Per molti lettori potrebbe costituire una sorpresa scoprire che le fasi storiche del patto ci vengano chiaramente segnalate nella Scrittura in base alla montagna specifica su cui ognuna di queste fasi è stata inaugurata. Perciò, appare appropriato che il Salmo 121, il secondo dei “canti di pellegrinaggio”, si apra con queste parole spesso fraintese: “Alzo gli occhi verso i monti…Da dove mi verrà l’aiuto?”. Nelle seguenti pagine, sotto i titoli di “il monte …”, prenderemo in considerazione una per una le fasi e gli accordi della storia del patto così come si va realizzando con Adamo, Noè, Abrahamo, Mosè, e Davide (il culmine del patto con Gesù Cristo sarà il fulcro della seconda parte). Alzeremo lo sguardo verso i monti più importanti della Scrittura, “i monti di Dio”, per trovare l’aiuto di cui abbiamo bisogno. Di monte in monte, eleveremo i nostri cuori, iniziando dal giardino dove tutto ha avuto origine per poi concludere con la città celeste di lassù. Dio “mi farà camminare sulle alture” (Abacuc 3:19). Non profetizzò così Isaia: “Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte della casa del Signore si ergerà sulla vetta dei monti e sarà elevato al di sopra dei colli; e tutte le nazioni affluiranno a esso” (Isaia 2:2)?
IL MONTE DI EDEN
1. Amico mio, di quel giardino Collocato gloriosamente
sul vertice di quell’altezza
ove dimora la gloria <divina>. Non è possibile descriverne il tipo neppure idealmente.
2. Forse l’albero
Benedetto, l’albero della vita, con i suoi raggi è
il sole del paradiso …
nella brezza gli alberi
si piegano come in adorazione davanti a lui,
che è comandante e re degli alberi 1.
La storia di Adamo e del patto inizia su un monte, a oriente di Eden, in un giardino (Genesi 2:8; un giardino senza dubbio situato su un altopiano sul fianco della montagna). Il fiume che “usciva dall’Eden per irrigare il giardino” si diramava in quattro bracci che scendevano lungo la montagna. Dio dirà più tardi al re di Tiro, lontano discendente di Adamo, misteriosamente identificato con lui: “Tu mettevi il sigillo alla perfezione, eri pieno di saggezza, di una bellezza perfetta; eri in Eden, il giardino di Dio; … Ti avevo stabilito, tu stavi sul monte santo di Dio” (Ezechiele 28:12-14).
Il racconto della Genesi di ciò che è avvenuto su questo primo monte ci introduce al motivo di base della sacra Scrittura: Creazione-Caduta-Redenzione 2. Questo motivo fondamentale attraversa tutta la Bibbia fino a raggiungere la sua massima esposizione nell’Apocalisse, ricevuta e messa per iscritto da san Giovanni (cfr. Isaia 51:3, Ezechiele 36:33-36).
Il mandato culturale alla creazione
Per entrare nel patto di Dio, nella comunione d’amore, così come per riuscire a portarlo avanti nel tempo, era necessario che l’uomo a immagine di Dio fosse creato perfetto. Di conseguenza, ci viene detto che l’uomo a immagine di Dio fu creato “buono” e addirittura “molto buono” (Genesi 1:31). Una volta creato, l’uomo a immagine di Dio viene incaricato di una missione importante: il mandato culturale. La vita terrena sarebbe stata il teatro della sua attività, poiché dalla terra era stato formato e su di essa doveva esercitare il dominio 3. Il patto di Dio con l’uomo è orientato al futuro sin dall’inizio.
Gli alberi del giardino presentano all’uomo, in modo naturale e simbolico, la vasta gamma di possibilità che la vita gli offre – tutte le occupazioni, le arti e le scienze utili per sviluppare una cultura. La sua opera di vita consisterà nel glorificare il Signore con l’essere – e cercando di diventare sempre di più – sua immagine e somiglianza.
A questo scopo, all’uomo-immagine di Dio vengono date tre vocazioni: essere un re, un sacerdote e un profeta.
Come re, l’uomo è chiamato ad esercitare il dominio sulla creazione, esplorandola e studiandola, dando un nome alle creature con accuratezza sempre maggiore e trasformando il mondo sub-umano (cioè, “sottomesso all’uomo”) grazie allo sviluppo delle sue capacità. Tuttavia, il successo di questa vocazione dipende dal suo chiedere e ricevere quella saggezza che inizia e trova il suo principio vitale nel timore del Signore, cioè quel rispetto riverente che può esprimersi solo nella piena e incondizionata sottomissione alla sua Parola (Giobbe 28:28; Salmi 111:10; Proverbi 1:7; 9:10).
Come sacerdote, l’uomo è chiamato a custodire e servire la casa di Dio là dove è stato posto (in origine questo luogo era il giardino, cfr. Kingdom Prologue di Meredith Kline). Il compito del sacerdote è quello di discernere e mantenere le distinzioni, i confini, che il Signore ha stabilito (cfr. Ezechiele 44:23). Già nel capitolo iniziale della Genesi vengono mostrate diverse “separazioni” stabilite da Dio: luce-tenebre, acque sopra e acque sotto, terra-mare, bene- male, maschio-femmina 4.
Inoltre, in quanto sacerdote, è chiamato a rendere grazie per tutte le cose, offrendo tutto, specialmente sé stesso, a Dio. Questo è il suo culto “logico”, cioè il culto secondo il Logos, la Parola di Dio (Romani 12:1) 5.
Come profeta, l’uomo è chiamato a rimanere in comunione con il Consiglio di Dio, l’uno e molteplice che, con la sua rivelazione, gli fa conoscere, in parte, il suo segreto – “Poiché il Signore, Dio, non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti” (Amos 3:7; cfr. Geremia 23:18). Per mantenere questa relazione privilegiata, l’uomo deve sempre lottare contro ogni minima tentazione o spinta a diventare autonomo. Quando Adamo fu tagliato fuori dall’Eden in seguito alla caduta, fu tagliato fuori anche dal Consiglio di Dio che Dio, per sua grazia, aveva un tempo condiviso con lui. È solo con i profeti – prima con Abrahamo, poi soprattutto con Mosè – che Dio condividerà di nuovo il suo Consiglio con gli uomini del patto.
Non possiamo non notare che i comandamenti del patto edenico sono indirizzati non solo alle singole persone – a Adamo ed Eva – ma anche alle comunità. Più in generale, nei comandamenti dati all’ “uomo”, è inclusa l’intera razza umana in Adamo, e con lui in qualità di suo capo e rappresentante. Più specificamente, con Adamo ed Eva, Dio stabilisce il matrimonio e la famiglia (Genesi 1:26-28; 2:18-24). Il patto si applica ugualmente alle comunità e agli individui, da cui derivano responsabilità di natura sia individuale che collettiva. Questo duplice aspetto del patto ci viene riproposto continuamente in tutta la Scrittura, nel corso della quale si fa sempre più chiaro e di più ampia portata.
Il peccato originale
Adamo trasgredì il patto (Osea 6:7). Il suo atto di mangiare dall’albero sacramentale del bene e del male rivelò la sua mancanza di rispetto per il divieto specifico di Dio, così come, più in generale, il suo rifiuto della teonomia, dell’autorità della Legge di Dio (e quindi del Vangelo!). Questo folle atto di rivolta era guidato dalla sua brama di autonomia, di essere legge a sé stesso, di essere “come Dio” in un senso malvagio, per il quale la razza umana, con Adamo e in Adamo, ha pagato le conseguenze fino ad oggi (“il salario del peccato è la morte”; Romani 6:23).
