APOCALISSE 3:7-22
FEDE O SINTESI
Filadelfia fu fondata da Attalo II (159-138 a.C.), chiamato Philadelphus a motivo della “verità e lealtà ai suoi Eumenes”, fu fondata “come città missionaria… per promuovere una certa unità di spirito, costumi, e lealtà nel reame, l’apostolo dell’Ellenismo ad una terra orientale. Attalo II fu un insegnante di successo. Prima del 19 a.C. la lingua dei Lidii aveva cessato di essere parlata in Lidia, e il Greco era la sola lingua del paese” [1] . La città era anche la porta verso est e verso un area ricca d’agricoltura. Mentre l’orientamento asiatico fu rimpiazzato da quello ellenico, c’era religiosamente una fusione di culture. Dionisio era la divinità maggiore e Filadelfia era tra le altre cose un centro enologico, ma le forme e i termini greco-romani erano uniti con le fedi anatoliche. Sardi esercitò lo stesso potere unificante in Lidia, Filadelfia ebbe la responsabilità di ellenizzare i frigi che nelle zone rurali resistettero i tentativi. La resistenza non fu integrale, ma meramente confinata alla persistenza del linguaggio frigio ed era nel contesto del governo romano.
Filadelfia, come Sardi e Laodicea, fu ridotta in rovine dal terremoto del 17 a.C. e ricostruita da Tiberio, motivo per cui, col permesso dell’Impero, il suo nome per gratitudine fu cambiato in Neocesarea. Ramsay ha citato quattro caratteristiche di Filadelfia che sono pertinenti con la lettera: “primo era la città missionaria; in secondo luogo, i suoi abitanti vivevano in costante paura di un disastro, ‘l’ora della prova’; terzo, molta gente era andata ad abitare fuori città; quarto prese un nuovo nome dal dio Imperiale”[2]. Il secondo e il terzo punto si riferiscono ai tempi di molte scosse di terremoto, durante i quali la gente viveva fuori le mura per timore del crollo degli edifici.
Ramsay definì Laodicea “la città del compromesso”; questo appellativo non era meno vero per Filadelfia. Il concetto di continuità che sta alla base di ogni pensiero non cristiano, faceva del compromesso, nella la sua stessa natura, una virtù, nel fatto che provvedeva un ponte tra uomo e uomo e tra cultura e cultura. Le città più costiere erano inevitabilmente cosmopolite e perciò videro una fusione di culture conseguire a tale situazione. Filadelfia e Laodicea, più entro terra e più vicine a popolazioni di culture aliene, rappresentavano nel loro contesto non tanto il carattere cosmopolita o la continuità quanto la sintesi culturale.
Filadelfia, come città “dell’amore fraterno” aveva avuto successo nel coltivare la fratellanza tra il proprio territorio e i padroni imperiali. La fratellanza di Filadelfia era pragmatica e relativista. La città era città missionaria nel fatto che la sua funzione era di determinare una sintesi culturale pragmatica e la sua eminenza dipendeva dal successo nello svolgere questo dovere. Per la chiesa, predicare la separazione nei termini della fede, separazione nei termini della verità ad una città fondata sulla premessa della fratellanza e sulla sintesi sulla base del pragmatismo, significò che la chiesa isolò se stessa ed era di “poca forza” davanti ad una cultura radicalmente aliena. In una città dedicata alla sintesi nulla sembrava più impotente e futile di un enfasi sull’antitesi della fede. Ciononostante Cristo parlò di una porta aperta e di un grande futuro per questa chiesa fedele.
Laodicea, sul fiume Licus era la porta verso la Frigia ed era l’incrocio di tre strade, dalla costa del mare, dal nord ovest e dal nord est. Era una città opulenta, centro bancario, aveva un’importante industria manifatturiera nel campo del vestiario, ed era famosa per la sua scuola di medicina e per la sua polvere per le malattie degli occhi venduta ovunque. Era anche un centro del culto dell’Imperatore e ricevette il Governatorato del Tempio sotto Commodo, nel 180-191 d.C.. L’interesse di Paolo per la chiesa di Laodicea è riflesso in Colossesi 2:1; 4:13, 15-16.
