Guida divina per la comprensione del libro dell’Apocalisse – Parte 12
Di Phillip G. Kayser, sermone del 16/08/015
Parte della serie “Progetto Apocalisse”
Nel sermone di oggi vedremo come Giovanni condivida l’esperienza della “tribolazione” con i santi delle sette chiese. Tratteremo, inoltre, della maggior parte delle controversie legate alla grande tribolazione e alla grande ira e, facendo ciò, stabiliremo anche una filosofia biblica utile ad affrontare la sofferenza per il tramite della grazia del Signore Gesù Cristo.
Leggiamo Apocalisse 1, versi da 9 a 11:
9 Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione e nel regno e nella costanza in Cristo Gesù, ero nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù Cristo. 10 Mi trovai nello Spirito nel giorno del Signore e udii dietro a me una voce, forte come una tromba, 11 che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea»[1].
Introduzione
A questo punto mi piace immaginare come forse già alcuni di voi abbiano iniziato a leggere con profitto il libro dell’Apocalisse attraverso le lenti ermeneutiche dei principi esaminati finora.
Il versetto 9 ci presenta tre nuove indicazioni fornendoci allo stesso tempo anche una sana filosofia di vita, con un focus speciale sulla sofferenza del cristiano. Di Giovanni vien detto essere un compagno in tre cose: nella tribolazione, nel regno e nella costanza. Queste tre cose sono strettamente collegate l’una all’altra, ma stavolta avremo modo di soffermarci solamente sulla prima.
Purtroppo, ci sono molti cristiani che scardinano l’unità di questi tre elementi o, all’estremo opposto, cercano di abbracciare queste tre cose senza il potere consolidante di quel “in Gesù Cristo”, con il quale vediamo terminare la proposizione. Giovanni partecipò alla tribolazione, al regno e alla costanza in Cristo Gesù. Soltanto la grazia di Cristo gli permise, in quanto compagno, di partecipare in queste tre cose unitamente ai santi delle Chiese. Ma tornando al primo estremo, ci sono molti cristiani moderni che vedono il regno come qualcosa che rifiuta completamente l’idea di tribolazione o di costanza: pensano che siano concetti che si escludono a vicenda. Inoltre, vedono il regno come un qualcosa che porta avanti esclusivamente Cristo, non qualcosa al quale per grazia di Dio contribuiscono i santi. Per di più, mancano di intendere l’attuale opposizione di Satana a Cristo come un’ostile resistenza al regno; la considerano, invece, come una prova di un regno che semplicemente ancora non c’è.
Ma il commentario di Beale all’Apocalisse mette in evidenza come il testo greco presenti un unico articolo seguito dalle tre parole in una speciale forma grammaticale detta “caso dativo”. Tale formulazione lascia intendere come tribolazione, regno e costanza appaiano nel testo come un’unità di pensiero. Oltre a ciò, capiamo pure come i santi del I secolo dovettero impegnarsi in tutt’e tre queste cose, e come ogni parola serva ad interpretare le altre due[2]. E anche se il verso si riferisce al I secolo, presenta un’applicabilità che si estende ben oltre il tempo del pubblico originale offrendoci, in tal modo, una filosofia generale di vita utile e spendibile per le sfide del nostro presente. Se in quanto cristiani ci arrendiamo ad ogni minima opposizione e difficoltà, allora manchiamo di una visione veracemente biblica del regno. L’opposizione e la persecuzione richiedono costanza e perseveranza. E badate bene: se Satana non vi si oppone, è improbabile che voi vi stiate opponendo a Satana. Queste tre parole sono strettamente intrecciate l’una con l’altra rappresentando un filo conduttore importante per quel che riguarda i temi centrali del libro. E son convinto di come debbano oggi assolutamente continuare a caratterizzare la testimonianza di ogni credente.
In alcuni ambienti è cosa normale pensare che i cristiani non attraverseranno la grande tribolazione e che sia la tribolazione che l’inaugurazione del regno siano da vedere come eventi giacenti ancora nel futuro. E, stando le cose in tal modo, l’applicazione della costanza finisce per essere un qualcosa di addirittura opzionale. E non è solo una fede infiacchita dalla carnalità a rifiutare l’imperativo della perseveranza. Anche il cosiddetto “vangelo della prosperità” (che in realtà è un falso vangelo) porta a latitare in questo senso favorendo un cristianesimo smidollato che, nonostante i milioni di dollari spesi in programmi ecclesiali d’ogni sorta, sembra avere un impatto nullo sulla cultura.
E c’è da dire come, in realtà, l’idea che i cristiani non siano destinati a passare attraverso tempi di tribolazione e sofferenza sia solo una strana invenzione americana. Insomma, come potrebbero mai giungere ad una tale convinzione i cristiani nordcoreani, ad esempio, i quali ancora oggi soffrono sotto l’oppressione di un’efferata dittatura. Sarebbe stato difficile vendere la teoria del rapimento pretribolazionista ai cristiani reduci dall’orrore del genocidio armeno, dei gulag sovietici, della Grande Carestia ucraina e del massacro di Pol Pot in Cambogia. Tanti credenti hanno dovuto e continuano a dover vivere sulla propria pelle gli orrori della tribolazione. Certo, non la “grande tribolazione” del I secolo, come ci apprestiamo a vedere, ma comunque una terribile tribolazione.
Quindi, in contrasto con la maggior parte dei moderni cristiani americani ed occidentali che sostiene la teoria di un rapimento pretribolazionista, che non crede di star già vivendo nel regno e che ritiene la perseveranza nella lotta e nella sofferenza qualcosa di non strettamente necessario, Apocalisse 1:9 mostra come Giovanni sia un compagno di quelle sette chiese in tre cose: con loro condivide la “tribolazione”, il “regno” e la “costanza”, la necessità di perseverare – e tutto ciò per il tramite di Gesù Cristo.
Detto ciò, siamo quindi pronti ad enunciare il nostro trentesimo presupposto ermeneutico.