Infatti, l’uomo a immagine di Dio è stato chiamato a essere “come Dio”, e a diventarlo sempre più, ma di farlo rimanendo nel suo ruolo di creatura e agendo in virtù della gratitudine per la teonomia. Il desiderio di Adamo di essere “come Dio”, invece, scaturì dalla sua insana voglia di sostituire la sua propria legge (la sua autonomia) alla Legge del Signore (teonomia). Se la cosa giusta da fare consisteva nel prestare attenzione alla comunicazione pattizia attraverso cui un uomo in comunione con Dio ascolta e segue ciò che il Dio personale, uno e molteplice, gli dice – sussurrato all’orecchio, da cuore a cuore – Adamo invece, istigato dall’ “avversario”, fece in modo che la sua voce autonoma e insensata, la voce di un uomo che si fa Dio, si sostituisse a ciò che Dio aveva chiaramente detto … solo per poter fare il contrario. Il suo orgoglio si gonfiò a tal punto che il legittimo diritto di Dio su di lui – di potergli dire, in qualità di suo Creatore, che tipo di uomo avrebbe dovuto essere o non essere, che genere di cose avrebbe dovuto fare o non fare – gli divenne insopportabile.
Se il peccato di Adamo, il peccato originale che la razza umana ed ogni creatura umana avrebbe in seguito portato dentro di sé, si fosse in qualche modo potuto spiegare (come a causa di un’imperfezione nell’opera divina della creazione, o a qualcosa di mancante nella condizione creata dell’uomo), poteva allora essere scusato (il che è esattamente ciò che Adamo ed Eva cercarono di fare con le loro bestemmie; Genesi 3:11-13). Ma il peccato originale (cioè, il peccato di Adamo e anche il nostro con e in Adamo) è davvero inescusabile, proprio perché è veramente inspiegabile. Pertanto, Adamo ed Eva, ed ogni creatura umana, non hanno nient’altro da dire se non mea culpa, mea maxima culpa, in mancanza del seppur minimo tentativo di fornire una ragione valida per ciò che hanno commesso.
Giudizio e grazia
Eppure, subito dopo la caduta, sul monte, ancora nel giardino d’Eden, il Patto di Grazia continua. Consapevoli della loro “nudità” ora che si sono volontariamente spogliati della grazia, e spaventati dal Dio del patto che li sta cercando, Adamo ed Eva cercano di nascondersi da Lui nel giardino e di coprire la loro nudità con “foglie di fico” cucite insieme (Genesi 3:7-10). Ma il “Signore Dio” (il suo nome in qualità di Signore del patto) li chiama per annunciare loro sia il suo giusto giudizio (Legge!) sia la grazia che rinnoverà loro (Vangelo! – la grazia che Egli rinnova loro è anche la grazia che li rinnova). Ora, sotto il suo giudizio, le creature umane saranno cacciate dal giardino e d’Eden verso il resto della terra, entrando così in una nuova condizione storica, una piena di pericoli, dolori e tensioni tra loro e l’ambiente circostante. Essi sanno ormai e hanno ancora molto altro da imparare, con grande timore, su ciò che era inteso con l’avvertimento: “Morirete” (Genesi 2:17 e 3:16-19) 6.
La grazia del Signore Dio, ricevuta con fede e pentimento, permette ad Adamo di dare un nome a sua moglie. La chiama Eva, che significa “Vivente” (è infatti lei la madre di tutti i viventi). Questa grazia è indicata e suggellata dal fatto che Dio confeziona delle tuniche di pelle con cui coprirli. Le tuniche di pelle sono precursori sacramentali della redenzione, quella redenzione che sarà prefigurata dal sangue dei sacrifici offerti ripetutamente e temporaneamente durante l’epoca dell’antico patto nel Patto di Grazia, poi compiuta infine dal sangue del sacrificio unico e perfetto di Cristo Gesù, “Dio fatto uomo” per noi e per la nostra salvezza, durante l’epoca del nuovo patto nello stesso Patto di Grazia. Era dunque vero anche nel giardino che “senza spargimento di sangue non c’è perdono” (Ebrei 9:22; cfr. Ebrei 10:5-10); e la salvezza viene ancora paragonata all’essere “rivestiti” della grazia di Dio anche dopo la venuta di Cristo: “Infatti voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo” (Galati 3:27) 7.
IL MONTE ARARAT
Chi mai ha visto fiori colti dai libri come dai monti? (…)
Sono fiori santi:
accoglieteli con i vostri sensi 8.
I figli degli uomini e i figli di Dio
Man mano che la storia del patto si spinge oltre Adamo ed Eva, la natura di questo patto si fa sempre più chiara alla luce di due dei loro figli, Caino e Set, e dei loro rispettivi discendenti. I discendenti di Caino erano “i figli degli uomini”, adamitici ribelli al patto. Ma tra i discendenti di Set, Dio suscitò “i figli di Dio”, gli adamiti fedeli al patto. Questa divisione della razza umana in due popoli durò finché i “figli di Dio” cominciarono a sposare “le figlie degli uomini”, il che portò a una ribellione mondiale della razza umana contro il Signore e il suo patto. La “malvagità dell’uomo” divenne così grande (“il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo”) che il Signore “se ne addolorò in cuor suo” e decise di sterminare uomini e animali dalla faccia della terra (Genesi 6:5-7 e 11-12). Questo portò quindi al Diluvio. Noè, un uomo fedele al Patto di Grazia, insieme alla sua famiglia e a numerose coppie di animali, furono gli unici ad essere risparmiati (Genesi 6:13-8:19). Il Patto di Grazia fu rinnovato e confermato con Noè e la sua stirpe sul monte Ararat (Genesi 8:20-9:27).
Per fedeltà al patto, Abele, figlio di Adamo, aveva offerto a suo tempo il sacrificio “dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso” che “il Signore guardò con favore” (Genesi 4:4). Allo stesso modo, per la stessa fedeltà, quando uscì dall’arca sul monte Ararat (un nuovo monte di Dio, situato forse proprio dove si trovava il vecchio monte di Eden), Noè costruì un altare al Signore, offrendo un sacrificio di “animali puri” che il Signore accettò.
Il sacrificio di Noè
Dopo che questo sacrificio fu offerto e accettato, la storia della Genesi continua con il monologo che ha luogo quando il Dio uno e molteplice dice “in cuor suo”:
Io non maledirò più la terra a motivo dell’uomo, poiché il cuore dell’uomo concepisce disegni malvagi fin dall’adolescenza; non colpirò più ogni essere vivente come ho fatto. Finché la terra durerà, semina e raccolta, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno mai (Genesi 8:21-22).
Poi Dio rinnova la benedizione del patto su Noè e i suoi figli, la stessa pronunciata in precedenza sui nostri progenitori: “Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra” (Genesi 9:1; cfr. Genesi 1:26). Egli riafferma qui più precisamente ciò che aveva già affermato in Genesi 1: “Sottomettete la terra; esercitate dominio sulle creature” (animali e vegetazione). Elargisce i suoi precetti pattizi riguardo all’uso dei vegetali e degli animali per l’alimentazione. E se in un primo momento Dio aveva messo un segno su Caino, l’assassino, per proteggerlo (Genesi 4:15), ora mette in chiaro che chiunque uccida una creatura umana, immagine di Dio, sarà giustamente punito con la morte (Genesi 9:2-7). Il Signore dichiara anche che il Patto di Grazia riguarda “generazioni in perpetuo”, o “generazioni future” (Genesi 9:12).
Conclude ricordando all’uomo che, poiché i fedeli al patto esercitano un ruolo di dominio sulla natura (minerale, vegetale, animale), il rinnovato Patto di Grazia comprenderà l’intero cosmo. Questo era già implicito nelle parole che Dio pronunciò in cuor suo allorché Noè offrì sacrifici dopo essere uscito dall’arca. Egli afferma espressamente che il Patto di Grazia si estende anche agli animali, e persino a tutto il regno della natura: “Io mi ricorderò del mio patto fra me e voi e ogni essere vivente di ogni specie” (Genesi 9:11-17; cfr. Romani 8:18 e seg.). Da quel momento in poi, finché la terra durerà, il Dio che è fedele al Patto di Grazia e ai suoi membri conserverà e proteggerà l’ordine della natura – e questo a beneficio di tutta l’umanità.
