolto tutti i suoi eletti per poter ritornare con loro. Horton stesso refuta questa prospettiva quanto più tardi dice che “Gesù ritornerà sulle nubi della gloria per ‘raccogliere i suoi eletti’”. Questo è ciò che il capitolo dice realmente.
Avrebbe anche due effetti che metterebbero in discussione la sua teologia. Primo, significherebbe che il versetto principale a cui sta cercando di appellarsi per la sola predicazione del vangelo finché Cristo ritorna (vs. 13-14) furono anche adempiuti nel primo secolo (e perciò non la sola enfasi di un periodo di intermissione prima del ritorno di Cristo). Secondo, lo costringerebbe a vedere una distinzione tra “l’età presente” e “l’età a venire” in modo diverso. Questi due sono correlati.
Primo, si consideri il verso principale a cui Horton sta conducendo: “E questo evangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo in testimonianza a tutte le genti, e allora verrà la fine” (Matteo 24:14). Il punto che Horton desidera fare qui è che dobbiamo continuare a predicare l’evangelo fino a che lo portiamo ad ogni angolo della terra; allora, solo allora, Gesù ritornerà. Poiché il vangelo non è stato predicato al mondo intero come noi lo vediamo, la fine è ancora nel nostro futuro. Ma la “fine” cui è fatto qui riferimento non è la fine del mondo, è la fine dell’epoca del vecchio patto. E questo compito particolare (dato ai discepoli) di portare il vangelo a “tutto il mondo” si riferisce al far giungere il messaggio all’intero mondo abitato di quel tempo. Anche questo fu adempiuto nel primo secolo, e Paolo lo dice esplicitamente diverse volte (Rom. 1:8; 10:18; 16:26; Col. 1:5-6, 23; 1Tim. 3:16). Paolo parla della predicazione del vangelo a “tutte le nazioni” come di una realtà passata:
Or a colui che vi può raffermare secondo il mio evangelo e la predicazione di Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero celato per molti secoli addietro, e ora manifestato e rivelato fra tutte le genti mediante le Scritture profetiche, secondo il comandamento dell’eterno Dio, per indurli all’ubbidienza della fede….(Rom.16:25-26).
Ancora, Gary De Mar ha già trattato questa questione in maggior dettaglio.
L’affermazione di Paolo che il vangelo aveva già raggiunto “tutte le nazioni”, “ogni creatura”, “tutto il mondo” pone Matteo 24:14 nel contesto del primo secolo, e non in uno futuro per noi. C’è coerenza tra i passaggi. C’è coerenza anche tra la trattazione che fanno delle parole “questa età” e “l’età a venire”. Scrivendo da una prospettiva precedente la distruzione di Gerusalemme e nel contesto della predizione della sua distruzione da parte di Gesù, la domanda degli apostoli circa “la fine dell’età presente” (Matteo 24:3) fa chiaramente riferimento a quella predizione; fu la predizione di Gesù, infatti, a provocare la domanda. La distruzione del tempio del Vecchio Patto avrebbe segnato la chiusura dell’epoca del vecchio patto. Matteo 24 parla delle cose che avrebbero condotto a quella chiusura.
Ho scritto in modo più esteso su questo argomento in un precedente articolo. Sarà sufficiente dire che Gesù, Paolo, e lo scrittore di Ebrei tutti confermano che la divisione delle età avviene con la comparsa di Cristo e la scomparsa del tempio del vecchio patto. La sola “intermissione”, – o più propriamente sovrapposizione – tra queste epoche si ha durante la generazione tra l’ascensione di Gesù al suo ritorno in giudizio nel 70 d.C. . Ecco parte di ciò che ho scrittoprecedentemente:
Questo discernimento delle due epoche avviene anche nell’insegnamento di Paolo. Per esempio, Gesù è il Re asceso e regnante: “al di sopra di ogni principato, potestà, potenza, signoria e di ogni nome che si nomina non solo in questa età, ma anche in quella futura” (Ef. 1:21). Egli poi applica queste due età al salvataggio del credente dallo spirito dell’età:
Egli ha vivificato anche voi, che eravate morti nei falli e nei peccati, nei quali già camminaste, seguendo il corso [aion] di questo mondo, secondo il principe della potestà dell’aria, dello spirito che al presente opera nei figli della disubbidienza … Ma Dio, che è ricco in misericordia per il suo grande amore con il quale ci ha amati, anche quando eravamo morti nei falli, ci ha vivificati con Cristo (voi siete salvati per grazia), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nei luoghi celesti in Cristo Gesù, per mostrare nelle età che verranno le eccellenti ricchezze della sua grazia con benignità verso di noi in Cristo Gesù (Ef. 2:1-7).