Il principio n. 30 dice: quando Giovanni scrive il libro dell’Apocalisse, la tribolazione (τῇ θλίψει) è già in corso ed egli condivide (κοινωνὸς) questa esperienza di tribolazione e costanza con le chiese del I secolo (v. 9a). È necessario distinguere tra 1) persecuzione/tribolazione generale (Gv 16:33; Atti 11:19; 14:22; 20:23; Rm 5:3; 8:35; 12:12; 1 Cor 7:28; 2 Cor 1:4; 1:8; 2:4; 4:17; 6:4; 7:4; 8:2; Efesini 3:13; Fil. 1:16; 4:14; Col. 1:24; 1 Ts 1,6; 3,3; 3,7; 2 Ts 1,4; Eb 10,33), 2) “la tribolazione” o “la grande tribolazione” a danno dei credenti del I secolo (Mt 24,9-12, 21-29; Ap 1:9; 2:22; Ap 7:14), e 3) la grande ira di Dio contro Israele (Mt 3:7; Luca 21:21-22; Rom. 9:22; 1 Tess. 2:16; Ap 6:16-17; 11:18; 12:12; 14:8-10; 14:19; 15:1, 7; 16:1, 19; 18:3; 19:15). I cristiani vennero sottratti dalle sofferenze causate dal giudizio d’ira divina (1 Ts 1:10; Rm 5:9; Mt 3:7; Rm 2:5-8; 1 Ts 5:9).
Prove a supporto della “grande tribolazione” come evento accaduto nel I secolo
È chiaro come questo principio ruoti attorno alla “tribolazione” ed è proprio su questa parola – la prima del trittico del verso 9 – che ci contreremo questa volta. Poiché Giovanni afferma di essere “compagno nella tribolazione”, allora logica vuole che anche i santi delle chiese destinatarie dei suoi scritti andassero incontro alle sofferenze causate da questa tribolazione. E, difatti, fu proprio così. Leggiamo, a conferma di ciò, Apocalisse 2:9-10. In questo brano Gesù dice:
Io conosco le tue opere, la tua tribolazione [e, attenzione, è questa proprio “la grande tribolazione” che tutti i cristiani sperimentarono ovunque nell’Impero romano. Continuiamo la lettura:], la tua povertà (tuttavia tu sei ricco); e conosco la calunnia di coloro che si dicono Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana. Non temere nulla di ciò che stai per soffrire; ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in prigione per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita.
Questa chiesa, la chiesa di Smirne, aveva di certo già sperimentato in forme varie gli effetti della grande tribolazione. Ma il versetto 10 dice che erano adesso in procinto di tornare a vivere ancora dieci giorni di particolare sofferenza – un’afflizione (verosimilmente torture o cose simili) capace, a quanto pare, di condurre persino alla morte.
E questo è da prendere come uno dei tanti indizi contenuti in questo libro indicanti come la grande tribolazione fosse un evento che si dispiegò in diverse fasi e non si abbatté ovunque nell’Impero con uguale intensità. E infatti, nel capitolo successivo, in riferimento alla chiesa di Filadelfia, leggiamo al capitolo 3, verso 10: “Siccome hai osservato la mia esortazione alla costanza, anch’io ti preserverò dall’ora della prova che sta per venire sul mondo intero…”. Ci fu, quindi, persino una chiesa che fu sottratta alla tribolazione: infatti, il governatore della regione di Filadelfia decise, per qualche ragione, di non mandare ad effetto gli ordini di Nerone.
Ma, a parte questo caso specifico, quasi ogni altro cristiano dell’Impero ebbe, invece, a soffrire a causa di questa grande azione persecutoria. Negli scorsi sermoni abbiamo visto come nel periodo tra l’anno 62 e 66 – anno di inizio della prima guerra giudaica – furono i santi in Israele ad essere colpiti in maniera particolarmente severa; nel periodo tra il 64 e il 68 la tribolazione infuriò poi anche in tante altre parti dell’Impero. Secondo gli storici romani, Nerone, accendendo fuochi in tutta la capitale, finì per radere al suolo l’intera città di Roma. Le conseguenze di questa sciagura lo inquietarono assai spingendo così sua moglie Poppea, di origini giudaiche, assiema a tutto il suo entourage, composto da numerosi consiglieri giudei, ad innescare un’insistente propaganda al fine di incolpare dell’incendio proprio i cristiani. Ecco, quindi, che ne seguì un accordo giudaico-romano per l’attuazione di una feroce persecuzione.
In ogni caso, andiamo adesso a considerare ancora un altro riferimento alla tribolazione. Apocalisse 2:22 fa diretta menzione della “grande tribolazione”, esattamente come pure Apocalisse 7:14. Al versetto 9, sempre del capitolo 7, viene poi mostrata “una grande folla che nessuno poteva contare”, proveniente da “tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue”. E in questa scena, al versetto 13, vediamo uno degli anziani che, rivolgendosi a Giovanni, gli chiede:
«Chi sono costoro che sono coperti di bianche vesti, e da dove sono venuti?». Ed io gli dissi: «Signore mio, tu lo sai». Egli allora mi disse: «Costoro sono quelli che sono venuti dalla grande tribolazione, e hanno lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello…».
Da ciò comprendiamo come Giovanni e i santi delle sette chiese avessero già da tempo iniziato a sperimentare i nefasti effetti della grande tribolazione: questa era sul punto di colpire alcune chiese ed entro due anni avrebbe mietuto una moltitudine di vittime tra i cristiani gentili – la “grande folla” del capitolo 7.
Quando ci si rende conto come la realtà della grande tribolazione – una realtà profetizzata dall’Antico Testamento e da Gesù – sia un avvenimento la cui realizzazione storica è da collocare non nel futuro, bensì nel I secolo, allora improvvisamente molti altri elementi del libro dell’Apocalisse trovano un proprio ordine e significato. Definire correttamente il quadro cronologico dei fatti legati alla tribolazione rappresenta, quindi, una chiave di fondamentale importanza per la comprensione degli scritti di Giovanni.
Ragioni per cui i futuristi pensano alla tribolazione come un avvenimento ancora futuro
Confondere “la grande tribolazione” con “la grande ira”
Sarebbe adesso utile capire, però, da dove amillenaristi e premillenaristi prendano l’idea che la grande tribolazione sia qualcosa di ancora giacente nel futuro. Ci sono quattro elementi principali che li portano a questa conclusione. Il primo è che non riescono a distinguere tra la “grande tribolazione” del 62-66 d.C. (diretta solo contro i cristiani) e la “grande ira” del 66-73 d.C. (diretta contro gli ebrei). E c’è da dire come pure molti preteristi parziali finiscano spesso per confondere questi due eventi – che nella sostanza furono molto diversi l’uno dall’altro. Ed abbiamo già avuto modo di esaminare approfonditamente le differenze che li caratterizzano; quindi, non starò qui a ripetermi. Ma questa è la prima ragione, il primo grave errore in cui costoro incappano: confondere la grande tribolazione con la grande ira.