I sopravvissuti al Diluvio – otto persone in tutto, compreso Noè – formano una sorta di “residuo fedele” del Patto di Grazia. In questo momento storico, sul monte Ararat, questi otto superstiti rappresentano l’embrione del futuro popolo del nuovo Adamo che verrà (cfr. 1 Pietro 3:20-21). Secondo la promessa del Signore, questo embrione del popolo del patto sarà fecondo, si moltiplicherà e riempirà la terra; la sottometterà ed eserciterà il dominio sulle creature.
Uno sviluppo importante consiste nel fatto che, dopo il giudizio diluviano, Dio autorizza e ordina la legittima difesa dei membri del Patto di Grazia contro la cattiveria dei loro avversari. Il segno di protezione che aveva posto su Caino (Genesi 4:15; 9:5-7) viene ritirato: la pena di morte deve essere ora pronunciata su ogni assassino. Così il rinnovamento del Patto di Grazia sul monte Ararat segna una nuova tappa e un progresso rispetto a ciò che accadde ai tempi di Adamo ed Eva sul monte di Eden e nel periodo successivo fino al Diluvio. Ora che la caduta è avvenuta e il peccato originale ha corrotto la razza umana, ora che “il cuore dell’uomo concepisce disegni malvagi fin dall’adolescenza” (cosa sentita in maniera più acuta dai membri del Patto di Grazia!), il rinnovato patto, con le sue promesse, comandi, avvertimenti e segni, deve essere compreso, più di prima, in termini di perdono e redenzione. Tale redenzione, sebbene prefigurata dal sangue di sacrifici temporanei e imperfetti come quelli offerti da Set e Noè, sarà compiuta dal sangue dell’unico e perfetto nuovo Adamo che verrà, Dio fatto uomo. Di conseguenza, i testi della Genesi dovranno ora essere letti attraverso la lente del nuovo Adamo.
L’ arcobaleno
Il rinnovamento del patto sul monte Ararat è accompagnato dal segno sacramentale dell’arcobaleno.
Dai tempi del Diluvio – che portò profondi e indescrivibili sconvolgimenti nella storia del mondo, e fino a quando la terra durerà – c’è stato e continuerà ad esserci l’arcobaleno. Sebbene dato come segno visivo e simbolo per i fedeli del Patto di Grazia (che non viene negato a nessuno! Genesi 9:17), esso ci viene presentato in Genesi 9:9-17 più come un promemoria per Dio stesso: “Io mi ricorderò del mio patto fra me e voi e ogni essere vivente di ogni specie, e le acque non diventeranno più un diluvio per distruggere ogni essere vivente. L’arco dunque sarà nelle nuvole e io lo guarderò per ricordarmi del patto perpetuo fra Dio e ogni essere vivente, di qualunque specie che è sulla terra.” L’enfasi è posta sull’espressione “il mio patto” (berîthî) grazie al suo triplice uso, e anche l’espressione “segno del patto” e la parola “arcobaleno” compaiono tre volte ciascuna. Sarebbe opportuno, quindi, considerare altri tre versetti della Bibbia che parlano dell’arcobaleno.
In primo luogo, quando Ezechiele avrà la sua visione della gloria di Dio, dirà: “Quale è l’aspetto dell’arco che è nella nuvola in un giorno di pioggia, tale era l’aspetto di quello splendore che lo circondava. Era un’apparizione dell’immagine della gloria del Signore” (Ezechiele 1:28).
Secondo, quando l’apostolo Giovanni avrà la sua visione di Dio sull’isola di Patmos, noterà “intorno al trono (…) un arcobaleno che, a vederlo, era simile allo smeraldo.” (Apocalisse 4:3).
E, terzo, quando questo stesso Giovanni avrà la visione di Gesù Cristo nella sua gloria, la descriverà come “un (…) angelo possente che scendeva dal cielo, avvolto in una nuvola e con l’arcobaleno sul capo; il suo volto era come il sole e i suoi piedi come colonne di fuoco.” (Apocalisse 10:1).
Ed è così che, quando Dio, circondato dalla nuvola della sua gloria, guarda il suo mondo e il suo popolo, li vede sempre attraverso l’arcobaleno, il memoriale luminoso del suo Patto di Grazia.
Dopo il patto di Noè, vengono stabilite le settanta nazioni (goyîm) – dove il numero “settanta” è sia storico che simbolico. È storicamente significativo in quanto si riferisce ai settanta discendenti di Noè: i figli e i nipoti di Jafet (14), quelli di Cam (30) e quelli di Sem (26). Questi settanta furono gli antenati dei clan da cui ebbero origine le prime nazioni, ognuna contraddistinta dal proprio paese e dalla propria lingua. Il numero “settanta” è simbolicamente significativo in quanto si riferisce alla totalità (10 x 7) delle nazioni, tutte quelle che esisteranno sulla terra nel corso della storia dal Diluvio alla fine del mondo (Genesi 9:7-17; 10:32). Ogni nazione (così come ogni famiglia e patria; cfr. Efesini 2:14) prende il suo nome, cioè trae la propria realtà, da Dio Padre, che, nel suo piano eterno, ne ha concepito la costituzione, nel suo tempo, nella storia – “Egli ha tratto da un solo (sangue) tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate e i confini della loro abitazione …” (Atti 17:24-28; cfr. anche Deuteronomio 32:7-8; Salmi 22:28; 86:8-10; Matteo 28:18-20). Il piano divino per le nazioni era stato annunciato già nel patto edenico, in cui l’obbedienza ai comandamenti profetici – “siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra” – doveva spingere la razza umana a espandersi in tutta la terra, sottomettendola ed esercitando il dominio su di essa man mano che si moltiplicava. Dio ha così a cuore la diversità delle nazioni che non permetterà al mondialismo totalitario didurare, che si tratti della torre di Babele (Genesi 11) o degli arroganti imperi che sono sorti e caduti l’uno dopo l’altro.
IL MONTE MORIA
È la sua Parola infatti
lo scrigno dei tesori dove lo aprì
si arricchirono le creature. 9
Prima del Diluvio, l’unica grande differenziazione conosciuta dalla razza umana, la razza di Adamo, era quella che esisteva tra i Cainiti e i Setiti. I Cainiti, prima a immagine di Caino, poi a immagine di Lamec (la settima generazione da Adamo attraverso Caino), vivevano e respiravano omicidio e invidia (Genesi 4:23,24). I Setiti, a immagine di Enoc (la settima generazione da Adamo attraverso Set) cercavano di “camminare con Dio” e di rispettare il segno di protezione che il Signore aveva posto su Caino e i suoi discendenti. I Cainiti approfittarono di questa protezione, sfruttando l’incapacità dei Setiti di difendersi per ottenere il dominio su di loro. Alla fine, i “figli di Dio”, non dando più importanza alla loro identità di stirpe fedele, “videro” che le figlie dei Cainiti, le “figlie degli uomini”, erano “belle” (proprio come Eva aveva “osservato” che l’albero proibito era “bello da vedere”; Genesi 3:6). Presero dunque delle mogli tra di loro, e iniziarono così a percorrere la strada che li avrebbe portati alla rovina. Dio si sarebbe a quel punto “pentito” di aver creato l’uomo sulla faccia della terra. Così, inevitabilmente, arrivò il giudizio di Dio (Genesi 6:1-7).
Le nazioni
Come già detto, la razza umana dopo il Diluvio sarà divisa in nazioni, ognuna delle quali acquisirà in qualche modo, e nel tempo, la propria area geografica, il proprio governo e la propria lingua. Dovremmo prendere nota di due cose in questo passaggio. In primo luogo, nella lista delle nazioni ne compare una di nome Eber, un antenato di Abrahamo e discendente di Sem, da cui verranno gli Ebrei. In secondo luogo, la traduzione greca della Bibbia ebraica – realizzata tra il 250 e il 130 a.C. – è chiamata la versione dei Settanta, o, più brevemente, “la Septuaginta” (LXX), perché destinata ad essere letta da coloro che non erano ebrei, cioè dai (70) popoli delle nazioni.
Dio – Uno e molteplice
Desiderosi di autonomia in maniera ostinata e pieni di orgoglio, gli uomini rifiutarono il piano di Dio l’uno e molteplice e cercarono invece di costruire per sé stessi una città e una torre la cui cima giungesse fino al cielo con cui poter acquistare fama nel mondo (Genesi 11:4).