Paolo molto chiaramente vide le stesse due età che Gesù intendeva. Un’età stava operando correntemente quando egli stava scrivendo, e un’altra età avrebbe dominato il futuro. La domanda quindi è: quando avviene il passaggio tra queste due età?
Paolo indica molto chiaramente che un passaggio stava avvenendo mentre egli scriveva, e di fatto la vecchia età (che possiamo chiamare l’età del Vecchio Testamento) stava giungendo alla fine mentre egli scriveva. In Efesini 3: 1-8, egli rileva la causa del cambiamento. Egli dice che gli era stata data la grazia di predicare l’evangelo ai gentili:
Di manifestare a tutti la partecipazione del mistero che dalle piú antiche età è stato nascosto in Dio, il quale ha creato tutte le cose per mezzo di Gesù Cristo; affinché, per mezzo della chiesa, nel tempo presente sia manifestata ai principati e alle potestà, nei luoghi celesti, la multiforme sapienza di Dio, secondo il proponimento eterno che egli attuò in Cristo Gesú, nostro Signore.
Rilevando la causa del cambiamento ne stabilisce anche il tempo. Dio ha tenuto la rivelazione del vangelo nascosta per antiche età, dice l’apostolo, ma nel tempo presente (mentre scriveva) l’ha manifestata. In altre parole la venuta di Cristo e l’opera di Cristo ha causato l’inizio di un cambiamento di epoche.
Paolo ripete questo stesso insegnamento in Colossesi 1. Egli spiega il proprio ministero come il presentare pienamente la parola di Dio: “il mistero che è stato tenuto nascosto per secoli e generazioni, ma che ora è stato manifestato ai suoi santi” (Col. 1:26). È chiaro, quindi, che un cambiamento vitale nella provvidenza di Dio sulle età ha avuto luogo con la venuta di Cristo.
Ma “questa età” di Paolo e di Gesù stava realmente giungendo alla fine quando Paolo stava scrivendo, o sarà essa ancora nel nostro futuro? Paolo chiarifica pure questo, in 1 corinzi 10. Dopo aver elencato diverse storie dall’Esodo, Paolo insegna: “Or tutte queste cose avvennero loro come esempio, e sono scritte per nostro avvertimento, per noi, che ci troviamo alla fine delle età” (1Co. 10:11). È chiaro da questo passo che Paolo vedeva se stesso alla fine di un’età, un’età tipizzata dal giudizio su un popolo disobbediente.
L’autore di Ebrei usa un’espressione simile in relazione all’opera di Cristo: “… ma ora, una sola volta, alla fine delle età, Cristo è stato manifestato per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso”. È chiaro che la fine di quell’antico periodo giunse in congiunzione con la crocefissione di Cristo.
Così, dall’insegnamento di Gesù, di Paolo, e dell’autore di Ebrei, otteniamo un quadro molto chiaro di due età principali: una che durò fino al tempo di Cristo, ed un’altra che cominciò intorno allo stesso periodo. Io credo che questi due periodi, essendo incernierati sulla venuta e sull’opera di Cristo, appartengono ovviamente all’amministrazione del Vecchio e del Nuovo Patto. Di fatto lo scrittore di Ebrei stesso li mette in questa relazione. Egli dice che il Nuovo Patto rende il Vecchio obsoleto: “or quello che diventa antico ed invecchia, è vicino a sparire”. (Eb. 8:13). Si noti, il Nuovo testamento aveva di fatto reso il vecchio definitivamente obsoleto. Ma mentre egli scriveva, al suo tempo, il Vecchio stava diventando vecchio ed era pronto a sparire. Non era ancora stato completamente spazzato via, ma era certamente al momento della sua morte.
Horton ha bisogno seriamente di trattare con l’esegesi di questi passaggi interrelati prima di presentare una teoria controversa della missione e dell’evangelismo, senza menzionare una teologia sistematica. Per quanto ho visto sin qui, non ha mai fatto alcuna esegesi dettagliata delle Scritture, ma impone piuttosto una teoria sulle Scritture, in disprezzo delle Scritture.