1 Tessalonicesi 5:9
La seconda ragione è rappresentata da una certa persuasione derivante da 1 Tessalonicesi 5:9 (un versetto a dir poco centrale nella loro teologia). Secondo questo brano i cristiani non sarebbero destinati all’ira, bensì alla salvezza. Pertanto, nel momento in cui si pensa come l’ira di Dio e la tribolazione siano la medesima cosa, si finisce per considerare la tribolazione un evento che non può interessare in nessun modo i cristiani – una convinzione, questa, in realtà per nulla supportata dalla Parola di Dio. Vediamo, dunque, come il primo errore (confondere ira e tribolazione) conduca al secondo errore (“Siccome i cristiani non affronteranno l’ira di Dio, allora non dovranno affrontare neppure la tribolazione”).
E, prima di passare al punto successivo, mi piacerebbe dimostrare come questa loro conclusione errata si ponga in piena contraddizione con la Bibbia. Ad esempio, in 1 Tessalonicesi 3:4 leggiamo: “Infatti anche quando eravamo tra voi, vi predicevamo che avremmo sofferto tribolazioni…”. Insomma, pare chiaro come per la chiesa non vi fosse alcuna promessa di scampo; anzi, da queste parole si comprende come le sofferenze causate dalla tribolazione fossero cosa certa per i santi, i quali, di contro, sfuggirono alla grande ira di Dio.
Ai cristiani non furono risparmiate le afflizioni della grande tribolazione; furono, invece, risparmiate quelle della grande ira. I primi padri della chiesa ci raccontano che in obbedienza al comando di Cristo, quando i santi videro Gerusalemme circondata dall’esercito romano, immediatamente lasciarono tutto e fuggirono. E a tal fine sfruttarono l’unica opportunità che ebbero, evitando allo stesso tempo di entrare in contrasto con le tre fazioni giudaiche che avevano preso il controllo della città. Queste, infatti, avevano deciso di condurre subito una sortita improvvisa contro il nemico – un primissimo attacco che, per un sorprendente caso provvidenziale, ebbe successo e vide i romani battere in ritirata ed incassare un’inaspettata sconfitta. Ecco, quindi, come i cristiani di Gerusalemme, con le porte della città momentaneamente aperte per le milizie giudaiche, ebbero la loro chance di fuga riuscendo ad allontanarsi sottraendosi al conflitto. Attraversarono un pratico passaggio situato nei pressi del Monte degli Ulivi prendendo in seguito la strada in direzione di Pella, città presso la quale trovarono protezione per tutta la durata della guerra. Capiamo, quindi, come i credenti non fossero destinati a subire l’ira divina: non era con loro che Dio ce l’aveva.
Ai cristiani era, però, toccato sperimentare un’intensa tribolazione a partire dall’anno 62 (la “grande tribolazione” per l’appunto), proprio per mano degli ebrei. Ancora prima, inoltre, erano già stati soggetti a tutta una serie di persecuzioni ed afflizioni varie.
Notiamo, comunque, come il termine greco usato in 1 Tessalonicesi 3:4 rappresenti un chiaro indicatore di imminenza: mello (in greco, “stare per” / “essere sul punto di”). Il verso, reso in maniera letterale, direbbe: “Infatti, già vi avevamo detto, quando eravamo con voi, che eravamo sul punto di soffrire tribolazione…”. È chiaro, dunque, come al tempo in cui Paolo era con i tessalonicesi la tribolazione fosse un evento ormai incombente.
Non c’è tempo adesso per condurre uno studio approfondito passando in rassegna ogni brano biblico che metta in evidenza le distinzioni tra quella che possiamo definire una “tribolazione generale” (generiche sofferenze e difficoltà a cui tutti i degni seguaci di Cristo di ogni epoca sono sottoposti), la “grande tribolazione” (evento storico del I secolo che interessò solo i santi di allora) e la “grande ira” (uno speciale giudizio divino che si abbatté contro Israele in occasione di quella che passò alla storia come “prima guerra giudaica”). E, attenzione, ci tengo a chiarire come da allora Dio non abbia in nessun modo smesso di riversare la sua ira in giudizio contro le nazioni: il tribunale del cielo è tuttora molto attivo. Detto ciò, gli specifici esempi di tribolazione ed ira che traiamo dall’Apocalisse e dal resto della Bibbia, comprese tutte queste distinzioni appena menzionate, sono particolarmente rilevanti perché ci offrono un’importante filosofia di vita basata sul modus operandi di Dio nella storia. In ogni caso, nella trascrizione di questo sermone troverete tutti i riferimenti scritturali per ben inquadrare le differenze tra “tribolazione/persecuzione generale”, “grande tribolazione” e “grande ira”.
Quindi, prima di passare ad analizzare il prossimo errore di chi vede la grande tribolazione come un evento a noi futuro, ripetiamo quanto detto finora: il primo errore (confondere ira e tribolazione) conduce al secondo errore (pensare che, non essendo l’ira di Dio destinata ai cristiani, allora neppure la tribolazione lo sia).
Secondo Matteo 24:21, sia prima che dopo la “grande tribolazione”, non ce n’è altra di pari grandezza (i futuristi non concordano sul fatto che la “tribolazione così grande” a cui fa riferimento il verso sia quella del I secolo)
Ma quanto pesante e terribile fu per davvero la tribolazione del I secolo?
La terza ragione per cui amillenaristi e premillenaristi credono che la grande tribolazione debba essere un evento futuro è riconducibile a quanto Gesù esprime in Matteo 24:21-22, nel quale leggiamo: “Perché allora vi sarà una tribolazione così grande, quale non vi fu mai dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuna carne si salverebbe; ma a motivo degli eletti quei giorni saranno abbreviati”. Mostrano scetticismo rispetto all’idea di come la più grande tribolazione della storia sia avvenuta proprio nel I secolo, sia che la si interpreti come una feroce persecuzione contro credenti oppure contro non credenti (o contro entrambi i gruppi). Sono persuasi di come altre note tribolazioni sperimentate dai cristiani nella storia più recente siano state peggiori. E, sostenendo ciò, farebbero di certo gli esempi dell’Unione Sovietica di Stalin oppure della Cina di Mao.