Va qui notato che il vero Dio si presenta sia come uno che come molteplice (“Scendiamo dunque e confondiamo il loro linguaggio”; Genesi 11:7), come del resto fa in tutta la Bibbia. Nell’Antico Testamento, il nome più frequente di Dio (appare più di 2.500 volte) è Elohîm, una parola che è, allo stesso tempo, sia singolare che plurale: El che significa Dio, l’unico Dio, e il suffisso îm che indica la pluralità. Inoltre, lo Spirito di Dio (ad esempio Genesi 1:2; 2 Cronache 24:20; Giobbe 33:4; Isaia 11:2; 34:16; Ezechiele 11:5; 37:9 e seg.) e l’Angelo del Signore (Genesi 16:7; 22:11, 15; 24:7, 40; 31:11; 32:24 e seg. [cfr. Osea 12:4]; Genesi 48:16) sono chiaramente due persone in un unico Dio, distinte dalla terza, il Padre, essendovi tre persone in tutto. Infine, per quanto riguarda la testimonianza dell’Antico Testamento, ci sono alcuni passi della Genesi che abbiamo già citato in cui Dio usa “Noi” invece di “Io” (Genesi 1:26 e 11:7). Nel Nuovo Testamento, il Dio uno e molteplice è chiaramente rivelato come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Ma a Babele, il Signore confonde i piani presuntuosi degli uomini e la loro pretesa d’autonomia e “li disperde di là su tutta la faccia della terra” (Genesi 10 e 11:1-9). Questo giudizio storico di Dio pone fine all’impresa di costruzione dell’impero a Babele. Tale sarà il destino di ogni impero, di ogni “pseudo-monte”, di ogni torre e piramide destinata a costituire una versione artificiale dei “monti di Dio” (cfr. Daniele 2:31-45).
*
Il Libro della Genesi è composto da una serie di tavolette. Le più lunghe riguardano Abrahamo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe. Con la tavoletta di Abrahamo, l’attenzione si concentra dalla storia delle nazioni alla fase patriarcale del clan ebraico, un clan che si svilupperà separatamente dagli altri semiti (= discendenti di Sem) e formerà la propria chiesa-famiglia, discendendo da quattro patriarchi successivi: Abrahamo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe. Il clan ebraico non è uno stato, né è ancora un popolo o una nazione. In questa fase non è che l’embrione del popolo d’Israele.
Abraamo (2000 a.C. circa)
La figura di Abrahamo – dapprima chiamato Ab-ram (sommo padre), diventato Ab-raham (padre di una moltitudine) – è quella di un padre terreno (ab significa “padre”) che cammina in stretta comunione con il Padre celeste, tanto da diventare la sua parabola vivente sul monte Moria (Genesi 22).
Questa tavoletta della Genesi ci racconta di otto incontri tra Dio e Abrahamo, “l’amico di Dio” (cfr. 2 Cronache 20:7; Giacomo 2:23). In ognuno di questi incontri, Dio parla (o si mostra e parla) ad Abrahamo e Abrahamo crede e obbedisce (Genesi 12:1-4; 12:7-8; 13:14-18; 15; 17; 18; 21:12-14 e 22:1-9).
Il primo di questi incontri ebbe luogo a Ur dei Caldei, la terra di origine dei genitori di Abrahamo. Gli altri sette ebbero luogo in Palestina, nella terra di Canaan: prima a Sichem, nel mezzo del paese, poi e più spesso a sud, a Hebron, e infine sul monte Moria, il sito della futura Gerusalemme, forse proprio sulla collina dove sarebbero state poste le fondamenta del Tempio (2 Cronache 3:1).
Ovunque avessero luogo questi incontri, il che spesso avveniva dov’egli risiedeva o aveva piantato le sue tende, Abrahamo costruiva altari (un modello in miniatura dei monti santi per elevare i cuori e le mani a Dio nei cieli; Lamentazioni 3:41). Su questi altari offriva, con adorazione e preghiera, sacrifici di uccelli e bestie grandi e piccole per magnificare il Signore, il suo patto, le sue promesse, i suoi comandamenti e i suoi avvertimenti. Il sacrificio massimo nella vita di Abrahamo avvenne quando, in obbedienza allo straordinario e misterioso comando di Dio, offrì in cuor suo e con le proprie mani (e sarebbe andato fino in fondo), il suo unico e amato figlio, Isacco. Pose Isacco sull’altare “persuaso che Dio è potente da risuscitare anche i morti” (Ebrei 11:19). Ecco perché il monte Moria rappresenta l’incontro più commovente – una parabola vivente – tra il Signore, il Padre celeste, e Abrahamo, il padre terreno per eccellenza (Genesi 22). Siamo qui di fronte a un simbolo drammatico (Ebrei 11:19).
In occasione del sesto incontro (Genesi 18), Abrahamo ebbe il privilegio unico di ricevere tre misteriosi visitatori che manifestavano la Santa Trinità (come indica il testo, sebbene in modo velato). In quanto “padre di tutti quelli che credono” (Romani 4:11-12, 16; Galati 3:7), Abrahamo ebbe la fede, l’amore e la speranza di rivolgersi ai tre come uno (“Mio Signore“; Genesi 18:2-3) e all’uno come tre (“riposatevi sotto quest’albero”; Genesi 18:4-5).
Le tre promesse
Nel momento in cui in diverse occasioni il Patto di Grazia viene confermato ad Abrahamo (Genesi 12-22), gli vengono fatte tre promesse inscindibili:
Storicamente, la promessa di un popolo si compie al tempo di Mosè; il popolo entra in pieno possesso della terra al tempo di Davide; e il popolo e la sua terra manifesteranno la benedizione universale solo con la venuta di Gesù Cristo, Dio fatto uomo per la salvezza del mondo.
Per quanto riguarda Abrahamo, per molto tempo il grande popolo che sarebbe da lui disceso non rimase che una promessa. Poi, con Isacco, sarebbe esistito solo nella figura dell’unico figlio. Per quanto riguarda la terra promessa, Abrahamo, alla sua morte, possedeva lì solo un campo, davanti a Mamre, vicino a Ebron. Aveva acquistato questo campo da Efron, l’Ittita, per farne un luogo di sua proprietà e seppellirvi sua moglie Sara. E fu lì, nella grotta di Macpela, situata in questa proprietà, che i due figli di Abraamo (Isacco, figlio di Sara, e Ismaele, figlio di Agar la serva) seppellirono il suo corpo accanto a quello di Sara (Genesi 23 e 25:7-11).
Uomo fedele al Dio del Patto di Grazia, Abrahamo “credette al Signore, che gli contò questo come giustizia” (Genesi 15:6; citato in Romani 4:3; Galati 3:6 e Giacomo 2:23). “Perché aspettava la città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio … Perciò da una sola persona, e già svigorita, è nata una discendenza numerosa come le stelle del cielo, come la sabbia lungo la riva del mare che non si può contare” (Genesi 15:5; Ebrei 11:10, 12).
La circoncisione
Durante il suo quinto incontro con Abrahamo, Dio istituì il sacramento della circoncisione (Genesi 17:9-14, 23-27). Questo sacramento suggellò la triplice promessa fatta da Dio al padre di tutti i credenti. Si potrebbe dire che con questo marchio, la promessa fu d’ora in avanti, impressa sul corpo di ogni membro maschio del Patto di Grazia. Questa pratica sarebbe continuata fino a quando fosse durato il berîth olam, il patto perpetuo (in ebraico, olam si riferisce a un tempo, un’età, un’era, che dura fino al momento del suo compimento). Infatti, la circoncisione, come sacramento del patto, avrebbe dovuto essere mantenuta fino al compimento dell’ultima delle tre promesse: la benedizione universale in Gesù Cristo.
Secondo i versetti 23 e 27 di Genesi 17, tutti i maschi del clan abramitico, giovani e vecchi, furono circoncisi. Secondo i versetti 12 e 13, ogni bambino maschio, nato sia come discendente di Abrahamo che adottato nel clan del patriarca, doveva essere circonciso quando aveva otto giorni.