Laodicea, fondata nel 250 a.C. da Antiochio II e così battezzata dal nome di sua moglie era stata ridotta, come Sardi e Filadelfia, ad un cumulo di rovine dal terremoto del 17 d.C. e restaurata con l’aiuto di Tiberio. Rasa al suolo di nuovo dal terremoto del 60 d.C., Laodicea rifiutò gli aiuti, essendo ora troppo ricca per averne bisogno e troppo indipendente per riceverli. C’era perciò molto di raccomandabile nella Laodicea non credente, e allo stesso modo di Filadelfia rappresentava la pacifica e cooperativa sintesi di filoni culturali conflittuali. La grande tentazione della chiesa in entrambe le località era di operare nei termini della congenialità allo spirito locale di sintesi culturale. A Filadelfia, questa tentazione fu fedelmente resistita, col risultato che la chiesa ebbe apparentemente un impatto ridotto sugli uomini e sulla loro cultura e di conseguenza aveva “poca forza” (3:8). In Laodicea, invece, la chiesa era avanzata dentro la vita della città nei termini di questa strategia, e perciò si sentiva “ricca, mi sono arricchita e non ho bisogno di nulla” (3:17). La chiesa di Filadelfia era scoraggiata dalla sua apparente mancanza di progresso, mentre la chiesa di Laodicea aveva piena confidenza del proprio destino e della propria importanza in quella città. Il parallelo con la situazione della chiesa moderna è molto marcato, nel fatto che la stragrande maggioranza delle chiese, incluse molte che pretendono d’essere conservatrici, hanno o filosoficamente o culturalmente o in ambedue, effettuato una sintesi col mondo come mezzo verso il potere. La resistenza a questo movimento è un esile linea di protesta, da Giovanni Calvino ad Abraham Kuyper e a Cornelius Van Til e altri dei figli spirituali di Abraham Kuyper.
A Filadelfia, Gesù il Messia scrisse identificandosi così: “Queste cose dice il Santo, il Verace, Colui che ha la chiave di Davide, che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre” (3:7). Questa triplice identificazione è in diretta relazione con la situazione a Filadelfia e lo scoraggiamento della chiesa. Primo, Gesù è “il Santo”, e il cui comando più volte ripetuto nell’antichità per mezzo di Mosè è “Siate santi, perché io, l’Eterno, il vostro DIO, sono santo” (Le. 19:2). Questo era il comando di una separazione culturale e di una dedicazione radicali, il comando che l’uomo e la società siano fondati esclusivamente sulla santa parola e rivelazione di Dio. Secondo, Gesù è “il Verace”, e la verità biblica essendo sia assoluta sia personale perché Dio che è verità è tre persone, un Dio, il carattere assoluto della verità non può né essere compromesso in alcuna sintesi culturale né de-personalizzato e reso astratto da una filosofia impersonale. Terzo, Gesù è “Colui che ha la chiave” di Dio e il potere assoluto che ne consegue. Il riferimento è ad Isaia 22:22; ad Eliakim, il fedele maggiordomo di Ezechia, era stata data la chiave del palazzo reale, cosicché l’ammissione alla presenza del re era possibile solamente attraverso di lui. Similmente, solo Gesù è la chiave e la porta (Gv. 10:9), la sola via a Dio “se uno entra per mezzo di me sarà salvato; entrerà, uscirà e troverà pascolo”. Poiché questa pienezza di vita, apparentemente ricercata da tutte le culture non è ottenibile eccetto per Gesù Cristo, queste parole sono un pro-memoria alla chiesa che nessun altro tentativo, per quanto apparentemente prospero, può avere altra fine che la morte.