Ma come si potrebbe rispondere loro? Ebbene, agli amillenaristi faremmo notare che l’espressione “né mai più vi sarà”, che troviamo in Matteo 24:21, vale come evidenza di come la storia continui dopo la “grande tribolazione”, mentre loro considerano la tribolazione un evento collocabile negli ultimi tre anni e mezzo della storia del mondo. Ma, se così fosse, se la grande tribolazione fosse quell’evento conclusivo che precede la fine della storia, allora quel “né mai più vi sarà” che senso mai avrebbe? Vediamo, quindi, come sia lo stesso contesto immediato di questo passaggio a smontare il punto di vista amillenarista. In effetti, il contesto dell’intero capitolo si pone in opposizione ad ogni ipotesi di stampo futurista per quel che riguarda la profezia sulla grande tribolazione.
Vorrei a questo punto entrare nel merito delle polemiche futuriste asserenti come non esista alcuna prova storica che indichi la tribolazione del I secolo come la più grande e terribile – insomma, come di gran lunga peggiore rispetto a quelle affrontate dai cristiani negli ultimi due secoli. Davvero in molti (tra coloro che pensano che a soffrire le pena della tribolazione sia solamente il popolo ebraico) diranno poi come non si possa pensare a tribolazione più grande di quella subita dagli ebrei sotto il nazionalsocialismo. Man mano che avanzeremo nello studio dell’Apocalisse son certo che ogni illusione rispetto a tali convinzioni sparirà. Ma permettetemi di rammentarvi qualcosa di cui avevamo già parlato alcuni sermoni fa: prima dello scoppio della guerra nel 66 d.C., gli ebrei costituivano il 15% dell’intera popolazione dell’Impero; dopo la guerra, invece, il loro numero si era enormemente ridotto[3]. Anche se si tiene conto della cifra di 6 milioni di ebrei uccisi sotto Hitler (cifra che, ricordiamolo, la stessa Croce Rossa riteneva incredibilmente alta), vi sono evidenze di come l’olocausto del I secolo presenti numeri ben maggiori. The Bible Encyclopedia dice, infatti: “…gli ebrei… furono quasi sterminati”[4]. E tale affermazione viene suffragata e confermata dal lavoro di tanti altri studiosi.
Insomma, anche attraverso lo studio storiografico è possibile arrivare a comprendere come per numeri, intensità ed esito la pena che ebbero a soffrire gli ebrei in occasione della prima guerra giudaica fu veramente senza pari nella storia. E, in realtà, in quell’occasione non morirono solo milioni di ebrei: un gran numero di altre genti in tutto l’Impero cadde vittima durante quel turbolento periodo di sette anni. Quindi, se si vanno ad includere ebrei, gentili e cristiani nell’equazione della “grande tribolazione” (come, tra l’altro, usano fare molti commentari), allora si ottiene davvero un impressionante e sconcertante quadro di morte e distruzione.
Ma come avrete già abbondantemente compreso, la mia posizione per quel che riguarda la grande tribolazione è che questa fosse una persecuzione atta a sterminare soltanto e specificamente i santi. Ciò vuol dire, dunque, come l’onere della prova nel dimostrare come quell’evento persecutorio del I secolo sia stato il più grande ricada maggiormente su di me, più che sui vari Chilton o Gentry – i quali non differenziano così nettamente tra cristiani e altre categorie.
Ecco, quindi, che la domanda a cui adesso vorrei dar risposta è questa: “Ma c’è stato per davvero un numero maggiore di cristiani uccisi sotto Nerone che sotto l’Islam o sotto le dittature comuniste del Novecento?”
Considerando la tribolazione come un’azione persecutoria rivolta solo contro i cristiani del I secolo, dobbiamo tenere conto di: imminenza, connessione con l’inizio del regno, esperienza di Giovanni della tribolazione, esperienza delle sette chiese, estensione della tribolazione in ogni regione dell’Impero romano, numero di cristiani coinvolti, percentuale di cristiani martirizzati, ecc.
E ho una serie di considerazioni messe a punto proprio per il confronto con gli scettici. In primo luogo, dalle parole di Paolo in 1 Tessalonicesi risulta chiaro come “la tribolazione” fosse proprio sul punto di arrivare. L’indicatore temporale adoperato, mello, induce a pensare che l’evento preannunciato fosse davvero incombente. Insomma, già abbiamo considerato come la Parola di Dio e i suoi indicatori temporali siano da prendere sul serio – conciliare quel mello, quello “star per”, con un’attesa di 2000 e passa anni è semplicemente qualcosa di assurdo. Questo indizio grammaticale va ad escludere in maniera risoluta ogni posizione futurista circa la grande tribolazione. In Matteo 24:34, inoltre, Gesù promette come questa sarebbe avvenuta prima della morte della gente del suo tempo (Matteo 24:34). Quindi, trovo importante rimarcare come, indipendentemente dalle prove storiche disponibili (o non disponibili), le evidenze bibliche dovrebbero esserci più che sufficienti.
Tuttavia, non si può non considerare come la storia, in effetti, renda abbastanza chiaro che nel periodo tra il 62 e il 68 d.C. milioni di cristiani furono torturati e uccisi nei modi più atroci a causa della loro fede. Secondo B. H. Warmington, il quale ha esaminato la letteratura secolare disponibile sulla persecuzione dei cristiani nella capitale dell’Impero, “quasi l’intera comunità cristiana di Roma fu distrutta”[5]. L’onorevole e giurista irlandese Charles Kendal Bushe, basandosi su Tacito e Svetonio, mise in evidenza come “…i cristiani furono perseguitati e quasi sterminati da Nerone…”[6]. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che il capitolo 7 dell’Apocalisse parli di una vasta moltitudine di cristiani gentili martirizzati nella grande tribolazione. E non c’è da meravigliarsi che Gesù dica come i giorni della tribolazione sarebbero stati abbreviati per amore degli eletti, altrimenti nessuno di loro sarebbe sopravvissuto. Insomma, capite come la chiesa si avvicinò seriamente ad essere sterminata in maniera completa. Daniele profetizzò che tale evento sarebbe accaduto prima del 70 d.C. e che sarebbe corrisposto all’entrata di Giosuè alla conquista della terra di Canaan dopo quarant’anni di attesa e lotta. Ogni cosa riguardante il regno prima del 70 era per così dire provvisorio, legalmente acquistato – basato su ciò che Cristo aveva fatto nella sua vita, morte, risurrezione, ascensione ed incoronazione.