La circoncisione simboleggiava e suggellava l’adozione pattizia da parte di Dio del circonciso e la sua posizione come membro del Patto di Grazia, un posto privilegiato che doveva essere onorato sia dagli altri membri del patto che da lui stesso. Al circonciso, il marchio sacramentale della circoncisione esigeva una richiesta di tipo spirituale: riconoscere cioè lo speciale diritto che Dio aveva su di lui. Inoltre, lo stabiliva sotto le promesse del patto, ma non senza collocarlo anche nel dominio delle giuste minacce e degli ammonimenti del Signore. Perciò il Signore comandò ad Abrahamo e ai suoi discendenti di osservare il suo patto (Genesi 17:9) e “di seguire la via dell’Eterno, mettendo in pratica la giustizia e l’equità” (18:19).
Dio era apparso quella volta ad Abrahamo con un nuovo nome, El Chaddaї, il Dio onnipotente. Dio aveva pieno potere di mantenere le sue promesse e di eseguire i suoi giudizi.
In questo stesso incontro, Dio dichiarò al padre dei credenti che da Ismaele, suo figlio dalla serva, sarebbe nata una grande nazione, ma il popolo del patto sarebbe nato dal figlio promessogli per mezzo di Sara – “Io la benedirò e da lei [Sara] ti darò anche un figlio…e diventerà nazioni; re di popoli usciranno da lei” (Genesi 17:15-22).
Va notato che, in ebraico, non si “concorda” un patto, bensì si “taglia” un patto (kârath berîth). In Genesi 15:9-12 e 17 e seg., il Signore ordina ad Abrahamo di portare una giovenca, una capra e un montone e di tagliarli in due. Poi, al crepuscolo, il Signore taglia il patto con Abrahamo rinnovandogli le promesse dopo che una fornace fumante e una torcia ardente sono passate tra gli animali tagliati in due. Nella circoncisione, il taglio, la rimozione del prepuzio, serviva a segnare sul corpo del circonciso la sua chiamata ad essere fedele al patto tagliato da Dio. Il resto della Torah (Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio) acclarerà che se il circonciso dovesse diventare infedele e rinnegare il patto, sarà giustamente tagliato fuori da questo patto. Il verbo ebraico kârath può essere tradotto egualmente con “tagliare” o “togliere”, “tagliare fuori” (per esempio, Genesi 17:14 – “E il maschio incirconciso … sarà tagliato fuori dal suo popolo”).
La circoncisione dimostra visivamente e simbolicamente che la discendenza naturale e fisica da Abrahamo non è sufficiente per diventare un vero discendente spirituale di Abrahamo, il padre di tutti coloro che credono. I discendenti naturali, fisici, di Abramo non sono stati meno colpiti dal peccato originale e dalle sue conseguenze rispetto al resto della razza umana dopo la caduta di Adamo. La salvezza del popolo del patto sarà un’opera di giustificazione e santificazione a cui Dio stesso dovrà provvedere – da ricevere per grazia, mediante la fede. Il sangue della circoncisione, come quello dei sacrifici cruenti degli animali, indicava tipologicamente (typos è il greco per “figura, immagine, esempio”; cfr. Romani 5:14; Ebrei 8:5) il sacrificio del Figlio unigenito del Padre. Paolo dice che Abrahamo, ricevette il segno della circoncisione, quale sigillo della giustizia ottenuta per la fede “quando era incirconciso” (Romani 4:11). Deuteronomio afferma esplicitamente l’implicazione spirituale della circoncisione: “Circoncidete dunque il vostro cuore e non indurite più il vostro collo … Il Signore, il tuo Dio, circonciderà il tuo cuore e il cuore dei tuoi discendenti affinché tu ami il Signore, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua, e così tu viva” (10:16; 30:6)
IL MONTE SINAI
Mosè, che fa tutti discepoli
dei suoi libri celesti,
<lui>, principe degli ebrei,
ci ha fatto discepoli del suo insegnamento,
la Torah, che è scrigno delle rivelazioni…10
Il patto, con la triplice promessa, il triplice giuramento di Dio ad Abrahamo (Genesi 26:3; 22:15-18), fu confermato una volta ad Isacco (Genesi 26:2-5), poi due volte a Giacobbe (Genesi 28:12-22 e 35:6-15). È a causa del suo patto, rinnovato con Abrahamo, Isacco e Giacobbe, che Dio udì il lamento dei discendenti di Giacobbe-Israele (Genesi 35:9-10) quando erano schiavi in Egitto (Esodo 2:24-25).
I due momenti al Sinai
Due dei momenti più importanti nella storia del patto si sono verificati sul Sinai. Il primo è stato l’incontro di Dio con Mosè presso il pruno ardente (Esodo 3 e 4). Il secondo è stato la conferma del patto con il popolo di Israele (Esodo 9-40 e gli ultimi tre libri della Torah).
Il primo momento
Durante il primo episodio sul monte di Dio, a Oreb (un altro nome per Sinai), “l’angelo del Signore”, Dio stesso, appare a Mosè “in una fiamma di fuoco, in mezzo a un pruno” ma il pruno non si consuma. Egli rivela il suo nome eterno a Mosè: l’impronunciabile Y H W H (IO SONO), che gli Ebrei, seguiti da molti cristiani, hanno rimpiazzato con Adonaї (“il Signore”). Egli annuncia che il tempo è giunto per l’adempimento della prima delle tre promesse fatte ad Abrahamo: il popolo del patto, che si è formato in Egitto, sta per essere liberato dalla casa di schiavitù. Affinché sia inequivocabilmente chiaro che questo costituisce un passo importante nella storia del patto, Dio si riferisce a sé stesso tre volte come “il Dio di Abrahamo, d’Isacco e di Giacobbe” (Esodo 3:6, 16; e 4:5)
In Esodo 5-11 leggiamo del gran conflitto tra Dio e Faraone, tra il Dio vivente e gli dèi d’Egitto. Quando Mosè dà voce alla richiesta di Dio, “Lascia andare il mio popolo perché mi serva!” Faraone, volendo tenere gli schiavi per sé, risponde ostinatamente, “No!”
A quel punto Dio scatena la prima delle nove piaghe sull’Egitto.
La Pasqua
Alla vigilia della decima e ultima piaga d’Egitto, la morte di ogni primogenito tra gli Egiziani, Dio istituisce la Pasqua, il secondo dei grandi sacramenti per il popolo d’Israele (il primo è la pratica perenne della circoncisione).
La pratica di celebrare la Pasqua rendeva a tutti gli effetti sacerdote ogni capofamiglia d’Israele. Questa tradizione avrebbe dato origine all’istituzione del Tabernacolo (di cui ci occuperemo tra poco) e al sistema sacrificale di Israele.
1400 a.C. circa
In Esodo 12:1-25 leggiamo dell’istituzione della Pasqua. Dio dà istruzioni a Mosè e Aaronne su come osservare la Pasqua, la commemorazione del “passaggio” di Dio sul paese d’Egitto con conseguente giudizio per l’Egitto e salvezza per il popolo d’Israele.
Secondo l’ordine del Signore, il calendario per Israele ha inizio in primavera, nel mese della Pasqua (Nisan, marzo- aprile). “Il decimo giorno di questo mese, ognuno prenda un agnello per famiglia, un agnello per casa” dice il Signore, specificando:
Poi si prenda del sangue d’agnello e lo si metta sui due stipiti e sull’architrave della porta delle case dove lo si mangerà. Se ne mangi la carne in quella notte…Il sangue vi servirà di segno sulle case dove sarete; quand’io vedrò il sangue, passerò oltre, e non vi sarà piaga su di voi per distruggervi, quando colpirò il paese d’Egitto. Quel giorno sarà per voi un giorno di commemorazione…Osservate, dunque, questo come un’istituzione perenne per voi e per i vostri figli. Quando sarete entrati nel paese che il Signore vi darà, come ha promesso, osservate questo rito. Quando i vostri figli vi diranno: “Che significa per voi questo rito?” risponderete: “Questo è il sacrificio della Pasqua in onore del Signore!” (Esodo 12:7-8, 13-14, 24-27)
In quella notte, il Signore colpì l’Egitto con l’ultima delle dieci piaghe. Questa piaga riuscì finalmente a far breccia nel cuore indurito di Faraone, e Israele fu liberato per rendere al Signore il culto che gli doveva. Va notato che il popolo di Dio passa da un Padrone-Tiranno che lo ha reso schiavo con la forza, ad un Padrone-Signore che lo chiama ad essere libero servitore. La vera libertà non si trova in una supposta autonomia e anarchica, ma in una grata obbedienza dovuta al Creatore-Salvatore le cui leggi sono sante, giuste e buone, destinate al benessere degli uomini e alla loro crescita in conformità alla sua immagine.
