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71: Il grido per giustizia

Luca 18: 1-14

Nessuno oserebbe fare ciò che Cristo fa qui, vale a dire: paragonare ciò che Dio fa con un atto di un giudice iniquo. C’è una difficoltà che rimane irrisolta finché pensiamo della relazione tra Dio e il mondo presente nei termini di un dualismo assoluto (due mondi “completamente” distinti). Deve esserci qualche similarità tra Dio e questo giudice altrimenti Gesù non avrebbe fatto il paragone.

Il giudice fu obbligato dal proprio ufficio a fare ciò che dapprima non voleva fare. Temette che la vedova alla fine lo avrebbe portato a esaurimento. Alla fine le donna avrebbe ottenuto il meglio da lui perché lui non avrebbe potuto evitare la richiesta di giustizia che doveva proteggere. La giustizia lo costrinse benché non temesse Dio né avesse rispetto per alcun uomo.

Si noti il peculiare linguaggio usato. Per quanto concerne Dio c’è la menzione del solo timore, di avere paura, mentre per quanto concerne l’uomo è fatta menzione di un rispetto, o un riguardo per una certa maestà. La frase denota l’atteggiamento spirituale di questo giudice: non aveva mai avuto un pensiero d’avere rispetto per la maestà di Dio o del fatto che gli uomini possano temere il suo nome. Tuttavia non riesce a mantenere la sua posizione. In ultima analisi c’è una qualche reverenza per la maestà della giustizia di Dio, una certa timorosa esitazione davanti a quella giustizia, che gli viene rievocata dalle costanti suppliche della vedova. La rivendicazione della giustizia lo raggiunge attraverso gli appelli che gli uomini gli fanno. Pertanto, dopo tutto, ha timore. Questo rispetto per la giustizia, questo inchinarsi alle sue rivendicazioni, è ancora presente nei non-credenti a dispetto di se stessi. È pur sempre un frutto del patto di grazia, applicata in prima istanza al suo popolo ma che si manifesta anche nella vita dei non-credenti.

In questo senso è possibile un paragone tra il giudice iniquo e Dio. A motivo della propria giustizia Dio farà sicuramente giustizia ai suoi eletti. Ma nel caso di Dio, la giustizia non è un qualche potere coercitivo che sta al di sopra di lui: è qualcosa che procede da lui stesso, è la giustizia del suo patto. Quella giustizia non è mai in contrasto col suo amore ma in armonia con esso.

Dio farà giustizia rapidamente ai suoi eletti benché sia longanime con loro. Che è longanime significa che fa loro attendere la sua decisione: non dà il suo aiuto in ogni cosa immediatamente. Mediante questo ritardo desidera permettere che la fede che mette nei suoi eletti si sviluppi. Per mezzo di questa prova la loro fede deve venire allo scoperto. In questo modo, mentre da un lato tarda a venire in loro soccorso, dall’altro si affretta in loro aiuto. Aiuterà non appena lo sviluppo della loro vita lo permetterà.

Che egli faccia giustizia ai suoi eletti non deve portarci a chiederci: sono uno degli eletti? Ognuno che veda l’onore della chiamata di Dio nella sua vita e risponda alla sua chiamata è un eletto. Non sto suggerendo una dottrina dell’elezione sulla base della fede che Dio ha visto anticipatamente. L’elezione è infatti la causa e la fede il risultato. Ma questa elezione non è proclamata come teoria. La rivelazione dell’elezione deve smuoverci. È eletto chiunque notte e giorno invoca Dio e in quel modo dimostra che  ha udito la sua chiamata. La chiamata di Dio è la sua chiamata a entrare nel patto.)

È indubbiamente vero che la parabola sollecita a pregare e a non arrendersi mai. Ma sbaglieremmo a inviare questa sollecitazione senza porre sullo sfondo le basi per quella sollecitazione, vale a dire che poiché Dio è giusto ci ascolterà sicuramente. Ciò che Dio fa è il fondamento per ciò che noi facciamo.

Così, la parabola successiva (del fariseo e del pubblicano, che in effetti è solo un esempio) è collegata con questa. Il collettore di tasse fece un appello a Dio per giustizia. Ma è la giustizia del suo patto, giustizia secondo la sua promessa alla quale si appellò. Infatti Dio farà giustizia ai suoi in contrapposizione a qualsiasi cosa li contrasti perché li ha eletti. Pertanto, quella giustizia non è basata sulle loro opere come immaginava il Fariseo. Degna di nota, a questo riguardo è la preghiera del pubblicano: “O Dio abbi pietà di me”, cioè sii riconciliato con me. Quella era una preghiera fondata sulla Parola di riconciliazione che era tipizzata in particolare nel tempio. Il pubblicano si appellò alla giustizia del patto. Pertanto era uno degli eletti.

          Concetto principale: Poiché Dio opera la giustizia secondo il suo patto,
dobbiamo appellarci ad essa incessantemente.

          L’obbligo di un giudice. Il Signore Gesù aveva parlato (cap. 17) della fine del mondo e delle oppressioni che sarebbero sopraggiunte. Che ingiustizie avrebbero dovuto subire i credenti e quanti attacchi avrebbero dovuto sopportare! In quel conflitto si devono appellare a Dio incessantemente. Dio non li aveva forse eletti al suo favore e adottati come suo popolo? Su questo poggiava la promessa che li avrebbe liberati e avrebbe dato loro la vittoria. Avevano diritto al compimento di quella promessa. Non avrebbe il Signore fatto giustizia?