I Cristiani Sono Pellegrini in Esilio?
Probabilmente niente è cosi rammaricante come il modo in cui Horton sviluppa la sua non-esegesi in una teologia dell’esilio per i cristiani. Egli ama in modo particolare citare Geremia 29: 4-7 come modello per la chiesa oggi:
Cosí dice l’Eterno degli eserciti, il DIO d’Israele, a tutti i deportati che io ho fatto condurre in cattività da Gerusalemme a Babilonia: Costruite case e abitatele, piantate giardini e mangiate i loro frutti. Prendete mogli e generate figli e figlie; prendete mogli per i vostri figli e date le vostre figlie a marito, perché generino figli e figlie e perché là moltiplichiate e non diminuiate. Cercate il bene della città dove vi ho fatti condurre in cattività e pregate l’Eterno per essa, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere.
Dopo aver citato questo nel suo libro, Horton aggiunge che “questa è precisamente la situazione della chiesa del nuovo patto nel suo esilio” (64). Questo stesso concetto compare alla conclusione del suo libro, solo che questa volta egli lo trae da Ebrei:
Attraverso tutto il Nuovo Testamento, Gesù colloca i suoi discepoli in quella precaria intersezione tra questa presente età malvagia e l’età a venire. Questo è il motivo per cui gli apostoli si rivolgono a noi come “pellegrini ed esuli” (Eb. 11:13), come i Giudei a Babilonia piuttosto che nella teocrazia del vecchio patto. (300)
Ma ci sono diversi problemi con questo concetto. Primo, si noti che l’ “esilio” è una categoria teologica di giudizio. L’esilio è per persone che hanno disobbedito Dio e che sono state da lui giudicate per questo. Così furono Adamo ed Eva fuori dal giardino, e i ribelli Israeliti a Babilonia. Questa è una posizione di punizione e di separazione da Dio per aver trasgredito la sua legge. Quindi Horton vorrebbe dire che la chiesa oggi – gli eletti di Dio, lavati nel sangue di Gesù, presentati come una sposa senza macchia, per la quale Gesù continuamente intercede – sta vivendo nella punizione e nel giudizio a causa di ribellione? Horton dice che è “precisamente” così. Ma questo rende chiaro che egli non ha realmente elaborato il sangue di Cristo dentro la propria teologia, e neppure la giustizia (sinlessness) imputata dei santi di Dio.
E questo concetto gettala GrandeCommissionein un grande imbarazzo. Ciò significa che Gesù ha “ogni potestà in cielo e sulla terra” eppure ha scelto di esercitare quella potestà per punire i suoi eletti. E peggio ancora, mentre li sta punendo, ha comandato loro di insegnare l’obbedienza alle nazioni. “Ascoltate voi re della terra. È ora di sottomettersi a Re Gesù, cosicché possiate entrare in una vita di punizione”.
La teologia Hortoniana dell’esilio dei cristiani rovescia sottosopra le promesse di Dio. I pagani ereditano la terra e i cristiani sono puniti per essere eletti.
Secondo, Horton applica per questo scopo Ebrei 11:13, ma sta chiaramente sbagliando. Cita questo versetto per poter argomentare che “gli apostoli si rivolgono a noi come ‘stranieri ed esuli’”. Ma sta apertamente alterando nuovamente il testo delle scritture . Nemmeno il testo stesso si riferisce a “noi” – ne all’autore o i suoi ascoltatori, a noi cristiani oggi – ma piuttosto esplicitamente si riferisce ai santi del vecchio Testamento prima della venuta di Gesù. Dopo aver elencato le gesta di fede di Abele, Enoch, Noè, Abramo e Sara (nel famoso appello dei fedeli di Ebrei 11), il testo dice: “Tutti costoro sono morti nella fede, senza aver ricevuto le cose promesse ma, vedutele da lontano, essi ne furono persuasi e le accolsero con gioia, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra (Eb. 11:13). Di certo non dice “noi” ma specificamente “essi furono stranieri e pellegrini”. Questo concetto di pellegrino è applicabile solo ai quei santi nelle loro peregrinazioni prima che Gesù comparisse.