Il popolo santo
Uno sviluppo significativo si ha con l’Esodo dall’Egitto al Sinai. Da quel punto in avanti, il Patto di Grazia continua non più solo con gli individui e i loro discendenti (come con Adamo e Noè), né con i soli clan che formano chiese-famiglia (come al tempo dei patriarchi). Il Patto di Grazia continuerà con un popolo che è stato liberato e salvato dalla schiavitù in Egitto, dove è stato forgiato attraverso molte sofferenze. Con questo si compie la prima promessa fatta ad Abramo: esiste, dunque, un popolo d’Israele. Da Genesi 50:20 e per tutto il resto della Torah, Dio dirà “il mio popolo” così come già aveva detto “il mio patto” – “Ho visto, ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto” (Esodo 3:7); “Vi prenderò come mio popolo” (Esodo 6:7). Mosè dirà poi a Israele: “Quanto a voi, il Signore vi ha presi, vi ha fatti uscire dalla fornace di ferro, dall’Egitto, per farvi diventare il popolo che gli appartiene, come oggi difatti siete” (Deuteronomio 4:20); “Poiché tu sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio. Il Signore ti ha scelto, perché tu sia il suo popolo prediletto fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra” (Deuteronomio 14:2). Da allora in poi, un’affermazione, una promessa, un comandamento, percorrerà, come un filo conduttore, tutta la Scrittura: Sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo (Esodo 29:45; Levitico 26:12; Geremia 24:7; 31:33; 32:38; Ezechiele 11:20; 37:23, 27; Zaccaria 8:8; 2 Corinzi 6:16; Ebrei 8:10; Apocalisse 21:7).
Secondo momento – Il decalogo
Durante il secondo episodio sul monte di Dio al Sinai, Dio rinnova solennemente e pubblicamente il Patto di Grazia. Con la mediazione di Mosè, egli avverte il suo popolo Israele: “Dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti, una nazione santa” (Esodo 19:5-6). Al suo popolo Dio dà poi il decalogo, i dieci comandamenti, i dieci principi fondamentali di condotta. Il decalogo è immediatamente seguito da leggi di applicazione per vari casi: leggi morali relative a situazioni sia individuali sia sociali, così come leggi sacrificali e cerimoniali. Un’espansione di queste leggi di applicazione si troverà non solo nel resto della Torah, ma anche in tutta la sacra Scrittura (torneremo su questo punto nella seconda e terza parte del libro).
Dopo un preambolo che ricorda chi è che si rivolge a loro (il Signore del popolo del patto) e un prologo che ricorda ciò che ha appena fatto (ha salvato il suo popolo dalla schiavitù), il decalogo rivela dunque i suoi dieci comandamenti, una serie di precetti accompagnati da affermazioni, promesse, benedizioni e avvertimenti.
Quando Mosè riferì al popolo “tutte le parole del Signore e tutte le leggi”, tutto il popolo rispose a una sola voce: “Noi faremo tutte le cose che il Signore ha dette” (Esodo 24:3).
Il sangue del patto
La solennità dell’occasione, di questo rinnovo del Patto di Grazia, fu poi segnata e suggellata da un sacrificio. Mosè costruì un altare, pose dodici pietre commemorative per le dodici tribù d’Israele e sacrificò un toro come offerta di pace al Signore. Sparse metà del sangue sull’altare e mise da parte l’altra metà in catini. Infine, dopo aver letto al popolo il Libro del Patto, il libro che egli stesso aveva scritto e di cui il popolo aveva detto di nuovo: “Noi faremo tutto quello che il Signore ha detto e ubbidiremo”, Mosè prese il sangue che aveva messo da parte e lo sparse sul popolo, e disse: “Ecco il sangue del patto che il Signore ha fatto [lett. “tagliato”] con voi sul fondamento di tutte queste parole” (Esodo 24:1-8).
Tutto ciò avvenne ai piedi del monte Sinai, la montagna sulla quale Dio era sceso e Mosè era salito (Esodo 19:20). Questo evento epocale era stato accompagnato da vari segni. La densa nuvola della gloria di Dio era scesa sul monte, il monte aveva tremato violentemente e il popolo aveva visto un fuoco ardente sulla cima del monte. C’erano stati tuoni e fulmini. Lo squillo della tromba aveva risuonato diverse volte ed era divenuto sempre più forte (Esodo 19:16-19).
Giudizio e grazia
Eppure, non ci volle molto tempo perché Israele commettesse la sua prima apostasia con l’adorazione di una presunta immagine di Dio, il vitello d’oro che si rifaceva alle rappresentazioni degli dèi egiziani. Nella sua ira, Mosè ruppe le due tavole di pietra su ciascuna delle quali erano scritti i dieci comandamenti (una tavola del patto per il Signore, una tavola del patto per Israele: la convenzione firmata). Poi fece giustiziare dai figli di Levi tremila apostati. Dio non aveva appena detto “Non farti scultura, né immagine alcuna (…) Non ti prostrare davanti a loro” (Esodo 20:4-5), e “Chi offre sacrifici ad altri dèi, anziché solo al Signore, sarà sterminato come anatema” (Esodo 22:20)? E così tremila furono “tagliati fuori” dal popolo del patto, da questo patto che era stato appena ratificato due volte.
Dopo aver parlato con Mosè “faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico” (Esodo 33:11), e dopo che Mosè ebbe interceduto per il popolo, Dio rinnovò ancora una volta il Patto di Grazia, dichiarando di essere “misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà”. Le tavole del patto furono sostituite da nuove tavole che Mosè stesso tagliò. Per quaranta giorni e quaranta notti, Mosè rimase sul Sinai con il Signore. Mosè scrisse i dieci comandamenti sulle nuove tavole (34:27). Ci viene detto che “la pelle del suo viso era diventata tutta raggiante mentre egli parlava con il Signore” (34:29).
Il Tabernacolo
Fu allora che il Signore comandò la costruzione del Tabernacolo, ma non prima di aver innanzitutto ribadito per bocca di Mosè l’ordine di consacrare e osservare lo Sabbath (il quale, ormai da tempo dimenticato, non era stato più osservato forse dai tempi di Noè, quando lui con i suoi figli erano entrati nell’arca; cfr. Genesi 2:3; 7:10-13; Esodo 31:12-17; 35:1-3).
Ora che c’è un “popolo”, una “nazione”, ci dovrà essere anche una distinzione tra (per così dire!) Chiesa e stato.
Il governo dello stato fu dapprima assunto da Mosè, il quale, pur rimanendo nel frattempo un Profeta, fu anche un Giudice del popolo, facendo “loro conoscere gli ordini di Dio e le sue leggi” (Esodo 18:13, 16). Tuttavia, seguendo il consiglio di suo suocero, Ietro, Mosè cedette rapidamente il governo dello stato agli “anziani”, a “uomini fidati”, che furono posti a capo del popolo come governanti di decine, di centinaia e di migliaia (Esodo 18:17-26). Tale è il principio biblico di sussidiarietà, per cui tutto è governato al livello più basso possibile, il livello più vicino al popolo, e le questioni vengono inviate in alto nell’ordine gerarchico solo quando non possono essere risolte al livello inferiore. Sotto l’autorità universale di Dio e la sua Parola, i governi dovrebbero essere organizzati dal basso verso l’alto, iniziando dal livello più elementare in cui ogni individuo governa sé stesso secondo la Parola-Legge di Dio (vera decentralizzazione). La gerarchia totalitaria, satanica, è sempre al contrario, organizzata dall’alto verso il basso (centralizzazione). Questo stesso principio biblico di sussidiarietà, applicato allo stato da Mosè, è applicato alla Chiesa dal Signore Gesù Cristo (Matteo 18:15-18).