Ma ciò che rende questa tribolazione del I secolo la “grande tribolazione” non è soltanto il gran numero di cristiani coinvolti, ma anche l’estensione di questa gigantesca azione persecutoria – infatti, non ci fu nazione del mondo conosciuto che non ne fu interessata. Infatti, Apocalisse 7 ci presenta una grande folla di martiri proveniente da “tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue”. E, ricordiamolo ancora, Gesù aveva predetto come la tribolazione sarebbe accaduta entro una generazione dalla sua morte (una generazione equivale a quarant’anni – quindi, dal 33 al 73 d.C). In Matteo 24:9 egli dice: “Allora vi sottoporranno a tribolazione e vi uccideranno; e sarete odiati da tutte le genti a causa del mio nome”. E persino gli amillennaristi accettano pacificamente come questo versetto non possa che riferirsi alla tribolazione del I secolo.
La predizione di Cristo secondo cui il Vangelo doveva andare in tutto il mondo e in tutte le nazioni prima che potesse avvenire la grande tribolazione (Matteo 24:14 e seguenti)
E con ciò passiamo adesso alla quarta ragione per cui premillenaristi e amillenaristi credono che la grande tribolazione non sia stata quella del I secolo. Dicono che in Matteo 24, versi 14 e seguenti, venga chiaramente spiegato come, prima che possa verificarsi la grande tribolazione, il Vangelo abbia da andare in tutto il mondo ed essere ascoltato in ogni nazione. Ebbene, secondo il loro intendimento tutto ciò non è ancora accaduto. E questo è davvero un punto interessante da discutere. Andiamo a Matteo 24. Nell’ultimo sermone avevamo già avuto modo di soffermarci su questo capitolo per analizzarne il riferimento alla tribolazione. Ma ora, leggendo il versetto 14, cerchiamo di capire quali obiezioni vengono mosse contro l’idea di una realizzazione imminente di questa predizione. Leggiamo il verso: “E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo in testimonianza a tutte le genti, e allora verrà la fine”.
Premillenaristi e amillenaristi sostengono che il Vangelo non è stato predicato in tutto il mondo prima del 62 d.C., quindi la nostra interpretazione dei versetti sull’imminenza deve essere sbagliata o, per quel che riguarda questa profezia, c’è forse un doppio adempimento da considerare, chi sa! Dicono: “Non abbiamo predicato il Vangelo in tutto il mondo; ci sono molte tribù che non l’hanno ancora ascoltato. Pertanto, ciò vuol dire che anche la tribolazione non può che essere intesa come un evento ancora non verificatosi”. Che dire, pare un buon argomento, il loro (forse il migliore che hanno); nondimeno, può essere facilmente smontato.
Passaggi della Scrittura indicanti imminenza
Il primo problema è che un tale ragionamento non sembra prendere davvero sul serio i numerosi indicatori temporali d’imminenza presenti nei vari passaggi sulla grande tribolazione. Un esempio su tutti: Matteo 24:34 (“In verità vi dico che questa generazione non passerà, finché tutte queste cose non siano avvenute”); da queste parole di Gesù apprendiamo come tutto quanto elencato nei versetti da 4 a 33 dello stesso capitolo (compresa, quindi, la stessa predicazione del Vangelo al mondo intero) aveva da accadere prima che quella generazione morisse. E noi sappiamo che una generazione significa quarant’anni, quindi ogni cosa descritta fino al versetto 33 di Matteo 24 doveva avvenire entro il 73 d.C., l’anno in cui terminò la prima guerra giudaica.
Naturalmente, i futuristi dispongono di una risposta per quanto detto. Ribatterebbero dicendo come “questa generazione” non si riferisca alla generazione dei contemporanei di Gesù, bensì alla generazione che sarebbe vissuta quando l’albero di fico del versetto 32 avrebbe iniziato a germogliare. Inoltre, i premillenaristi direbbero che il fico è un simbolo per Israele e si riferisce al ritorno dei giudei nel paese. I primi dispensazionalisti credevano che l’albero di fico fosse la Dichiarazione Balfour, una lettera ufficiale scritta dall’allora ministro degli esteri del Regno Unito Arthur Balfour e indirizzata a Lord Rothschild (inteso, quest’ultimo, come principale rappresentante della comunità ebraica inglese e referente del movimento sionista) con la quale il governo britannico affermava di guardare con favore alla creazione di una “dimora nazionale per il popolo ebraico” in Palestina (allora ancora parte dell’Impero ottomano). Ma quarant’anni passarono e nel 1957 non sembrò che Gesù avesse scatenato nessuna grande ira. Allora i rappresentanti del dispensazionalismo si ritrovarono costretti modificare la loro teoria. Ecco, quindi, che la nuova interpretazione vide la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 diventare il nuovo albero di fico. Da qui il nome del celebre libro, 88 Reasons Why Christ Must Come Back in 1988 (“88 motivi per cui Cristo deve tornare nel 1988”). Tuttavia, neppure questa volta Gesù parve incline ad assecondare questa prospettiva e quando nel 1988 ciò divenne chiaro, allora non rimase che riaggiustare ancora una volta il tiro e stabilire uno nuovo significato per il fico. Si optò, dunque, per la “guerra dei sei giorni” del 1967. Però, anche in questo caso i quaranta anni passarono e conclusosi il 2007 non vi fu nessun colpo di scena. E tutto ciò procurò non poche incertezze e disagi ai teorici di questa scuola.
In ogni caso, il problema è che costoro non colgono il punto, vale a dire che il fico non è assolutamente da prendere come simbolo per Israele. Capiamo ciò leggendo un brano parallelo di Matteo, ovvero Luca 21:29-32, che dice:
Poi disse loro una parabola: «Osservate il fico e tutti gli alberi [capite bene – non c’è qui da fissarsi con il fico solamente: usando un’analogia che ha come oggetto il germogliare di qualsiasi albero, l’obiettivo è semplicemente quello di indicare come gli eventi fossero ormai prossimi. Difatti, lo rileggo ancora, il passaggio inizia dicendo: “Guardate il fico e tutti gli alberi” e il verso successivo prosegue poi rivelando il punto centrale:]. Quando essi cominciano a mettere i germogli, vedendoli, voi stessi riconoscete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità io vi dico che questa generazione non passerà finché tutte queste cose non siano accadute».
Notate come nel brano si dica: “…quando vedrete accadere queste cose”; non “quando vedrete Israele diventare una stato o vincere una guerra”. Nessuna di queste evenienze è, infatti, contemplata dal discorso olivetano. Le cose a cui vien fatto riferimento nel verso appena considerato sono tutte le cose predette nei versetti precedenti, ovvero tutte cose che noi sappiamo essere andate ad effetto nella storia del I secolo.