Quando l’argomento della fede e del peregrinare di Ebrei 11 finalmente si rivolge a noi esso rileva un completo cambiamento di statuto. Mentre tutti questi pellegrini del Vecchio Testamento morirono e “non ottennero ciò che era stato promesso”, i credenti del Nuovo Testamento sono diversi; “perché Dio aveva in vista per noi qualcosa di meglio” (Eb. 11:40). Quindi, noi siamo categoricamente non come loro. Noi siamo in una posizione migliore della loro. Il regno promesso è realmente venuto, a noi esso è dato. Non siamo esuli, pellegrini che attendono di ricevere la promessa. Di fatto, l’autore dice ai giudei credenti del primo secolo proprio nel capitolo successivo, in continuazione dell’argomento di Ebrei 11: “ma voi siete venuti al monte di Sion” (Eb. 12:22) Non erano più pellegrini; erano arrivati!
Questo versetto dell’arrivo è molto importante. Horton fa riferimento ai cristiani come a pellegrini. Egli nega che siamo arrivati, o lo sminuisce in tutti i modi possibili. Egli fa continuamente riferimento a Sion come una destinazione futura: la “via verso Sion”, “questo viaggio verso Sion”, “marciare verso Sion”. Ma Ebrei dice con assoluta chiarezza ai credenti del Nuovo Testamento: “ma voi siete venuti al monte di Sion”. Questo ‘siate venuti’ è nel tempo passato. Horton non dice nulla su questo verso, eppure è l’apoteosi dell’argomento che l’autore ha cominciato in Ebrei 11.
Realmente, Paolo ne fa una questione di assicurare i credenti gentili del fatto che sono arrivati al Nuovo Tempio, e che ora sono, quali credenti in Cristo, esplicitamente non stranieri e pellegrini (Ef. 2:19, cf. 2:11-22). Horton non ha incorporato questo fattore dentro la sua religione di esiliati, forse perché negherebbe l’intera cosa.
Terzo, Horton non è coerente col suo trattamento dei testi dell’Antico testamento. In genere, egli nega che il cristiano debba applicare passi del Vecchio Testamento al presente. Egli fa una radicale distinzione tra di loro e biasima l’errore di “Confondere il regno di grazia di Cristo con la teocrazia del Sinai” (72). Poichè siamo pellegrini che si trascinano lungo il “sentiero verso Sion”, non dovremmo ingaggiarci in alcun attività di edificazione del regno – solo bighellonare lungo la via, attendere il momento opportuno, poiché noi non siamo di qui. In questa intermissione – esilio – non ci può essere riforma o rinnovamento nella società, perciò non dovremmo mai “invocare le storie di conquista e le leggi civili date al Sinai”, poiché esse non si possono applicare al questo tempo e luogo. Furono date, dice Horton. “unicamente ed esclusivamente al vecchio Israele quale nazione santa di Dio” (71). Prenderle in considerazione sarebbe per i cristiani commettere i cosiddetti errori della cristianità medievale quando cristiani fuorviati “tolsero questi passaggi dal loro contesto e li applicarono ai loro propri regimi” (86). Quest’errore viene commesso oggi quando “Protestanti negli Stati Uniti invocano promesse come 2 Cronache 7:14 ogni 4 Luglio come se fossero applicabili all’America” (86).
Però, a dispetto che le storie di conquiste e le leggi dell’Antico Testamento siano state date solamente al vecchio Israele. Horton, come abbiamo già visto, si permette di applicare Geremia 29 “precisamente” alla chiesa oggi. Dunque, dei due, quale? O la vecchia legge è applicabile oggi o non lo è. Dopo tutto cosa stavano facendo i profeti come Geremia? Stavano applicando direttamente le sanzioni legali veterotestamentarie di Dio alla situazione dell’Israele di quel tempo. Così le promesse veterotestamentarie di Dio come espresse attraverso 2 Cronache 7 non sono applicabili oggi, ma esattamente quello stesso complesso di leggi espresso per mezzo di Geremia lo è? Horton dunque permette l’applicazione del Sinai quando parla di esilio, ma non quando parla di rinnovamento o di trionfo in terra per la chiesa. Horton possiede un ambiguo doppio criterio – uno che sopprime la chiesa sotto il tacco della cultura pagana come punizione divina indicata nei profeti, e allo stesso tempo rifiuta di permettere alla chiesa di presentare la legge di Dio alla società quale luce splendente della sua gloria.