L’istituzione del Tabernacolo porta un nuovo sviluppo nella pratica di culto di Israele. Al tempo dei patriarchi il culto delle chiese-famiglia era stato praticato in molti santuari in tutto il territorio. Questo aveva poi preso la forma di “assemblee sante” (future sinagoghe?) guidate dai Leviti nei giorni di sabato con la lettura e applicazione della Parola di Dio accompagnate dalla preghiera (Deuteronomio 14:27, 29), e con la consumazione dei pasti pasquali annuali guidati dai capifamiglia nelle proprie case. Ora il culto di Israele avrebbe dovuto comprendere l’istituzione del Tabernacolo quale centro del culto per il popolo appena costituito, con il Tabernacolo condotto da sacerdoti scelti esclusivamente dalla famiglia di Aaronne, discendente di Levi, figlio di Giacobbe, con l’aiuto dei Leviti.
1. Il Tabernacolo e il suo cortile circostante rappresentano una versione in scala ridotta della Casa del Dio della creazione che comprende sia il cielo che la terra: “Il cielo è il mio trono e la terra è lo sgabello dei miei piedi” (Isaia 66:1). Il Tabernacolo, o tenda di convegno (del convegno tra Dio e il suo popolo), è fatto di materiali di alta qualità (bei tessuti e pelli per i rivestimenti delle pareti, legno di acacia per le assi, ecc.) cui si sovrappongono vari elementi in oro, argento e bronzo.
2. Il Tabernacolo e il suo cortile rappresentano una versione in scala ridotta del monte di Dio che unisce la terra e il cielo. In questo senso, il monte di Dio è sempre con il popolo santo ovunque si trovi e ovunque vada. È dalla cima del monte, il luogo santissimo, che Dio parla, dando le sue istruzioni, la sua Torah – “Voi stessi avete visto che io vi ho parlato dai cieli” (Esodo 20:22). La sacra Scrittura, che nasce contemporaneamente al popolo di Dio, viene posta accanto all’Arca del patto nel luogo santissimo (Deuteronomio 31:26).
3. Il Tabernacolo e il suo cortile rappresentano una versione ridotta del popolo di Dio che deve rimanere in comunione con il suo Signore e Salvatore. Esso è la città in cui Dio vive, il corpo a cui dà vita. Quando i membri della città, i membri del corpo, diventano “impuri”, il Tabernacolo e il cortile diventano “impuri”. Questo richiede che tutti ricevano il perdono e la purificazione, dal Sommo Sacerdote (Levitico 16:1-14) fino all’ultimo Israelita (Levitico 4-5).
*
Per il suo grande affetto per Israele (Deuteronomio 7:8; 23:5), per il suo desiderio di incontrarsi con Israele, per la stretta intimità che vuole avere con Israele; perché la loro vita sia centrata in Lui, Dio arriva al punto di piantare la propria tenda fra le tende d’Israele. “Io sarò con voi”, aveva promesso il Signore. La tenda di convegno, il Tabernacolo, è il promemoria mobile della promessa che Egli andrà con il suo popolo ad ogni passo del cammino dal Sinai a Gerusalemme. “Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro”, aveva dichiarato il Signore prima di indicare in dettaglio il modo in cui voleva che il Tabernacolo venisse costruito (Esodo 25:8), aggiungendo poco dopo: “Lì mi troverò con i figli d’Israele e la tenda sarà santificata dalla mia gloria” (29:43).
IL MONTE SION
La Chiesa
che raccoglie dalle Scritture
la dolcezza dello Spirito santo 11
Giudici
Da Mosè a Davide, dal Sinai a Gerusalemme e al monte di Sion, lunga è la storia del Patto di Grazia e del popolo del patto. Da Mosè a Davide passano circa quattro secoli, con Giosuè, i Giudici e Saul nel mezzo (dal 1400 al 1000 a.C. circa). Fu un tempo segnato da periodi di rinnovamento e progresso, ma troppo spesso anche da periodi di regresso, in quanto Israele e i suoi capi continuavano a oscillare tra fedeltà e infedeltà alle promesse (Vangelo!) e ai comandi (Legge!) della Parola di Dio: la Torah di Mosè. Leggiamo di questa lunga storia nei libri dei Nebîîm richonîm, “gli antichi profeti”: Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re.
Il tempo di Giosuè, che Dio chiamò come successore di Mosè dopo la sua morte sul monte Nebo (Deuteronomio 34; Giosuè 1), fu in gran parte un tempo di benedizione. Sotto l’autorità di Giosuè, la terra promessa ad Abrahamo fu parzialmente conquistata e distribuita fra le tribù d’Israele.
Il tempo dei Giudici, dopo Giosuè, fu in gran parte un tempo di maledizione. Israele, infedele, rifiutava di ascoltare la voce di Dio. Più volte la situazione degenerò al punto che il suo popolo gridava a Lui, e ogni volta Dio, nella sua misericordia, mandava un giudice, un condottiero veramente carismatico che salvava Israele e riusciva a volgere le cose per il meglio, almeno localmente. Tuttavia, non appena erano liberati, Israele si allontanava di nuovo da Dio come Re, per fare ciascuno ciò che gli pareva meglio (Giudici 21:25). Il risultato di tutto ciò fu l’anarchia e l’idolatria.
Così tra l’adempimento della prima promessa fatta ad Abrahamo – cioè che i suoi discendenti sarebbero diventati un popolo, realizzata con Mosè – e l’adempimento della seconda promessa fatta ad Abrahamo – cioè che a questo popolo sarebbe stata data una terra, cosa che sarà veramente e pienamente realizzata solo con Davide – trascorse un periodo di tempo molto lungo.
Samuele
Come Giosuè all’inizio di questa lunga storia, Samuele, alla fine, emergerà come figura dominante. Obbediente al Signore che lo aveva chiamato, e parlando nel suo nome, Samuele fu il primo a rispondere all’insolente richiesta di Israele di avere “un re come tutte le nazioni” – una richiesta che tradiva un rifiuto di Dio come re (1 Samuele 8).
Saul
Il Signore ordinò allora a Samuele di mettere alla prova il popolo dando loro ciò che volevano. E così, ascoltando ciò che il Signore gli aveva detto, Samuele unse Saul come re. Samuele sperava di dare al popolo un re che non sarebbe stato “un re come tutte le nazioni”, ma uno che avrebbe governato secondo i principi anticipati dalla Torah di Mosè:
Quando sarai entrato nel paese … dovrai mettere su di te come re colui che il Signore, il tuo Dio, avrà scelto … Però non dovrà avere molti cavalli … Non dovrà neppure avere molte mogli … neppure dovrà avere grande quantità d’argento e d’oro ….
E quando si insedierà sul suo trono reale, scriverà per suo uso, in un libro, una copia di questa legge …. Terrà il libro presso di sé e lo leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere il Signore, il suo Dio, a mettere diligentemente in pratica tutte le parole di questa legge e tutte queste prescrizioni, affinché il suo cuore non si elevi al di sopra dei suoi fratelli ed egli non devii da questi comandamenti né a destra né a sinistra. Così prolungherà i suoi giorni nel suo regno, egli con i suoi figli, in mezzo a Israele. (Deuteronomio 17:14-20)
Purtroppo, la fedeltà che segnò l’inizio del regno di Saul, assieme alle sue vittorie sui Filistei, non durò a lungo poiché egli si allontanò sempre più da Dio e dai suoi comandamenti. Alla fine, Dio lo rigettò come re quando Saul si rifiutò di eseguire il suo comando di distruggere completamente gli Amalechiti (dopo averli sconfitti in battaglia, Saul scelse invece di risparmiare Agag, il loro re, e risparmiò il meglio dei loro beni anziché che offrirli in sacrificio a Dio).