Gesù ci assicurò con una parabola che Dio avrebbe fatto giustizia. C’era una volta un giudice che negligeva il proprio compito. Non sembrava neppure preoccuparsi delle conseguenze della sua negligenza. Essendo uno che non tremava davanti alla maestà di Dio non aveva per niente timore della punizione divina. E nemmeno si tirava indietro di fronte al potere delle maledizioni degli uomini. Nella sua città viveva una vedova che stava patendo un’ingiustizia. Venne dal giudice per chiedergli che si occupasse dei suoi diritti. Ma, capriccioso qual era non si interessò affatto delle sue rimostranze e la mandò via. Ma lei persistette.

Allora il giudice si intimorì. Benché non temesse Dio né gl’importasse degli uomini, nondimeno sentì che non poteva rifiutare indefinitamente di occuparsene. Tanto per cominciare, le lamentele della vedova lo infastidivano. Ma specialmente temeva la giustizia che la vedova chiedeva e che lui stava trascurando. Se non avesse fatto qualcosa per risolvere la questione questa donna lo avrebbe probabilmente distrutto. Alla fine sentì che non poteva lasciare che l’ingiustizia rimanesse impunita, altrimenti la giustizia avrebbe potuto sollevarsi contro di lui. Per quella ragione, finalmente la aiutò.

“Se alla fine”, disse Gesù, “questo giudice iniquo fu costretto dalle minacce che la giustizia gli rivolgeva a venire in soccorso a questa vedova, non agirà con giustizia Dio nel quale la giustizia ha la propria origine? Dio ha dato la sua promessa al suo popolo e perciò ha dato loro il diritto di sperare in Lui. Sicuramente farà in modo che sia loro fatta giustizia”.

Pertanto i credenti devono appellarsi a lui continuamente. Dio può rinviare la giustizia per un tempo, può voler mettere alla prova i credenti e per mezzo di quella prova maturare la loro fede. E tuttavia si affetta in loro soccorso. Non appena la loro maturità lo permetterà li aiuterà. Secondo le sue promesse ne hanno diritto. Egli ha posto il suo sigillo su quelle promesse fatte  al suo popolo. Chiunque oda quella promessa in fede e chiede a Dio di mantenere la sua Parola appellandosi alla sua giustizia appartiene al suo popolo.

          La base per i “diritti” del suo popolo. Dobbiamo tenere a mente che abbiamo diritto alle benedizioni di Dio solo perché Dio ce le ha promesse. La sola base per quel “diritto” è la promessa che Dio ha fatto nel patto di grazia, non per alcuna delle nostre opere. Perfino la cerchia dei discepoli era continuamente minacciata dal peccato di confidare in se stessi. I discepoli avevano dichiaratamente rotto con i Farisei, eppure c’era ancora in loro quello speciale peccato farisaico del confidare in se stessi. Di conseguenza il Signore Gesù li mise in guardia per mezzo di un esempio.

Un giorno un Fariseo e un pubblicano salirono al tempio a pregare. Ambedue cercarono Dio in preghiera. Ma che diversità nei modo di farlo! Il Fariseo pensava di aver guadagnato il favore di Dio con le sue opere; così la sua preghiera voleva il premio per la sua vita. Il pubblicano sapeva di aver abbandonato il patto di Dio e di essere indegno del favore di Dio. Sapeva che il favore di Dio era un dono gratuito e che Dio lo dava col perdono dei  nostri peccati. Tuttavia, sebbene avesse trasgredito il patto di Dio, osava ancora salire al tempio a pregare. La sua preghiera si aggrappò alla Parola della grazia.

Nella sua preghiera il fariseo ringraziò Dio che non era come gli altri uomini, come un evidente peccatore e nemmeno come il pubblicano che era anche lui entrato nel tempio. Ignorò completamente il peccato del proprio cuore non-caritatevole, egoista e incredulo. A quanto pare non sapeva nulla della Parola che promette grazia ai peccatori. Al contrario, riassunse tutte le sue buone opere: aveva perfino fatto più di quanto la legge gli richiedesse. Non gli passò nemmeno per la mente che Dio non riconosce il merito o che possiamo servirlo solo se gli apparteniamo anima e corpo nel suo patto. Pensò di aver fatto ciò che la legge gli richiedeva. Solo che la legge è la volontà del Padre e lui non conosceva Dio come Padre: non aveva neanche cominciato a fare la volontà del Padre.

Il pubblicano era rimasto a una certa distanza e non osava neanche alzare gli occhi ma si batté il petto e invocò: “O Dio abbi misericordia di me (sii riconciliato con me) un peccatore!”. Dio poteva perdonare il peccato della rottura del patto ed essere riconciliato di nuovo con lui. Non aveva proprio il simbolo della riconciliazione davanti a sé nel tempio? Non aveva Dio promesso quella riconciliazione nella sua Parola? Pertanto, la base della preghiera del pubblicano non fu la sua vita, la sua conversione, il suo onesto pentimento e nemmeno la sua fede o la sua preghiera ma solamente la Parola di Dio.  Così anche lui si appellò a ciò che era suo diritto: era il diritto che Dio nella sua grazia ha dato al suo popolo, a tutti quelli che sperano in lui.

Noi scivoliamo così facilmente dalla fiducia nella Parola di Dio alla fiducia in noi stessi. Contro questo Gesù avvertì i suoi discepoli. Il pubblicano scese a casa sua giustificato. Dio era stato riconciliato con lui e lui godette il favore e la comunione di Dio. Il fariseo era estraneo a tutto questo. Non conosceva né la grazia di Dio, né la meravigliosa comunione con lui che, nella sua grazia, diventa la nostra porzione. Facciamo appello alla giustizia anche quando chiediamo il perdono dei nostri peccati, ma alla giustizia che ci ha elargito mediante la sua Parola!


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