In aggiunta a queste questioni, c’è un altro passo rilevante in cui questo tema del “pellegrinaggio” compare nel Nuovo Testamento. Horton si appella a 1 Pietro come reminescenza di Geremia 29 (Pag. 307):
Perciò, avendo cinti i lombi della vostra mente, siate vigilanti, e riponete piena speranza nella grazia che vi sarà conferita nella rivelazione di Gesú Cristo. Come figli ubbidienti, non conformatevi alle concupiscenze del tempo passato, quando eravate nell’ignoranza, ma come colui che vi ha chiamati è santo, voi pure siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: «Siate santi, perché io sono santo».
E se invocate come Padre colui che senza favoritismi di persona giudica secondo l’opera di ciascuno, conducetevi con timore per tutto il tempo del vostro pellegrinaggio, sapendo che non con cose corruttibili, come argento od oro, siete stati riscattati dal vostro vano modo di vivere tramandatovi dai padri, ma col prezioso sangue di Cristo, come di Agnello senza difetto e senza macchia, preconosciuto prima della fondazione del mondo, ma manifestato negli ultimi tempi per voi, che per mezzo di lui credete in Dio che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, affinché la vostra fede e speranza fossero in Dio (1 Pi. 1:13-21).
Horton sembra pensare che questo riferimento al “tempo del vostro pellegrinaggio” sia rivolto a tutti i cristiani in ogni tempo e luogo, e che quindi sostenga il suo concetto di predicazione di un vangelo per sole anime mentre si conducono vite tranquille dentro ad una dominazione pagana. Ma ha trascurato alcune cose:
Primo, a chi stava scrivendo Pietro? Il contesto immediato della lettera non è tutti i cristiani in ogni tempo e luogo, “ma agli eletti che risiedono come stranieri, dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia” (1 Pi. 1:1). Pietro stava scrivendo a Giudei credenti del primo secolo letteralmente sparsi nelle nazioni pagane. I ricettori erano dunque:
Secondo, si noti che Pietro incoraggia questi nuovi Giudei convertiti ad agire alla luce delle loro nuove credenze a rigettare il modo di vivere che tanto per cominciare aveva portato i loro padri in esilio. Egli scrive: “siete stati riscattati dal vostro vano modo di vivere tramandatovi dai padri” (1:18). In altre parole, non sono pellegrini (esuli) in alcun senso spirituale o escatologico, solo in relazione al loro stato quale vestigia del giudizio del vecchio patto – ma ora sono stati liberati dalla maledizione dei loro antenati.
Terzo, le istruzioni date loro da Pietro hanno un preciso contesto precedente il 70d.C. (assieme a tutta l’epistola). Il suo riferimento alla “rivelazione di Cristo” (1:3,13) e agli “ultimi tempi” (1:20) conferma che lo statuto di “pellegrini” era valido per questi credenti Giudei solo fino a che ancora vivevano prima della distruzione del tempio. Nella prima frase, Pietro conforta questi credenti Giudei (1:5-9) perseguitati assicurandoli del fatto che essi, quali eletti: “che dalla potenza di Dio mediante la fede siete custoditi, per la salvezza che sarà prontamente rivelata negli ultimi tempi” (1:5). Pietro li sollecitò in questo modo: “Perciò, avendo cinti i lombi della vostra mente, siate vigilanti, e riponete piena speranza nella grazia che vi sarà conferita nella rivelazione di Gesú Cristo” (1:13). Queste promesse sono date direttamente a Giudei del primo secolo. Pietro dice: “vi”, non a tutti i cristiani ovunque, e certamente non a distanza di 2000 anni. Perciò gli “ultimi tempi” e “la rivelazione di Gesù Cristo” di qui si parla qui non sono la fine del mondo, ma piuttosto il ritorno di Gesù in giudizio su Gerusalemme. Questo è coerente, inoltre, con la dichiarazione di Pietro che gli “ultimi tempi” ebbero inizio quando Cristo fu “manifestato” (1:20) – non nel lontano futuro.
Pietro ribadisce le raccomandazioni ai “pellegrini” in 1 Pietro 2.11-12:
Carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervi dai desideri della carne che guerreggiano contro l’anima. Comportatevi bene fra i gentili affinché, là dove vi accusano di essere dei malfattori, a motivo delle buone opere che osservano in voi, possano glorificare Dio nel giorno della visitazione.