Ma, cosa ancora più importante, l’espressione “questa generazione” non si riferisce mai, da nessuna parte in tutta la Bibbia, ad una qualche generazione futura. E posso citarvi numerosi riferimenti scritturali nei quali “questa generazione” indica chiaramente i contemporanei di Gesù (eccovi alcuni esempi che potreste leggere per conto vostro: Matteo 11:16; 12:41, 42; 23:36; Marco 8:12; 13:30; Luca 7:31; 11:29, 30, 31, 32, 50, 51; 17:25; 21:32). Insomma, sarebbe un inaccettabile stravolgimento del linguaggio far sì che questa espressione venga intesa in riferimento ad un tempo futuro.
Il significato di “mondo” (οἰκουμένῃ)
Il secondo problema ha a che fare con la parola “mondo” (in greco οἰκουμένῃ, oikoumenē) che vediamo adoperata in Matteo 24:14 (“…questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo…”). Il dizionario la definisce come segue: “Il mondo come unità amministrativa, l’Impero romano” (BDAG). E se non la si prende in tal maniera, allora si incappa in grossi guai interpretativi, giacché Luca 2:1, ad esempio, dichiara come il mondo intero fu tassato da Cesare Augusto (il verso dice: “In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra”; altre traduzioni, invece, dicono “di tutto l’Impero”). Ebbene, anche in questo caso il termine greco utilizzato è oikoumenē. A meno che, quindi, non si sia disposti ad affermare come in quell’occasione, che so, anche la Cina e il Nord America furono interessati dal censimento e dalla tassa di Cesare, logica vuole che pure il “mondo” di Matteo 24:14 non significhi l’intero pianeta Terra.
Il linguaggio universale adoperato per descrivere il punto d’espansione raggiunto dal Vangelo (Atti 2:5; Col. 1:5-6,23; Rom. 1:8; 10:18; 16:25-26).
Ma anche se si volesse intendere “mondo” come riferimento ad ogni nazione del pianeta Terra, non si potrebbero comunque eludere le evidenze esegetiche e storiche indicanti come nel 70 d.C. il Vangelo avesse effettivamente raggiunto ogni nazione del mondo (in un certo senso). Ad esempio, Atti 2:5 dice in riferimento all’evento della Pentecoste: “Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo”. E ciò ci porta a parlare del terzo problema per la teoria futurista di un vangelo ancora non predicato in tutto il mondo.
Sì, perché il verso di Atti sembra darci una dimensione abbastanza universale per quel che riguarda la diffusione della Buona Novella, non pensate? Quindi, anche se si vollese prendere Matteo 24:14 alla lettera, si dovrebbe comunque dire come quanto profetizzato in quel verso abbia trovato la propria realizzazione nel I secolo. Traiamo questa convinzione da Atti 2:5, come pure da numerosi altri passaggi delle Scrittura. Consideriamone alcuni iniziando con Colossesi 1:6. Questo verso usa il termine κόσμος (kósmos), che spesso si riferisce all’intero pianeta, anche se non necessariamente ed esclusivamente. Paolo vi afferma come il Vangelo fosse arrivato in ogni parte del kósmos, per l’appunto. Leggiamolo insiema al verso precedente:
…a motivo della speranza che è riposta per voi nei cieli, di cui avete già sentito nella parola della verità dell’evangelo, che è giunto a voi, come pure in tutto il mondo [tutto il kósmos], e porta frutto e cresce, come avviene anche tra di voi, dal giorno in cui udiste e conosceste la grazia di Dio in verità…
Beh, che dire, anche da questo brano traspare una chiara idea dell’estensione universale raggiunta dal Vangelo. Passiamo adesso a Colossesi 1:23: “…se pure perseverate nella fede, essendo fondati e fermi, senza essere smossi dalla speranza dell’evangelo che voi avete udito e che è stato predicato ad ogni creatura che è sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono divenuto ministro”.
La traduzione “ad ogni creatura” è purtroppo inesatta. Una resa più corretta dovrebbe dire “…che fu predicato in [quindi, non “a”, ma “in”] tutta la creazione sotto il cielo”. In ogni caso, ciò a cui vorrei portarvi a riflettere è che queste espressioni, kósmos e “tutta la creazione sotto il cielo”, sono portatrici di una marcata dimensione universale. Quindi, dopo aver letto questi brani, ci chiediamo: “Ma il Vangelo raggiunse per davvero tutto il mondo nel I secolo?” Ci sono molte prove storiche a supporto di tale idea. Sappiamo come nel 66 d.C., gli apostoli e altri cristiani fossero riusciti a portare il cristianesimo in Europa, Russia, Cina, India, Africa, Asia, nelle isole britanniche, ecc., ecc. Gli antichi libri di storia ci dicono che i cristiani in molte di quelle regioni furono duramente colpiti dalla persecuzione e gli apostoli, fatta eccezione per Giovanni, furono tutti martirizzati. Quindi in un certo senso anche loro affrontarono la grande tribolazione del I secolo nello stesso periodo in cui la affrontarono tutti i santi residenti nell’Impero romano. Ad ogni modo, affidandosi alle cronache degli storici dei primi secoli, è sorprendente constatare fino a che punto fosse arrivato il Vangelo. Andiamo adesso a Romani 1, verso 8. Vi leggiamo: “Prima di tutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la vostra fede è divulgata in tutto il mondo”.
La parola qui adoperata presenta persino una portata maggiore dell’Impero romano. In questo verso Paolo afferma come le notizie riguardanti i santi di Roma si fossero diffuse in tutto il mondo. In qualsiasi modo lo si intenda (che lo si interpreti letteralmente o meno), è lo stesso tipo di linguaggio universale usato in Matteo 24 e ciò mostra come nella mente di Paolo la predizione di Matteo 24:14 si fosse già adempiuta al tempo in cui scrisse l’epistola ai Romani. Proviamo a dare un’occhiata a Romani 10:18. Paolo in questo versetto cita una profezia come prova che tutti i gentili dovevano ascoltare il Vangelo prima che Israele fosse giudicato – in altre parole, prima della grande ira del 66 d.C. E nel contesto temporale di quel capitolo, il giudizio di Israele sarebbe arrivato presto. Ad ogni modo, il versetto 18 dice: “Ma io dico: Non hanno essi udito? Anzi, «La loro voce è corsa per tutta la terra, e le loro parole fino agli estremi confini del mondo»”. Passiamo adesso a Romani 16:25-26. Vi leggiamo:
Or a colui che vi può raffermare secondo il mio evangelo e la predicazione di Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero celato per molti secoli addietro, e ora manifestato e rivelato fra tutte le genti mediante le Scritture profetiche, secondo il comandamento dell’eterno Dio, per indurli all’ubbidienza della fede.