Di conseguenza: “Ti ho posto davanti una porta aperta che nessuno può chiudere” (3:8). Questa porta aperta non è una via di fuga ma la via del compimento e dell’opportunità di vincere in lui e per mezzo di lui. Perciò, è necessario non il compromesso, ma un movimento in avanti, uno sviluppo delle presupposizioni della fede biblica. Non la sintesi, ma è imperativo un radicale ripensamento di tutta la vita nei termini della parola di Dio. Le “opere” di Filadelfia non erano estese, benché secondo Dio; la chiesa di Filadelfia “ha custodito la mia parola, non ha rinnegato il mio nome” (3:8). Questo è l’inizio della fedeltà, deve essere perseguito lo sviluppo delle implicazioni della parola e del nome di Dio per l’interezza della vita. Muoversi nei termini di questa fede significa vittoria e potenza. “La sinagoga di satana”, i giudei il cui pensiero apparentemente rappresentava ostilità alla sintesi ma in realtà era fatto solo di moralismo e orgoglio, anziché trionfare sulla chiesa sarebbero “venuti a prostrarsi ai tuoi piedi, e riconosceranno che io ti ho amato” (3:9). Questo sarebbe stato l’adempimento di Isaia 49:23 e 60:14. Avendo custodito “la parola della mia costanza”, sarebbero stati custoditi durante la prova universale a venire, una prova paragonabile nel reame culturale ai terremoti che avevano scosso la città, ma su basi mondiali (3:10). Continua perciò a spingere in avanti nella corsa, muovendo nei termini della fede, in modo che nessun altro possa cogliere quella corona della vittoria che appartiene giustamente a te (3:11). Coloro i quali a Filadelfia erano fedeli servitori della cultura dello stato vedevano i loro nomi iscritti nelle colonne di qualche tempio, per sacerdoti che si erano distinti, era stata aggiunta una colonna per dimostrare che essi erano il sostegno dell’edificio. Quelli che vincono a Filadelfia saranno fatti colonna nel tempio, casa o regno di Dio; riceveranno un nome nuovo, il segno di appartenenza, un sigillo o marchio che li dichiarava proprietà di Dio. Essi saranno anche identificati da una nuova cittadinanza. “il nome della città del mio Dio, la Nuova Gerusalemme”, paradiso restituito. Riceveranno anche il “nuovo nome di Cristo”; quali membri della sua umanità glorificata, condivideranno il nome ovvero la natura di questo uomo da paradiso, l’ultimo Adamo dal cielo (3:12).
A quelli di Laodicea, che credevano di avere successo nella loro relazione con le culture circostanti, anziché lode ed incoraggiamento c’è uno schietto rimprovero da Cristo. Di nuovo c’è una identificazione trina. Primo, Egli è “l’Amen” (3:14) o verità di Dio, “il Dio dell’Amen” o verità (Is. 65:16). Secondo, Egli è “il testimone fedele e verace” o martire. Terzo, Egli è “il principio della creazione di Dio”, principio (arche) qui significa origine [3]. Cristo non condivide la propria posizione con nessuno. Lui e solo lui è la verità, la via, la sorgente e il creatore della vita. Non ci può perciò essere fondamento comune tra Cristo e il mondo eccetto che sulla premessa del suo statuto quale creatore, redentore, e signore assoluto, la sola fonte e principio di interpretazione nella sua Parola e per mezzo di essa. Gli uomini stanno su un fondamento comune come peccatori in ribellione contro il loro creatore o come uomini salvati dalla grazia sovrana e ora membri della sua nuova umanità. Cercare un fondamento comune su qualsiasi altra base è un cercare sia una mediazione separata da Cristo, sia un Dio in antitesi con lui.