La stessa questione dei destinatari è valida qui. Ma si noti la dimensione aggiunta di un tema escatologico preciso: “il giorno della visitazione”. Altrove, nel Nuovo testamento questa frase si riferisce direttamente alla distruzione di Gerusalemme (Luca 19:41-44). Ho scritto a questo riguardo estensivamente anche altrove, qui e qui. Poiché Pietro non offre alcuna qualificazione o spiegazione della frase, dovremmo assumere che “il giorno della visitazione” fosse parte del loro vocabolario comune e che quindi molto probabilmente riguardasse un evento che essi si aspettavano avvenisse presto. È chiaro, quindi, che questa è la stessa “visitazione” che Gesù aveva menzionato in precedenza: l’impendente distruzione di Gerusalemme.
Ma perché i credenti Giudei della diaspora avrebbero dovuto essere in ansia o aver bisogno di istruzioni riguardo alla loro condizione di pellegrini alla luce dell’imminente distruzione di Gerusalemme? Poiché una volta che fosse diventato pubblico dominio che i Giudei avevano ingaggiato un’insurrezione a Gerusalemme, e che Roma aveva risposto con la forza imperiale, i Giudei avrebbero potuto molto probabilmente diventare un’odiata classe di persone – una classe altamente ridicolizzata e perseguitata – in tutto l’Impero Romano. Giacomo stava istruendo questi Giudei Cristiani a come separarsi in qualità di Cristiani dai meri Giudei: dovevano vivere vite così pubblicamente senza macchia talchè nessun non credente potesse trovare alcuna causa per accusarli di alcunché ma di bontà. Infatti, a dispetto di qualunque cosa gli altri Giudei potessero essere accusati, i pagani dovevano vedere una differenza visibile in quelli che erano divenuti cristiani – così tanto che non solo i pagani non avrebbero potuto portare contro di loro alcuna accusa, ma avrebbero di fatto “glorificato Dio” a motivo delle loro buone opere.
La minaccia della persecuzione sarebbe stata reale in modo particolare in situazioni pubbliche, nelle quali le persone del luogo avrebbero desiderato enfatizzare “noi non siamo loro” o” noi non tolleriamo lerci Giudei” in situazioni ove tale comportamento li avrebbe distinti come leali all’Impero. Così, Pietro immediatamente istruisce i destinatari della sua lettera a farsi notare nella loro obbedienza alla legge (non a spese degli altri, naturalmente): “Sottomettetevi dunque per amore del Signore ad ogni autorità costituita: sia al re come al sovrano, sia ai governatori, come mandati da lui per punire i malfattori e per lodare quelli che fanno il bene” (1 Pt. 2:13-14). Questa regola, come sempre, non sarebbe stata applicabile a leggi che richiedessero al credente di rigettare Cristo o di peccare (Atti 5:29). L’enfasi, qui, è sulla natura pubblica e legale delle istruzioni che Pietro sta dando. Il punto era di avere una reputazione pubblica immacolata.
Così, mentre il Giudaismo del Vecchio Patto era in corso di distruzione, i credenti giudei erano istruiti a vincere il cuori del loro prossimo pagano con buone opere. Quindi, – ironicamente, se paragonate alle vedute di Horton – l’adempimento cristiano del Grande Comandamento (“buone opere”) avrebbe a sua volta adempiutola Grande Commissione nel far si che i Gentili glorificassero Dio. E i credenti Giudei non avevano nulla da temere perché, quali eletti di Dio, sarebbero stati protetti quando fosse venuto il giorno della rivelazione di Cristo.
Inattività Santificata
In breve, il punto di vista di Horton è pugnacemente amilleniale. Dice che non dovremo aspettarci progresso culturale (in nessun senso) nella storia con l’avanzamento del vangelo, e che è contrario al vangelo impegnarvisi.
Il bene ed il male rimarranno piuttosto equilibrati attraverso questo periodo. Ma c’è sempre una forzatura negativa con l’amillenialismo che raramente viene apertamente dichiarata: nel presunto equilibrio della lotta tra bene e male, è sempre il male a governare nella sfera pubblica “secolare”. Mentre i cristiani possono prender parte ai processi, alle teorie, al voto e perfino alle cariche pubbliche, le leggi ed i sistemi stessi non possono essere mai fatti cristiani in nessun modo. Saranno sempre opposti (non solo neutrali) al vangelo perché sono al suo esterno.