Ancora una volta fu Samuele ad ungere segretamente Davide come re d’Israele, facendolo in obbedienza al Signore che aveva respinto Saul (1 Samuele 15 e 16). Davide, l’unto del Signore, divenne effettivamente e pubblicamente re dopo la morte di Saul (1 Samuele 31 e 2 Samuele 1).
Davide
Il racconto del regno di Davide è riportato per noi in 2 Samuele e 1 Re 1-2 (assieme a capitoli paralleli in 1 Cronache 11-29; cioè, nei “primi profeti”).
Essendo sia un giudice che un profeta, Samuele era stato il portatore della Parola di Dio sia al popolo d’Israele (“il Signore, il vostro Dio, era il vostro re”; 1 Samuele 12:12) sia al re Saul (“tu non hai osservato quello che il Signore t’aveva ordinato … Poiché tu hai rigettato la parola del Signore, anch’egli ti rigetta come re”; 1 Samuele 13:14; 15:23). E così fu Samuele, questo giudice e profeta, che iniziò Davide al suo servizio come re vassallo del vero Re, e lo unse con olio per consacrarlo in questa funzione (1 Samuele 16).
Nei suoi primi sette anni e mezzo di regno Davide regnò su Giuda risiedendo principalmente a Hebron. Poi si trasferì a Gerusalemme, che aveva conquistato ai Gebusei. Gerusalemme divenne “la sua città”, e lì regnò per i successivi trentatré anni su tutto Israele e su tutto Giuda (2 Samuele 5:1-10).
Il patto confermato
Davide fece portare l’Arca del Patto, “sulla quale è invocato il Nome, il nome del Signore degli eserciti, che siede sopra essa tra i cherubini”, fino a Gerusalemme, la città di Davide, sul monte Sion (quanto somiglia al monte Moria! – Oh, padre Abrahamo!). Mentre l’Arca saliva, Davide, in una sorta di confessione gioiosa tra le grida del popolo e il suono della tromba (e incurante del rimprovero di sua moglie, Mical, figlia di Saul), “danzava a tutta forza davanti al Signore”. L’Arca del Patto fu collocata “al suo posto, in mezzo alla tenda che Davide le aveva montato” (2 Samuele 6). (Si noti che l’Arca, che i Filistei avevano rubato in una delle loro vittorie subito dopo la chiamata di Samuele, non fu riportata nel Tabernacolo quando fu rimandata indietro dai Filistei e recuperata da Israele (1 Samuele 3-6). Il Tabernacolo “pellegrinò” per una strada, l’Arca per un’altra, il che deve essere interpretato come un tempo di morte per il Tabernacolo. Il Tabernacolo tornerà in vita solo quando sarà integrato nel Tempio costruito da Salomone, figlio di Davide).
L’Arca, il trono visibile del Dio invisibile, era ora sistemata al suo posto sul monte Sion. Fu così che il re Davide, vassallo del Signore, ricevette la parola della conferma e del rinnovamento del Patto di Grazia.
Davide offrì olocausti e offerte di pace. Aveva benedetto il popolo nel nome del Signore. Aveva distribuito a tutti un pane, una porzione di carne e un grappolo di uva passa (2 Samuele 6). Poco dopo, disse al profeta Natan: “Vedi, io abito in un palazzo di cedro e l’arca di Dio sta sotto una tenda”. Più tardi, quella notte, a Natan fu ordinato da Dio di rispondere a Davide, dicendo:
Ma io non ho abitato in una casa, dal giorno che feci uscire i figli d’Israele dall’Egitto fino a oggi; ho viaggiato sotto una tenda, in un tabernacolo… Io ti presi dall’ovile, da dietro alle pecore, perché tu fossi il principe d’Israele, mio popolo … darò un posto a Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché abiti in casa sua e non sia più turbato e i malvagi non lo opprimano come prima … il figlio che sarà uscito da te (…), Egli costruirà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io sarò per lui un padre ed egli mi sarà figlio … La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te e il tuo trono sarà reso stabile per sempre (2 Samuele 7:1-16).
Davide pregò:
Tu hai parlato … della casa del tuo servo per un lontano avvenire. Questa è l’istruzione per l’uomo, Signore, Dio! … Tu sei davvero grande, Signore, Dio! Nessuno è pari a te e non c’è altro Dio fuori di te … Dunque, o Signore, Dio, la parola che hai pronunciata riguardo al tuo servo e alla sua casa mantienila per sempre e fa’ come hai detto … La casa del tuo servo Davide sia stabile davanti a te! … Piacciati dunque benedire ora la casa del tuo servo, perché essa sia sempre davanti a te! Poiché tu, o Signore, Dio, sei colui che ha parlato e per la tua benedizione la casa del tuo servo sarà benedetta per sempre (2 Samuele 7:18-29).
Con questo rinnovamento, questa conferma del Patto di Grazia, Dio dichiarò così che al popolo santo era stato concesso un luogo – avevano infatti ricevuto la terra promessa, il compimento della seconda promessa fatta ad Abrahamo. In questa stessa occasione Dio rinnovò la terza promessa. In un tempo futuro, dopo Salomone e il Tempio che egli avrebbe costruito, sarebbe sorto il Figlio di Davide, il Figlio di Dio, colui che sarebbe stato Re, Tempio e Benedizione eterna. Davide salutò quel giorno lontano con speranza. Una speranza espressa nella sua preghiera piena di fiducia e sicurezza.
Note:
1 Nota del traduttore: Efrem il Siro: Inni sul paradiso; traduzione di Ignazio De Francesco, Figlie di San Paolo, 2006, Milano, p. 159-160. L’autore mette tra < > le parole che aggiunge per agevolare la comprensione.
2 Nota del traduttore: Courthial sembra prendere in prestito l’espressione “motivo di base” (motif-de-base) dal filosofo riformato olandese Herman Dooyeweerd (che ammirava molto e di cui aveva letto molto), per riferirsi al principio organizzativo di base di un sistema di pensiero.
3 Mandato “culturale” in entrambi i sensi del termine: la cultura dell’ambiente fisico dell’uomo (“agricoltura”) e la cultura umana che ne sarebbe derivata.
4 L’importanza di mantenere queste prime separazioni della creazione è sottolineata in parti successive della Scrittura. Per esempio, Isaia 5:20 (“Guai a quelli che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre”); e Deuteronomio 22:5 (“La donna non si vestirà da uomo e l’uomo non si vestirà da donna, poiché il Signore, il tuo Dio, detesta chiunque fa tali cose”).
5 Pertinente alla mente; è un culto mentale o spirituale, in opposizione alle osservanze cerimoniali ed esteriori. Hodge C., Romans, Banner of Truth Trust, Edimburgo, (1835) 1975, p.384
6 I kerûbîm ora sorvegliano la via dell’albero della vita con una spada fiammeggiante (Genesi 3:24; i kerûbîm non sono angeli in senso stretto, ma spiriti, creature spirituali che, nella loro preghiera e adorazione incessanti, accompagnano la presenza e la maestà del Signore: non sono affatto come i cherubini (o cupidi) della nostra arte romantica moderna! Cfr. Esodo 25:22; 37:7-9; 1 Samuele 4:4; Ezechiele 9:3; 10:3-22; Ebrei 9:5; Apocalisse 4:6-9).
7 Vedi anche Giobbe 29:14; Isaia 61:10; Matteo 6:30; 2 Corinzi 5:4; Apocalisse 19:13.
8 Efrem il Siro: Sulla risurrezione II, 6. Inni pasquali: Ed. Paoline, 2001, Torino, p. 345.
9 Efrem il Siro: Sugli Azzimi XX, 13; Inni Pasquali; Ed. Paoline, Torino, p. 233.
10 Efrem il Siro: Inni sul paradiso (2006), p. 137.
11 Efrem il Siro: Sulla risurrezione IV, 7. Ed. Paoline, 2001, Torino, p. 363.