Di conseguenza, la chiesa di Laodicea, anziché essere coronata dal successo come credeva, non era né calda (al punto di bollitura, zestos) né fredda, ma solo repulsivamente tiepida, buona solo da essere sputata o vomitata fuori (3:15-16). L’indipendenza e la ricchezza di Laodicea potevano essere caratteristiche lodevoli nelle relazioni tra uomo e uomo, ma non erano la base per una relazione con Dio, che deve essere avvicinato dal povero in spirito, da quelli che sentono il loro bisogno spirituale ovvero la loro nudità, che fanno cordoglio sui loro peccati, e hanno fame e sete di giustizia (3:17). La vera ricchezza sta nel processo di affinamento di Dio, un procedimento del bruciare per castigare, o un’educazione che distrugge le scorie. Non c’è oro puro senza il fuoco di affinamento, né vera ricchezza spirituale e saggezza senza la fornace delle afflizioni e delle prove. Significa mettersi delle “vesti bianche” la giustizia di Cristo quale nostra legge e potere sovrano anziché la sintesi col mondo. Significa che la vera vista non proviene dalla scienza umana ma dalla radicale accettazione di Gesù Cristo e della sua parola quali premesse e presupposizioni di ogni pensiero, scienza inclusa (3:18). Quelli che Cristo ama, castiga, cioè porta a loro il ravvedimento [4]. “Riprendere” è paideuo educazione e disciplina. La chiesa a Laodicea aveva cercato di evitare la sua via in favore di un sentiero “più semplice” e viene ora richiamata ad essere zelante e ravvedersi (3:19).
Le parole conclusive a Laodicea, e a tutte le chiese, è diretta ai loro membri individualmente: “Chiunque” (3:20). A quelli che odono la sua “voce”, quelli che sono sottoposti alla sua parola, le Scritture, piuttosto che ad esperienze mistiche, espedienti umani, e sintesi, verrà aperto il tavolo della cena e della completa comunione. Questi regneranno con Cristo, il quale, nella sua umanità “ha vinto” e perciò “si è posto a sedere col Padre sul suo trono” (3:21). Il credente non è mai chiamato all’imitazione della divinità di Cristo, ma piuttosto alla partecipazione nell’umanità di Cristo e nella conseguente vittoria. È una radicale sovversione della fede biblica quando le due nature vengono confuse e con questo il fine dell’uomo diventa la propria deificazione. All’uomo non viene mai chiesto di essere più che uomo, ed egli non può essere mai né più né meno che un uomo. Uomo fu creato e sarà sempre o uomo in ribellione e apostasia o uomo in Cristo e nella sua grazia. Le filosofie che assumono che l’uomo sia, sia stato, o possa essere meno che uomo, assumono anche che l’uomo possa essere più che uomo. La caduta dell’uomo fu basata su questa presupposizione, ed ogni tesi similare è un’esemplificazione della caduta.
Gesù dovette vincere, e solo così avrebbe potuto regnare. I suoi sono salvati dalla sua opera di espiazione ma non con ciò risparmiati dalla vita, e vita significa, in questo mondo decaduto, lotte e afflizioni. L’arruolamento nell’esercito di Cristo non significa liberazione dalla battaglia ma liberazione dalla sconfitta. C’è ora una necessità di ingaggiare battaglia, di vincere e solo così di regnare. La condizione della vittoria è sempre la battaglia. In religione e in tutta la vita, la concupiscenza moderna per una vittoria senza combattimento è solo escapismo del tipo più brutto. La salvezza non è mai una liberazione dal conflitto ma la certezza della potenza e della vittoria nel conflitto. Di conseguenza, la salvezza, rovesciando la sconfitta, intensifica la lotta e fa rivivere l’antico stato di guerra dovunque questa divampi.
“Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”. Queste parole compaiono in ciascuna delle sette lettere. Si riferiscono, non all’orecchio fisico, ma al cuore (Gr. 6:10: Gv. 12:37-40), il quale solo ascolta, e ascolta solo quando rigenerato. Così, pur essendo un ammonimento ai reprobi, queste lettere sono ascoltate veramente solo dai rigenerati.
Note:
1. Ramsay, op.cit., 391s.
2. Ibid, p.398
3. Barclay, op. cit., p.97.
4. W. Boyd Carpenter, op. cit., p. 550; vedi anche Giovanni 16:8.