Le persone che sostengono questo punto di vista amano parlare del “già” e “non ancora” del regno. Ci sono alcune cose del regno di Dio che sono già una realtà presente, ma altre non sono ancora avvenute. Il problema è che anche i postmillennialisti comunque credono questo. La differenza sta in ciò che esattamente, ciascuna parte crede appartenere a ciascuna categoria, e, ancor più importante, la natura dell’avanzamento dall’uno all’altro.
Amillennialisti del genere di Horton credono che solo la redenzione in Cristo stesso sia già realizzata, e questo solo in un aspetto della giustificazione, e in un limitato aspetto della santificazione. La pienezza del suo regno ancora non è, e non c’è progresso o crescita verso di esso. Culturalmente e socialmente parlando è in un limbo statico, in attesa del ritorno di Cristo. Nel frattempo, gli elementi della predicazione del “vangelo” della salvezza individuale e dei sacramenti sono già qui, e compongono l’opera della chiesa. Questo è tutto ciò che la chiesa dovrebbe fare, perché le parti del regno “non ancora” non arriveranno fino all’ultimo giorno quando Cristo ritorna. L’avanzamento del regno nel frattempo si attiene solo alla salvezza delle anime. Mentre c’è qui, molto di più da discutere, il punto che desidero sottolineare è l’implemento dell’inazione nella maggior parte delle aree di vita. Non dovremmo darci troppo da fare al fine di far avanzare il regno prima che Cristo ritorni.
(Un corollario a questa opinione è che sembra che Cristo debba essere fisicamente presente perché la cultura sia trasformata. Per qualche ragione, mentre può salvare anime a volontà, Egli è o incapace o non vuole redimere la società da un trono distante).
La maggior parte dei postmillennialisti oggi, però, vedono un elemento progressivo nella crescita del regno. Ciò che è “non ancora” gradualmente diventa realtà mentre il regno avanza e le nazioni di questo mondo non solo sono fatte discepoli, ma sono istruite ad obbedire gli insegnamenti di Cristo. Nella società questo ha un affetto positivo che riflette l’energia vitale che Dio da ai suoi eletti e che lo glorifica. È anche coerente con le Scritture: le società pagane sono frantumate dalla pietra tagliata senza mano d’uomo (Dan. 2: 34-35), e la pietra cresce a diventare un monte che riempie tutta la terra. Gesù riceve un regno che è sempiterno, e i suoi santi prenderanno quel regno e lo possederanno per sempre (Da. 7:9-16). Cristo siede assiso sul trono come Re ora (Atti 2:33-36; Eb. 1:3,13; Ef. 1:20-22), ed Egli regneràfinchè i suoi nemici non siano lo sgabello dei suoi piedi (1Co. 15.24-25). Nel frattempo, Egli regna aspettando che i suoi nemici siano posti a sgabello dei suoi piedi (Eb. 10:13). I suoi servitori non sono di passaggio come pellegrini in esilio, sono sacerdoti e re che hanno una parte con Lui nel possesso del regno e nel suo regno di esso. Di fatto, essi sono seduti con Lui sul suo trono celeste (Ef. 2. 6-7). Questo, tutto, indica una crescita progressiva del regno, sulla terra, fino al ritorno di Cristo, e che Egli non tornerà finchè i suoi nemici non siano sconfitti.
(Un corollario di questa opinione è che Cristo è altrettanto capace di effettuare cambiamenti sociali terreni dal suo trono celeste quanto lo è di salvare anime o di essere in comunione con noi da quella posizione. Egli non è limitato: “Ecco, io sono con voi sempre…” Eppure sarebbe asceso al cielo per questo periodo.)
Non c’è elemento progressivo di crescita per Horton, eccetto nella salvezza di anime. Ed egli non crede che tutti i nemici di Cristo saranno sconfitti prima che ritorni, come dicela Scrittura.Assumerloè essere uno zelota o un teocrate (86). Applicare la legge biblica alla società, agli affari, all’etica ecc., è confondere legge e vangelo, grazia con teocrazia, fede con opere, e quindi ingaggiarsi in futilità e peccato. È meglio, quindi, evitare ogni tentativo di riformare la cultura, di cambiare legislazioni corrotte ecc.La Grande Commissione è ridotta all’annuncio del perdono, e basta. “Il Regno di Dio nella sua fase attuale è semplicemente l’annuncio del perdono dei peccati, e, su questo fondamento, l’ingresso nella nuova creazione” (72).