Questi sono passaggi che rendono chiaro come già prima della grande tribolazione del I secolo il Vangelo avesse raggiunto tutte le nazioni e fosse stato propagato in tutto l’οἰκουμένῃ, il κόσμος e la “creazione sotto il cielo”. Dato un linguaggio così universale, non so proprio come si possa dire che la profezia di Matteo 24:14 è una profezia ancora non adempiutasi. Paolo, invece, chiarisce in maniera piuttosto esplicita come si tratti di qualcosa di già realizzatosi nel suo tempo.
Riepilogo dei fatti che fanno della tribolazione del I secolo la “grande tribolazione”
Bene – per quanto finora argomentato possiamo adesso affermare come la tribolazione scatenatasi contro i santi del I secolo fu la “grande tribolazione”, vale a dire la più grande tribolazione mai vissuta dai cristiani nella storia. E questo per tre ordini di motivi: 1) per i numeri totali dell’evento, 2) per la percentuale di cristiani coinvolti (praticamente quasi tutti) e 3) per la sua estensione in ogni nazione del mondo conosciuto.
Ma c’è un quarto motivo che davvero non può rimanere ignorato: la “grande tribolazione” fu grande anche in termini di intensità della violenza e della crudeltà dappertutto inflitta ai cristiani. La sofferenza procurata per il tramite di torture e sevizie è purtroppo qualcosa che ha da sempre caratterizzato la testimonianza cristiana in varie parti del mondo; tuttavia, mai così su larga scala come quella perpetrata da Nerone. Eviterò di raccontarvi delle pratiche più nauseanti e perverse che interessarono i santi dell’Impero. È chiaro che Satana fosse dietro a questo enorme ed efferato tentativo di completo sterminio dei cristiani e della loro fede. Ma, anche solo considerando i miti resoconti dello storico romano Tacito[7], è veramente impossibile non percepire l’orrenda natura di quella grande azione persecutoria; negli scritti dello storico romano ricorrono, infatti, espressione quali: “tremende torture”, “punizioni estreme” ed “eccesso di crudeltà” inflitta a quella che egli stesso descrive come un’immensa moltitudine.
Vi sono cronache dell’epoca dal contenuto di indicibile oscenità – roba che sinceramente mal si addice ad essere esposta in sermoni come questo; ma basti dire che le azioni di Nerone sembravano davvero indotte da Satana stesso. Ogni limite di crudeltà sembrava non soddisfarlo sufficientemente. Era come se fosse alla ricerca di forme di spietatezza sempre più sadiche; infaticabile nell’escogitare modi insoliti per torturare ed eliminare i cristiani. Alcuni erano dati vivi in pasto a cani e bestie feroci; altri ricoperti di catrame ed usati come torce umane per illuminare le sue feste ed orge. Insomma, si trattava davvero di un folle, di un indemoniato. Nessuna delle successive persecuzioni, per estensione ed efferatezza, possono essere anche soltanto paragonata a quelle che Nerone inflisse a milioni di cristiani morti sotto il suo regime oppressivo.
Penso che l’orribile demone che rese l’imperatore così bestiale debba essere stato uno di quelli confinati nel pozzo dell’Abisso prima della grande tribolazione e a cui fu consentito di uscire per un breve periodo. Questo demone si impossessò di Nerone. E se non sapevate dell’esistenza di un tale demone, chiamato “la bestia” ed impossessatosi di Nerone, considerate allora i passaggi di Apocalisse 11:7 e 17:8. Entrambi i brani parlano della bestia fuoriuscita dall’Abisso. Ebbene, l’unica cosa che può uscire dall’abisso è un demone. E questo vi fu rigettato quando il suo lavoro terminò. Quando arriveremo al capitolo 11, avremo modo di approfondire questa storia come si deve.
Quindi, da qualsiasi angolazione si guardi alla tribolazione… E lasciatemi fare un veloce riepilogo di quelle menzionate finora: 1) i suoi segni anticipatori, 2) la sua connessione con l’inizio del regno, 3) la sua imminenza, 4) il fatto che Giovanni stesso la stesse sperimentando, 5) il fatto che le sette chiese ne fossero coinvolte , 6) la sua portata in ogni nazione, 7) il numero dei cristiani coinvolti, 8) la percentuale di cristiani colpiti e 9) la testimonianza esterna – insomma, come dicevo, da qualsiasi angolazione si guardi alla tribolazione del I secolo, ogni suo aspetto pare soddisfare tutti i criteri e tutte le definizioni date in ogni brano della Bibbia che tratta l’argomento. Non è un evento futuro; è passato.
E dovendo noi considerare la coesione sistematica di tutti i principi interpretativi esaminati finora, allora non possiamo non vedere come la prima resurrezione (di cui abbiamo parlato la volta scorsa) fosse anch’essa un evento del passato, così come pure la venuta di Cristo in giudizio e l’inaugurazione del regno (che sarà – a proposito – l’argomento del nostro prossimo sermone). Quindi, in tutta coerenza ermeneutica, il contesto di questi eventi consumatisi nel I secolo – la cui imminenza, come visto, è indicata chiaramente dai molti indizi temporali disseminati nel testo – vede la grande tribolazione essere anch’essa un evento da collocare nel I secolo.
Se ai cristiani è già toccato vivere la tribolazione più grande della storia, a noi non resta che prepararci ad affrontare una “tribolazione generale” (Matteo 13:21; 2 Timoteo 3:12; ecc.)
Ora, prima di concludere il sermone di oggi, non mi resta che sottolineare come il fatto che la più grande tribolazione della storia sia un evento passato non significa ovviamente che i cristiani di oggi possano sentirsi esenti dal vivere pene e sofferenze riconducibili a quella che potremmo definire una “tribolazione generale”. È di fondamentale importanza non cedere in nessun modo al cosiddetto “vangelo della prosperità” e alle sue lusinghe di ricchezza, guarigione e vita confortevole. Tutto ciò andrebbe oltre ogni logica biblica. Infatti, da Matteo 13:21 apprendiamo come il cristiano impreparato ad affrontare la tribolazione sia probabilmente destinato a perdersi. Il verso dice: “…però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato”.