Non operate per il cambiamento; non dite che spade dovrebbero essere forgiate in vomeri e in falci; non richiedete che i re della terra “bacino il figlio”, non fermate la strage degli innocenti; non chiedete che la chiesa di nuovo si prenda cura dei suoi poveri e dei suoi anziani cosa che ha abdicato alla tassazione e alla coercizione dello stato; non chiedete giustizia su stupratori e assassini nella società; non prendetevi le responsabilità sull’istruzione e sul curriculum educativo dei vostri figli; non esigete una fine al diritto divino dello stato di confiscare e ridistribuire la vostra ricchezza e la vostra proprietà; non chiedete giusti pesi e giuste misure; non richiedete rigorosa responsabilità; non mettete in piedi corti di giustizia private operate da cristiani. Non fatelo. Queste cose non hanno niente a che vedere con il Regno di Dio o con l’insegnare alle nazioni di osservare tutti gli insegnamenti di Cristo. Niente.
Invece, il regno di Dio è la chiesa la domenica, e tenere la bocca chiusa riguardo alla legge di Dio come esiliati in mezzo a pagani benefattori.
Come ho detto spesso, la teologia “due regni, due leggi” è una dottrina messa insieme da teologi pigri per cristiani pigri. In rapporto alla teoria sociale cristiana il ritornello tematico di Horton “pellegrini in esilio” è la lussuosa poltrona del nonno con incluso sistema di massaggio e reggi vivande. È la cosa giusta per aiutarti a dimenticare che in realtà sei un esiliato che vive sotto dominazione pagana. Poi spinge in alto i piedi e abbandona la cultura per Cristo. Dice: “Non posso aver nessun effetto per Cristo sulla società, sulla legge, sull’economia o sul sistema bancario, quindi non vale neppure la pena provare. Di fatto, è un peccato provare, quindi, eviterò la riforma cristiana della società come se nel settore pubblico il nome di Cristo fosse una maledizione. Non Lo confesserò davanti agli uomini nella sfera pubblica. Declino e reclino dalla teoria sociale”. Per Horton, questo reclinare fornisce considerabile sollievo personale:
È di fatto un grande sollievo imparare che non siamo chiamati a redimere il mondo o a trasformarlo. Siamo resi liberi di proclamare il vangelo quando sappiamo che stiamo ricevendo un regno che non può essere scosso. E siamo di fatto resi liberi di amare e di servire il nostro prossimo quando sappiamo che Dio trasformerà i regni di questa età quando Cristo ritornerà sulla terra. (244)
Questa non èla GrandeCommissione.Èla GrandeOmissione.Omette la parte in cui Cristo ordina di insegnare alle nazioni di obbedirgli. Horton vuole che amiamo il nostro prossimo, ma non ci dice mai cosa sia l’amore. L’amore è il sacrificio di se stessi come definito dalla disciplina della legge di Dio. C’è un’intima connessione tra l’amore e la legge. Nella maggior parte dei casi, nella società moderna, per poter amare il prossimo secondo la legge di Dio, bisognerebbe rimuovere gli impedimenti di coercizione e di corruzione trincerati nello stato del welfare e del warfare. Contrariamente a quanto afferma Horton, il vangelo richiede forte e chiaro che le strozzature della società e della cultura siano trasformate. Altrimenti è impossibile che l’amore per il prossimo fiorisca in uno stato moderno.
La teologia di Horton condannerebbe tale libertà. Richiede l’inazione nelle questioni pubbliche, quantomeno nel nome di Cristo. La sua Gospel Commission è una teologia di santificata inazione – di indolenza cristiana. Non fa altro che mantenere il posto di lavoro di tiranni e di teologi dei due regni.
E questo, Horton chiama “un [im]pegno onnicomprensivo da Dio per il totale rinnovamento della creazione”.
Un giorno. Per ora porta pazienza. Ci vediamo domenica, giusto?
Note
1 Michael Horton: The Gospel Coomission: Recovering God’s Strategy for Making Disciples, Grand Rapids, MI: Backer Books, 2011, p. 32. [↩ ]