Credere in Gesù non risolve tutti i nostri problemi e non elimina ogni possibilità che le cose nella nostra vita vadano male. Quando ero un ragazzo, ricordo che c’era un certo slogan cristiano che, riprendendo una famosa pubblicità della Pepsi, diceva in riferimento al cristianesimo: “Provalo, ti piacerà!”. Beh, che dire, non manca in ciò un certo elemento di verità: in Cristo, infatti, i credenti dispongono di grande soddisfazione e gioia. Tuttavia, devono anche affrontare tribolazioni e sofferenze. E non dire a coloro a cui testimoniamo del costo dell’essere discepoli di Cristo semplicemente fa sì che la nostra finisca per essere pubblicità ingannevole. Gesù avverte chiunque voglia essere suo discepolo di prendere la propria croce e seguirlo; chi si mostra indisposto a far ciò risulta non degno di Cristo. Prendere la propria croce significa essere pronti a morire a sé stessi, a soffrire. E a volte la più grande tribolazione per i nuovi convertiti consiste nel combattere contro gli impulsi della carne e sconfiggerli. È questo, ad esempio, un tipo di tribolazione o pena. È tutti noi sappiamo per esperienza personale quanto complicate e faticose siano tali prove.
Se in questo momento siete alle prese con pene e sofferenze, sappiate di far parte di una valorosa moltitudine di santi del passato che alla stessa vostra maniera ha attraversato tribolazioni di ogni sorta per amore del Signore Gesù. Ed è importante essere convinti di come nessuno sia assolutamente esente da tribolazioni e difficoltà. Paolo, in 2 Timoteo 3:12, conferma ciò dicendo: “Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati”. Finché Satana non verrà gettato nell’Abisso, farà tutto ciò che è in suo potere per abbattere il cristianesimo. E le persecuzioni messe in atto contro i cristiani in tutto il mondo ci testimoniano proprio di questa ostilità satanica al regno. Ora, noi sappiamo che nel momento in cui ogni demone sarà finalmente gettato nell’Abisso, il mondo sperimenterà un tempo di pace. Eppure, anche in tale circostanza continueremo comunque a dover lottare con la nostra carne. Il libro dell’Apocalisse chiama tutti i cristiani ad essere vincitori, a perseverare.
E questa è la terza cosa che Giovanni si ritrova a condividere con i santi delle sette chiese: la perseveranza, la costanza. Il prossimo episodio della serie approfondirà proprio questo elemento. Vedremo come essere compagni nel regno implichi l’applicazione della costanza, esattamente come pure l’essere compagni nella tribolazione. Noi siamo chiamati da Dio a perseguire prima di tutto il suo regno e la sua giustizia, anche se ciò comporta sofferenza. A coloro che perseverano Dio promette, però, la corona della vita. In Apocalisse 2:10 leggiamo, infatti: “Non temere ciò che dovrai soffrire; ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in prigione per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita”.
E vi lascio con un monito: la tribolazione che ci tocca affrontare non è da sopportare per il tramite delle nostre proprie forze. Non ci provate neppure. Il Signore Gesù stesso ha, infatti, promesso di aiutarci a superare ogni prova. Ricordate come termina la parte del verso 9 esaminata oggi? “Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione e nel regno e nella costanza in Cristo Gesù”. Non siamo, quindi, chiamati ad affrontare nessuna di queste tre cose da soli. È “in Cristo Gesù” solamente che abbiamo la forza necessaria per fronteggiare la tribolazione, per perseguire il regno con tutto il nostro cuore e la nostra dedizione e per applicarci alla costanza perseverando fino alla vittoria. Assicuratevi quindi che anche la tribolazione venga affrontata partendo da una ferma dipendenza da Gesù Cristo. Tutta la nostra vita deve essere vissuta mediante la fede in lui e nella sua cura. Sia così, Signore Gesù. Amen.
Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%201_1-11/Revelation%201_9a?utm_source=kaysercommentary.com#user-content-fnref-7
[1]Traduzione di Wilbur Pickering, in The Sovereign Creator Has Spoken: New Testament Translation With Commentary (Creative Commons Attribution/ShareAlike Unported License, 2013).
[2] Beale dice: “L’introduzione dei tre dativi ‘tribolazione, regno e costanza’ (τῇ θλίψει καὶ βασιλείᾳ καὶ ὑπομονῇ) con un solo articolo ci suggerisce come in qualche modo essi dovrebbero essere interpretati insieme, come un’unità, soprattutto dal momento in cui vediamo lo stesso fenomeno appena verificatosi ancora più chiaramente nella frase immediatamente precedente. Certuni interpretano questa proposizione lasciando intendere che θλῖψις (‘tribolazione’) sia l’elemento principale e che ‘regno e costanza’ funzionino in qualità di aggettivi applicati a θλῖψις, che, menzionato per primo, si presenta accompagnato dall’articolo. Sebbene ciò possa sia possibile, risulta eccessivamente preciso. Se il singolo articolo ha un significato, allora i tre sostantivi si interpretano a vicenda e, soprattutto, tutti e tre sono da intendersi come aventi il loro quadro di riferimento ‘in Gesù’”. G. K. Beale, The Book of Revelation: A Commentary on the Greek Text, New International Greek Testament Commentary (Grand Rapids, MI; Carlisle, Cumbria: W.B. Eerdmans; Paternoster Press, 1999), 200–201.
[3] Vedi Mireille Hadas-Lebel, Flavius Josephus: Eyewitness to Rome’s First-Century Conquest of Judea, trad. di Richard Miller (New York: Macmillan, 1993), pp. 53-54; Neil Faulkner Apocalypse: The Great Jewish Revolt Against Rome AD 66-73, (Gloucestershire, Eng: Tempus, 2002), p. 38; Seven Cities of the Apocalypse and Roman Culture, Roland H. Worth, Jr., (New York: Paulist, 1999), p. 72.
[4] The Bible Encyclopedia, (Londra: John W. Parker, M.DCCC.XLIII), volume 2, vedere l’intestazione “Nero”.
[5] B. H. Warmington, Nero: Reality and Legend (W. W. Norton, 1969), p. 127.
[6] Charles Kendal Bushe, A Summary View of the Evidences of Christianity, (Dublin: William Curry, Jun. and Company, 1845), p. 12.
[7] Per leggere questa sezione del libro (in latino e in inglese) andare su http://www.sacred-texts.com/cla/tac/a15040.htm